La gatta che guardava la luna

di Rita Ciatti
All’incirca sette o otto anni fa capitò che io e il mio compagno ospitammo una gattina per un periodo. Proveniva da una colonia della casa di campagna di mio cognato – dove egli si recava a giorni alterni per distribuire il cibo umido (lasciando poi sempre a disposizione i croccantini) – e necessitava di cure giornaliere perché era malata e sofferente di reni.
Io accolsi quasi con indifferenza l’arrivo di questa gattina in casa, ossia, detti senza remora alcuna il mio consenso ad ospitarla per poterla curare, ma, un po’ perché sapevo che sarebbe stata una sistemazione temporanea (era previsto che dopo le cure tornasse nella colonia in campagna), un po’ perché all’epoca avevo scarsa confidenza con i gatti, non è che sin da subito le prestai moltissima attenzione; oggi me ne pento moltissimo, se tornassi indietro la riempierei di coccole ed attenzioni, pure perché, purtroppo, durante la permanenza in casa nostra la sua patologia andò peggiorando, nonostante le cure giornaliere, e alla fine fummo costretti a farla sopprimere (per evitarle un accanimento terapeutico inutile, essendo arrivati comunque ad un punto in cui non c’era più nulla da fare ed in cui mostrava segni di sempre maggiore sofferenza e dolore).
Come dicevo, io all’epoca non conoscevo i gatti, li avevo certamente visti mille volte, ma senza mai aver prestato loro particolare attenzione; diciamo che ero quella che in gergo si definisce più una “canara”, che “gattara”, avendo avuto cani sin da quando ero bambina, ma mai gatti (oggi invece convivo con nove gatti e un cane, più, last, but not least, il mio compagno, e sono diventata decisamente un’esperta gattofila).
Non sapevo quindi come interagire con questa gattina, e nemmeno ci provavo più di tanto. Certamente le davo da mangiare, da bere, le avevo preparato la cassettina per la lettiera, ogni tanto le dicevo “micia micia” con tono affettuoso, ma nulla di più.
Poi una sera accadde qualcosa di straordinario, una vera e propria epifania. Un qualcosa che rese comprensibile la meraviglia dell’altro da me, dell’altro animale in quanto individuo unico e singolare. Non so se riuscirò a spiegare con le parole quel che provai, ma farò un tentativo.
Ero uscita sul terrazzo per fumare una sigaretta, era una bella serata estiva, l’aria calda, ma non opprimente, una brezza leggera. Silenzio. Mi guardai attorno osservando i vari vasi di fiori, le finestre dei palazzi di fronte, la strada sottostante. Poi improvvisamente abbassai gli occhi a terra e fu allora che la vidi. Vidi la gattina poggiata sulle zampe posteriori, completamente immobile, il musetto rivolto all’insù, verso una luna piena bellissima. Anzi, fu proprio proseguendo la direzione del suo sguardo che potei notare quella bella luna. Lei non si accorse di me, continuava a starsene lì, ad osservare la luna, i baffetti tremolanti alla brezza leggera ben visibili in controluce, i suoi occhioni sgranati, colmi di stupore e meraviglia, di quello stupore e meraviglia che ho visto solo nei bambini piccoli. Fu immediato, il cuore mi si strinse in una morsa, tanto improvvisa quanto inaspettata, un’ inspiegabile commozione mi mosse quasi al pianto. Vederla lì, nel suo pieno esistere per sé stessa (e non già per noi umani, o come merce da vendere nei negozi), piena di curiosità verso il mondo ed al contempo completamente indifesa, vulnerabile, mi fece comprendere la meraviglia della sua unicità. Che è cosa banale da dire, me ne rendo conto, ma sentirlo, viverlo nel profondo è tutto un altro paio di maniche. In quel momento io smisi di vedere “un gatto”, ossia un esemplare qualsiasi della specie gatto, ed ho visto invece un altro essere, un essere pieno di aspettative verso il mondo e la vita; un essere che vive la sua vita indipendentemente dal nostro sguardo e dalla considerazione che noi abbiamo di esso, un essere che guarda la luna con i suoi occhi e la pensa, la sogna, la vive a modo suo, un essere che è soggetto della sua propria vita, vita che nessuno ha il diritto di calpestare, un essere che vuole vivere e che conduce la propria esistenza indipendentemente da noi. Direte, bella scoperta, eppure non ci giurerei che sia così scontato pensare agli altri animali come a qualcuno che esiste non già in funzione di qualcos’altro, ma per sé stesso. Qualcuno che tanto più appare fiducioso, pieno di meraviglia e curioso verso un mondo ancora tutto da sperimentare, quanto più appare anche indifeso, vulnerabile.
Pensiamo spesso di essere gli unici soggetti che hanno un’idea del mondo, eppure sono certa che quella gattina, quella sera, stesse osservando e vedendo la luna esattamente come la osservo e vedo io. Magari non avrà sognato di poterci andare, magari non si sarà interrogata sui misteri dell’universo, ma ha gioito di esso, con tutti i suoi misteri, lo ha vissuto appieno, nell’immediatezza del momento e, sono certa, meglio di quanto abbia saputo farlo io. Ché quello che ci frega, a noi esseri umani, è la consapevolezza della morte ed anche questa capacità astratta che abbiamo di saperci raccontare il mondo – attraverso i miti, la storia, l’arte – ma di non saperlo vivere appieno, nel vissuto unico ed irripetibile dell’attimo che è l’unica forma di eternità che mai ci sarà concessa.
Da quella sera qualcosa è cambiato in me e se oggi sono quella che sono è anche perché la gattina che osservava la luna mi ha aperto una strada. Con quegli occhioni verdissimi e luccicanti rivolti all’insù mi ha mostrato qualcosa di più della bella luna piena; mi ha mostrato sé stessa. Ed io l’ho vista e da allora mai più dimenticata.
Comments
11 Responses to “La gatta che guardava la luna”
  1. Fabio Ventura ha detto:

    Bellissima !!!!!!!!!!

  2. rita ha detto:

    Grazie Fabio e Annamaria, sono contenta che vi sia piaciuta questa bella storia.

  3. Good Bear ha detto:

    se continui così divento un tuo fan eh! 🙂 Bravissima 🙂

  4. devetag ha detto:

    Lacrimuccia…:)

    • rita ha detto:

      Da quella sera quando osservo i gatti mi commuovo sempre un po’, sono una sentimentalona, che ci posso fare. 😉
      (ma non solo i gatti, eh).

  5. Emanuele Ghiraldini ha detto:

    Che bello.
    Anch’io osservo sempre la gatta che soggiorna a casa nostra e imparo qualcosa di lei ogni volta. Mi pento anch’io di aver cominciato a farlo da troppo poco tempo. Non è più giovanissima (11.5 anni) ma spero che rimanga con noi ancora per tanto tempo.

  6. stopthatrain ha detto:

    Mi ero persa finora questo pezzo spettacolare! 🙂 a me è capitato con le capre che ospito in campagna, credevo che non sarei riuscita a comunicare granché con loro fino a che non ho fatto caso che al tramonto le si trova sempre sedute una accanto all’altra nel punto più alto della loro collinetta, in silenzio, con lo sguardo rivolto verso la vallata. Ho capito, com’era ovvio, che sono come i cani, che conosco molto meglio. Quella sensazione che gli altri animali godano appieno dell’immediato, con una ricchezza maggiore della nostra, è forse direttamente legata alla loro mancanza di concettualizzazione, che porta noi a vivere ogni singola esperienza come “una di un tipo”, e non come un unico nella sua autenticità, e di conseguenza in maniera meno coinvolgente (è quello che dice Bergson). Ma comunque tra gli individui ci sono un sacco di differenze in fatto di estetica: il mio Argo se ne va tutto solo a passeggiare di notte in campagna e poi si siede, calmo e sereno, a prendere aria in un punto rischiarato dalla luna, Nero si tuffa e si rotola beato su tutti i prati illuminati dal sole, mentre Olga è molto materiale: passa tutto il tempo della passeggiata col muso per terra in cerca di cibo. Con lei le uscite programmate per il momento in cui c’è la luce più bella sono del tutto sprecate 😀

    • rita ha detto:

      Ma veramente ospiti delle capre in campagna? Che belle che sono, mi devi portare assolutamente a vederle, ci conto, eh! 🙂
      Verissimo tutto quello che dici sulla capacità degli animali di godere appieno dell’immediato, e poi sentono la natura in maniera molto più coinvolgente anche per via di alcuni sensi più acuiti, come l’olfatto ad esempio. Pensa che bello per loro che dev’essere uscire in un bosco, sentire l’odore dell’erba, delle varie piante, degli altri animali. Noi specie umana abbiamo proprio perso questo contatto col mondo.