E per chi altri? L’antispecismo debole disturba il sogno.
di Leonardo Caffo
“Discutere con Derrida è come fare a pugni con la nebbia”
Hilary Putnam
Telegrafica, ma credo necessaria, risposta a Serena Contardi e al suo articolo “Soltanto per loro?”. Il nome del pezzo, se non fosse per l’aggiunta polemica del punto interrogativo, è quello di un mio libro dove, caso mai venisse voglia di leggerlo, sostengo esattamente le cose (gli argomenti, precisamente) che oggi Serena utilizza per “attaccarmi”. Nessun demerito per Serena (solo un po’) – perché, effettivamente, oggi ho cambiato idea e sostengo cose assai diverse: giusto una nota, dunque, per stimolare la lettura delle citazioni che si fanno. In primo luogo ringrazio Serena per aver contribuito, con le sue osservazioni intelligenti, al dibattito che si è stimolato intorno all’antispecismo debole e, in secondo luogo, la ringrazio per avermi dato la possibilità di spiegare che ciò che lei mi attribuisce è falso ma, più precisamente, tale attribuzione è viziata da argomenti scorretti. Eviterò, perché non serve, di ripetere che le critiche che Serena fa a Singer, scomodando addirittura Nietzsche ed eredi, sono figlie della cattiva ricezione del filosofo australiano in Italia: letto male, capito peggio, e congedato subito (lo dico, giusto per dirlo, da critico di Singer). Devo invece soffermarmi su di un punto: l’idea che il mio antispecismo sia contro l’umanità. Forse, e sarebbe dunque giustificatissima, Serena si riferisce, e si limita, alle provocazioni – con palese e ammessa funzione di “rottura” epistemologica delle certezze infondate di cui si vanta l’antispecismo nostrano – da me proposte su Minima & Moralia sotto il nome di “terzo antispecismo”. Tuttavia, come ha mostrato il mio dialogo con Marco Maurizi – che credo essere punto fermo delle teorie di Serena – pubblicato su queste stesse pagine, la mia proposta è tutt’altro che antiumanista – al massimo, se proprio la si vuole stigmatizzare, dai palcoscenici dell’antispecismo politico (a proposito Serena, ma tu lo sai cos’è? Mi aiuti a capirlo? Lo sai che ne esistono potenzialmente infiniti e che il mio è uno di questi?), la si può chiamare “realista”. Mi spiego, o meglio ci provo: giacché, in questo che sembra essere un gioco a chi ha ragione, io ho moltissimi dubbi e poche certezze. Quando parlo di “debolezza” dell’antispecismo mi riferisco al nucleo teorico di rivendicazioni omogenee alle diverse forme di antispecismo che si sono sviluppate: tali rivendicazioni, per semplificare, hanno nella “liberazione animale” un sunto decisivo (tale semplificazione trova una sua elaborazione approfondita nel libro sull’antispecismo debole che ho scritto per le edizioni Sonda e che uscirà nel 2013). Quando, altresì dico, come mostrato da Serena, che bisognerebbe depotenziare l’antispecismo dalla sue rivendicazioni umaniste lo faccio, e per favore spero lo si capisca e non mi si accusi più del contrario, non perché io non vorrei un antispecismo per una liberazione totale, ma perché che l’antispecismo possa assolvere a tale compito è del tutto incerto e, alla pari di questa possibilità incerta, ne esistono altre concepibili e possibili (storicamente, logicamente, metafisicamente, ecc.), che meritano di essere prese in considerazione quando si discute filosoficamente, ma anche e soprattutto politicamente, di un problema sociale come quello della “questione animale”. In filosofia, ma proprio in tutta la filosofia (non solo quella analitica, perdio!), vale il principio aureo: “ciò che può essere affermato senza prova, può anche essere negato senza prova”. Che l’antispecismo che chiamate politico, ma che dovreste smettere di chiamare così e non perché non esiste ma perché è una categoria che raggruppa diversi modelli, possa effettivamente concorrere alla liberazione umana non è falso, capiamolo, ma non è neanche vero: è in attesa di verificazione. Che nell’attesa di questa possibilità di verifica si diano per certe cose che vorremmo siano certe è disonesto: una disonestà che, nessun filosofo che voglia continuare la professione o la passione domenicale, potrebbe mai far sua. Cara Serena, io voglio il tuo stesso mondo, quello “libero per tutti”, ma ho la bontà di non spacciare strategie incerte per certe! Quando dunque mi si attacca di antiumanismo lo si fa per un solo motivo: non si è capito ciò che ho detto. L’antispecismo debole ha la sola funzione di rottura delle certezze infondate dell’antispecismo teorico attuale, considerando diverse possibilità e “scenari morali e politici” che potrebbero verificarsi a seguito dell’antispecismo in atto rivendicando, dunque, la necessità di partire da ciò che è attualmente certo: che ogni forma di antispecismo chiede la liberazione animale. Questo non vuol dire, come ancora una volta mi si è attribuito, che possiamo inglobare anche soggetti violenti nei confronti dell’umano (fascisti, ad esempio) nella nostra “lotta di liberazione” animale proprio perché, lo ripeto, il mondo che sogna Serena, quello che sogna Marco Maurizi, o quello che sogna David Nibert, è lo stesso che sogno io: un mondo senza violenza anche tra umani. Si può star qui, tra genealogie e filosofie della storia, mostrando perché sfruttamento umano e animale sono legati, o divertendosi in etimologie da salotto [(capitalismo deriva da “caput”, capo di bestiame) e chissenè frega?): e avrete il mio appoggio. Possiamo star qui anche a mostrare che “la nostra sorte (con l’animale) è comune” o che dovremmo abbandonare il soggetto seguendo Calarco: e avrete il mio appoggio ancora una volta. Ma tutto ciò, e non è discutibile (purtroppo), non dice nulla sul fatto che le liberazioni (animale e umana) si implichino o, al contrario, che l’una non possa condannare l’altra per sempre. Dunque, Serena, io ti ringrazio per le tue critiche: ma un volta che ho detto queste cose semplici, con le parole “semplici” e “umili” che mi appartengono, e mi rendo conto non confrontabili alle idiosincrasie a cui certo antispecismo intellettuale ci ha abituato, non costringetemi a rifare a pugni con la nebbia e cominciamo un percorso comune: vogliamo la stessa cosa.
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10 Responses to “E per chi altri? L’antispecismo debole disturba il sogno.”Trackbacks
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[…] e dominatore), dall’altra gli Animali (buoni e oppressi). A questa sensatissima osservazione Caffo ha risposto con il seguente sillogismo: (a) Serena è un’antispecista politica, (b) l’antispecismo […]
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[…] dice che l’idea che liberazione umana e liberazione animale vadano di pari passo sia un “sogno” ma io sinceramente non riesco a capire come si possa disgiungerle senza finire nel delirio. […]
Ciao Leo,
ti rispondo qui perché non credo siamo tanto interessanti da meritare altri post e, soprattutto, come aggiungi tu, vogliamo la stessa cosa.
Innazitutto non citavo il tuo libro Soltanto per loro, o meglio, lo citavo con la stessa intenzione con cui hai preso a farlo tu in questi ultimi tempi: sia ad Udine che a Liberi TV hai più volte ripreso quell’adagio dandogli il preciso significato che gli ho attribuito nel mio pezzo. Sto sempre molto attenta alle citazioni, eheheheh…
In secondo luogo, sappiamo tutti ancora poco dell’antispecismo debole (per forza, il libro non è ancora uscito!), e dunque le critiche che ti faccio ruotano tutte attorno all’articolo pubblicato su minimaetmoralia, dove affermi – provocatoriamente, forse, ma la provocazione è forte e colpisce, me in primis – l’antispecismo sia una lotta contro l’uomo. Hai cambiato idea da allora, ok, ma io sono liberissima di prendermela con quel Caffo, dato che una valanga di gente la pensa come lui.
Poi dici che di Singer non ho capito niente, saltando a piè pari le obiezioni che gli muovo – e che gli muovono tutti …nessuno di noi ha capito niente – , tra cui quella di aver costruito un aggeggio teorico autoreferenziale senza porte né finestre, avulso dalla storia e dalla realtà. Basterebbe leggere come propone di affrontare la questione delle derattizzazioni, una roba fuori dal mondo proprio.
Infine, essendo anch’io molto semplice e umile (ci sono costretta), non ho una definizione netta di filosofia. Solo credevo che, fin dai tempi di Aristotele, il momento della speculazione le fosse intimamente essenziale, tanto quanto quelli della verifica e della deduzione. Poi è arrivato Wittgenstein, e ha detto che su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere. Io gli risponderei con Améry: ma è proprio di questo che è più urgente parlare. Non mi pare nessuno spacci dubbi per certezze…si aprono spiragli, possibilità. Affermo questo prima di essere spedita anch’io in un salotto filosofico. Fortunatamente, è sempre stato la mia stanza preferita della casa 🙂
Non sono una fan di Derrida, per nulla!
Cara Sere. Il mio è un post di risposta non polemico nei tuoi confronti, ma in parte delle cose che dici.
Come dicevo nel pezzo, se ti riferivii solo e soltanto al pezzo su minima e moralia, giustifico perfettamente le tue obiezioni. Tuttavia, visto che su asinus è uscito un dialogo con marco in cui penso sia chiaro che non credo queste cose, mi premeva fare capire non a te, ma ad altri come la penso: odio l’animalismo antiumanista – la mia è una battaglia filosofica di onestà.
Io sono un fan di Derrida, invece. 🙂
per il resto, come ho già detto, le tue critiche servono. Ma bisogna scindere quello che io VOGLIO da quello che credo possa avvenire.
io credo, ma l’ho detto anche ad altri, che tu argomenti pensando che ciò che tu voglia faccia la differenza ma, aime, non la fa.
ti abbraccio, con sincerità, perché a me piace parecchio essere criticato, e criticare.
critichino
Caro Leo,
le risposte “a caldo” possono essere utili ma in un ambiente come il nostro dove la temperatura media è l’incandescenza temo non lo siano. Sicuramente non in questo caso. Avrei sperato infatti in una tua risposta più meditata e articolata alle serissime questioni che pone Serena, questioni che non sono liquidabili, come mi sembra faccia tu qui, con una ripetizione di errori già abbondantemente smentiti da te o altri in altri luoghi. L’intervento di Serena mette invece a fuoco molte questioni che non riguardano affatto solo te, come affermi basandoti sul titolo e sulle prime righe di questo testo, bensì un modo in generale di “sentire” nell’antispecismo molto diffuso. Ne dico solo due, per far vedere come una discussione più approfondita di questi temi avrebbe potuto (e io spero potrà), portare a qualche chiarimento ulteriore sui punti cardine della teoria e della prassi del movimento.
Anzitutto, il riferimento a Nietzsche non è affatto peregrino come fai intendere tu, quasi che Serena citasse Nietzsche per “attaccare” te e Singer senza avervi letti, come se non sapessimo tutti che Serena non è nicciana e tu non sei singeriano. Suvvia, la questione è lampante: non è che affermare di fare qualcosa “soltanto per l’altro” ci assicura di non essere “egoisti”. Questione che è teorica, non polemica, ed è seria e profonda, e che va quindi presa in considerazione. Spero tu e tutti noi lo facciamo prima o poi.
Seconda questione, molto interessante, è quella relativa alla “umanità” intesa come universale generico e aberrante. Anch’io ti obiettai qualcosa di simile nel mio testo di riposta al “Terzo antispecismo” e, finora, non c’è stata risposta su questo. Ma se combattiamo contro l’universale specista dell’ “animale” non possiamo cadere nell’universale specista di ritorno dell’ “umano”. E dire “soltanto per loro” rischia di fare esattamente questo.
E ci sarebbero altre cose degne di essere discusse perché vanno “alle cose stesse”. Ma le lascio a chi vorrà leggere e aprire un dibattito che non può certo essere chiuso in rapide battute. Spero che sia tu stesso a farlo, non perché il testo di Serena riguarda te, non è vero, ma perché forse hai più strumenti per poter rendere una risposta impegnativa anche per noi.
A me non sembra che il testo di Serena sia scorretto ma potrei essere di parte perché ne condivido in toto le critiche (non a te, ma all’idea che possa esistere una liberazione soltanto per loro, dove “loro” è un concetto che ritengo erroneo sia teoreticamente che praticamente). Si tratta, per come la vedo io, di una richiesta di confronto teorico cui non penso si debba sfuggire. Al contrario, rispondere criticando, come fai tu qui, i limiti dell’impostazione “politica” non mi sembra un modo corretto di rispondere alle obiezioni che ti/vi sono sollevate. Altrimenti non si esce dall’argomentazione ad hominem, per quanto raffinata ne sia la formulazione. Sarebbe opportuno, per la crescita di tutti, che questo tipo di critiche ricevessero l’attenzione che merita e che fossimo tutti in grado di non porre noi stessi di fronte o dietro alle idee che stiamo discutendo.
Abbraccio ecumenicamente entrambi!
ciao marco.
la risposta non è a caldo perché non funzionano i riscaldamenti del treno.
detto questo:
1) “Suvvia, la questione è lampante: non è che affermare di fare qualcosa “soltanto per l’altro” ci assicura di non essere “egoisti”” : e chi lo dice? e anche quando, quale sarebbe il problema dell’esserlo? io non sono convinto che questo sia un punto interessante, lo ammetto. Non ho risposto per questo: credo che ogni azione umana, anche il suicidio, sia condotta da una minima parte di egoismo per il semplice fatto che è azione intenzionale e dunque c’è un interesse da parte dell’agente di quealche tipo. Al limite, la questione, sta nel limitare l’egoismo! Parliamone, io non ho mai affrontato direttamente questo tema.
2) L’umanità al singolare. Non saprei. Io credo che l’antispecismo porti alla fine di un’umanità, di un’idea di umanità, e non dell’umanità. Dipende cosa intendiamo, io intendo umanità come “oggetto sociale” e non come insieme di corpi materiali (Focucault’rules: uomo invenzione recente). Per cui auspico una diversa idea di umanità – una diversa costruzione della realtà sociale.
Serena non ha scritto un testo scorretto, ha scritto un testo possibile: la scorrettezza sta secondo me in certe attribuzioni a me. Quello di Serena è un testo utile: contribuisce al dibattito. Ma io credo che il “vostro” approccio sia equivalente al mio, non credo ci siano antispecismi migliori di altri in senso stretto: le possibilità si equivalgono, io cerco di centrare l’obiettivo comune. Ecco. Io mi oppongo all’idea di cui tu discuti nell’intervista a “sanboncatzu” su Animal Studies: l’implicazione delle lotte. Non ho dubbi sul legame tra diverse forme di dominio, invece.
Caro Leo,
le questioni poste da Serena possono non riguardare la tua posizione filosofica e in questo senso le reputi non decisive, ma dalle risposte che dai anche a queste mie ultime sollecitazioni, è evidente che non sembri vedere il problema che accomuna la tua posizione filosofica a un certo modo di intendere l’animalismo/antispecismo. Il fatto che tu non consideri un problema l’ipotesi dell’altruismo radicale (che è ciò che scalda i cuori nell’espressione “soltanto per loro”) indica che non vedi come sia proprio questa illusione a generare la sua capacità di presa. O vogliamo nasconderci il fatto che è sempre il “purismo” e il “moralismo” che dominano l’orizzonte di pensiero e indirettamente la prassi del movimento? E la seconda questione è ancora più significativa: dire “loro” signifca tracciare un solco con un “noi” che è un’assoluta astrazione. Magari tu hai idee molto più raffinate di noi tutti su cosa sia l’umanità, ma il fatto è che ciò che il movimento può più facilmente trovare nel tuo discorso è invece la vecchia idea che ci siamo “noi” (dominatori, cattivi) e “loro” (dominati, buoni), con tutte le nefaste conseguenze pratiche che da questa ingenuità teorica conseguono.
Non credo che possiamo fregarcene del modo in cui le nostre teorie fanno presa sull’attivismo, tutto ciò che non aiuta a fare chiarezza aumenta la confusione. Dunque aspettiamo il libro sull’antispecismo debole sperando che su tali questioni possa aiutare tutti a evitare certe ambiguità in cui sguazza il movimento. Perché le ambiguità che tu denunci negli antispecisti politicizzati sono importanti e vanno senz’altro prese sul serio anche se parliamo di una sparuta minoranza del movimento. Quelle denuciate da Serena, purtroppo, riguardano una fetta ben più grande di animalisti/antispecisti.
tanto lo sapevo che c’era la fregatura, nel fare filosofia.
Io credo che a questo punto si debba seriamente cominciare a parlare di antispecismi, piuttosto che di antispecismo, come Leo ha anche detto alla presentazione di Animal Studies, fermo restando il condiviso obiettivo che è quello della liberazione animale (umano e non umano, e quindi l’accusa di essere antiumanisti va a cadere).
Nell’articolo di Serena, specialmente nella prima parte in cui rivendica il suo diritto a parlare del proprio ombelico (ma forse mi sbaglio, e se è così correggetemi) ho intravisto anche una critica ai miei due ultimi articoli – ma va benissimo, mi fa piacere, la critica serve a far crescere e maturare il pensiero, altrimenti se ci diciamo bravi per simpatia restiamo sempre nei nostri errori e non ci evolviamo – in cui affermo che noi come soggetto dovremmo sparire in quanto dobbiamo farci portavoce degli animali, vera parte in causa (per citare il nome, per me appropriatissimo, della neonata associazione radicale), e non tanto perché essi non parlano o non comunicano (lo fanno eccome, (e l’ho detto qui http://asinusnovus.wordpress.com/2012/09/22/2321/), ma soprattutto perché non siamo disposti ad ascoltarli.
Rimettere l’animale non umano al centro di ogni discorso non è quindi una maniera per far sparire l’uomo, né significa dichiararsi antiumanisti, bensì evitare che esso (l’animale non umano) possa essere per l’ennesima volta messo da parte, risultando invisibile. Questo intendo quando affermo di far sparire noi come soggetto, non certo che non tengo anche alla liberazione della nostra specie o che noi, come promotori di questa battaglia per l’altro, non stiamo lottando anche per un mondo migliore per noi stessi, per tutti.
La proposta del terzo antispecismo di Leo a me, a dire il vero, piaceva molto (tranne nella parte in cui afferma che l’antispecismo non è per l’uomo, ma contro, ma appunto ha poi fatto ammenda di quell’espressione e chiarito, aggiornato e meglio definito il suo pensiero, come si è letto in quella doppia intervista). Continuo a pensare che responsabili (non colpevoli) siano anche gli uomini e che il fatto che ignorino, se pure li assolve (“io non lo sapevo”), di certo non li rende meno attivi nell’ingranaggio e funzionamento del sistema. Che è cosa ben diversa dall’accusarli o dall’essere antiumanisti. Si tratta, semplicemente, di riconoscere le altrui e proprie responsabilità, a meno che l’etica non sia uno spauracchio da tenere lontano come se ci dovessimo vergognare non appena se ne pronuncia il nome.
L’esempio che porta Leo in quella sua proposta per un terzo antispecismo dell’ipotetico negozio nel terzo Reich in cui si venderebbero saponette prodotte con cadaveri di Ebrei e la responsabilità del singolo nella decisione se acquistarle o meno, mi pare appropriato. Vogliamo poi dire che il singolo in quanto tale è vittima di un sistema e che le cause sono altrove? Va bene, diciamolo, ma ci saranno in questo ingranaggio del sistema delle strutture più portanti e causali di altre? Certo che ci sono. E riconoscere questo serve anche proprio a non appiattire ogni individuo sotto l’etichetta di “umano”; alla stessa maniera però, affermare come fanno Marco e Serena che il singolo non avrebbe responsabilità perché non ci sono “colpe”, ma “cause”, di nuovo invece appiattisce l’umano, come se tutti ci comportassimo alla stessa maniera ed avessimo la stessa scala di valori e medesime priorità. Mi spiace, ma esistono individui diversi con priorità e valori diversi ed io sono ben lieta di volermi distinguere da alcuni rispetto ad altri e non già perché divida il mondo in buoni e cattivi, migliori o peggiori, ma in persone con fini ed obiettivi diversi, con scale di valori diversi, con visioni opposte, antitetiche o simili le une alle altre. E questo non è essere antiumanisti, ma prendere atto della meraviglia e complessità dell’umano, con i suoi lati negativi e positivi.
E inoltre, ammesso pure che si riuscisse a costituire una società nuova in cui, per esempio, lo sfruttamento tipico del capitalismo dovesse sparire e dovessero sparire quella cause antichissime che hanno nei secoli strutturato la prassi dello sfruttamento del vivente, se non mutasse al contempo anche la coscienza del singolo, potrebbero verificarsi altre e nuove forme di oppressione e discriminazione.
L’oppressione non è solo nel materialismo storico, nei dispositivi del dominio, ma è anche qualcosa che forse ha a che fare proprio con il nocciolo irriducibile del singolo (di alcuni singoli). Esiste inoltre una violenza che non è effetto del sistema di sfruttamento, ma altro. E quella come la correggi? Persino in una società liberata non potremmo impedire forme di dominio personali, se non si “educa” il singolo al rispetto dell’altro nel profondo.
Quindi la strada dell’etica per me rimane una strada percorribile, anzi, doverosamente percorribile. Che non significa essere antiumanisti o aggredire i singoli. E nemmeno venir meno all’eccellente analisi storico-materialista di Marco in Al di là della Natura che ha portato all’individuazione dello specismo come prassi dello sfruttamento del vivente ecc. ecc.. Significa però, preso atto di tanto, non tirar via con un colpo di spugna le altre strade percorribili. OK, finora non hanno funzionato, ma siamo appena agli inizi (forse ci dobbiamo ancora veramente entrare) del dibattito sugli antispecismi in società. E inoltre io sono apertissima all’idea che l’ingranaggio sistemico, in qualsiasi momento possa saltare anche per effetti collaterali, non prevedibili, non determinabili. Si aprono breccie continuamente, sta a noi approfittarne.