Confondere (appositamente) i movimenti con le azioni intenzionali
di Leonardo Caffo
Apparso su Veganzetta 3: 2011
Obiezione piuttosto diffusa all’antispecismo, come teoria radicalmente non violenta, è quella secondo cui la coerenza sia una chimera irraggiungibile. Se si diventa vegani, col fine ultimo di astenersi per scelta etica da tutte quelle attività e pratiche che possono provocare danno, sfruttamento o morte degli Animali, si sta compiendo – secondo coloro che muovono quest’obiezione – un madornale errore di valutazione. L’errore risiederebbe nella necessaria incoerenza a cui sono soggette le nostre azioni, entro il sistema complesso in cui svolgiamo le nostre vite. Se certamente divenire vegani permette di “salvare” la vita a certi animali, altri resterebbero comunque uccisi o danneggiati dalle nostre azioni e, se davvero l’antispecismo propone un rispetto senza confini, questo causerebbe una serie di contraddizioni interne agli obiettivi della teoria stessa. Utilizzando l’automobile, ad esempio, uccidiamo moltissimi insetti che vengono senz’altro investiti inavvertitamente e, camminando su di un prato, potremmo schiacciare involontariamente dei piccoli animali senza neanche farci caso. Certamente, il nostro elenco di esempi, potrebbe continuare fino ad includere i batteri – sempre presenti nei discorsi di chi cerca le falle teoriche dell’antispecismo – che uccideremmo lavandoci le mani, usando dei farmaci, ecc. Chi argomenta in questo modo contro l’antispecismo, tuttavia, confonde due entità teoriche ben distinte nel dibattito filosofico, ma senza dubbio la distinzione è ben presente anche nel senso comune. Le due entità incriminate sono “movimento” ed “azione”, legate fra loro da sottili, e spesso sfumati, confini ontologici. Un famoso esperimento mentale, tratteggiato per la prima volta dalla penna del filosofo statunitense Harry Frankfurt[1] espone, in modo evidente, il ruolo dell’intenzionalità per definire cosa sia un’azione, e cosa non lo sia. Immaginiamo che un serial killer, degno di un film di fantascienza, sia anche uno scienziato d’avanguardia che riesca ad inventare un chip cerebrale da impiantare nel cervello dei suoi ignari sicari per costringerli ad uccidere le sue vittime. Se ad un povero innocente venisse impiantato uno di questi chip, perdendo dunque ogni tipo di controllo sulle proprie volontà, e venisse costretto ad uccidere qualcuno dal serial killer che controlla il tutto seduto in poltrona dal suo studio, saremmo disposti ad ammettere che sia davvero il sicario ad aver compiuto l’azione, e dunque, l’uccisione in questione?
Ovvero, il solo fatto di aver compiuto i movimenti che compongono l’omicidio, rende assassino il sicario?
Questo breve esperimento mentale fa proprio al caso nostro, mostrando l’importanza dell’intenzionalità per attribuire un’azione ad un individuo. L’intenzione di uccidere sembrerebbe chiaramente del serial killer che tuttavia non compie alcun gesto diretto sulle sue vittime ed infatti, intuizione comune, è quella secondo cui l’esecutore materiale non sia colpevole perché non aveva alcuna intenzione di compiere l’insano gesto. Riconsideriamo adesso l’obiezione all’antispecismo che abbiamo discusso, ed articoliamo una risposta servendoci della distinzione tra movimenti ed azioni. L’antispecismo nasce per contrasto alla specismo definibile, già da David Nibert in poi, come un’ideologia giustificazionista diffusa per legittimare l’uccisione e lo sfruttamento degli Animali in modo mirato e preciso, ovvero con degli obiettivi intenzionali specifici: ricerca scientifica, divertimento, vestiario e alimentazione. Chi partecipa allo sfruttamento e alla morte degli Animali, sia come “produttore” che come “consumatore”, compie delle azioni intenzionali che mai possono essere confuse con movimenti involontari, e dunque la colpa della morte, e dello sfruttamento degli Animali, è facilmente attribuibile a chi ha compiuto quelle stesse azioni. Gli antispecisti smettono di compiere queste azioni, e dunque la loro non partecipazione alla tragedia, che è quel sistema di sfruttamento chiamato specismo, è fuori discussione. Il fatto che un antispecista, come un qualsiasi altro individuo che vive in società, sia soggetto ad azioni composte da movimenti che possono causare degli eventi inaspettati è fuori discussione ed infatti, che l’azione generale “guidare la macchina”, possa comportare l’uccisione di qualche insetto (cosa che, per inciso, crea spesso non pochi sensi di colpa ad un antispecista) non inficia assolutamente le condizioni di possibilità dell’antispecismo come teoria realizzabile e coerente che mira a contrastare le azioni, e soprattutto le intenzioni, che rendono lo specismo ciò che è, e non di certo tutti i movimenti involontari delle persone di questo mondo. Programmare e/o sostenere, intenzionalmente, uno sterminio con cadenze regolari d’individui senzienti, quali gli Animali, obiettando poi a coloro che si dissociano da questa pratica terribile che, forse, ed ogni tanto, anche loro uccidono qualcuno perché le patate che mangiano sono state coltivate entro l’habitat di certi altri Animali, morti a causa di quelle coltivazioni, è ingenuo. L’ingenuità risiede, non solo nel credere che gli antispecisti non siano consapevoli di vivere in un sistema che, di rado, permette una totale affinità tra idee e pratiche diffuse ma, come abbiamo visto, nel confondere ciò che si fa intenzionalmente, pur potendo evitare di farlo, e ciò che per sbaglio, o per necessità, possiamo provocare mentre agiamo con l’obiettivo di fare tutt’altro. Che poi un giorno, in un potenziale futuro possibile in cui la liberazione dallo specismo sia effettivamente avvenuta, dovremmo cominciare ad analizzare anche le incoerenze dei nostri movimenti involontari è cosa possibile, e addirittura auspicabile dai teorici dell’antispecismo ma, per adesso, preoccupiamoci di frenare le azioni intenzionali, eticamente scorrette ed evitabili che soggiacciono allo specismo. Fino ad allora, possiamo serenamente dispensare la scorretta obiezione che qui abbiamo discusso.
[1] Frankfurt Harry (1978). ‘The Problem of Action’, American Philosophical Quarterly, 15: 157-62.
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[…] Nausicaa Guerini, Annamaria Manzoni, Marco Maurizi, Leonora Pigliucci, Marco Reggio Post: – Confondere (appositamente) i movimenti con le azioni intenzionali – Perchè mangiamo carne? L’analisi psicologica di Annamaria […]
La presunta incoerenza è lo stesso argomento usato nella sterile polemica tra vegani e vegetariani, con i primi che si sentono dei puri e i secondi sempre sulla difensiva, che tentano di giustificarsi pensando “prima o poi”.
C’è da dire però che in effetti l’argomento non è del tutto infondato; nessuno potrebbe dirsi certo dell’onestà di un antispecista che più o meno raramente mangi la carne. Dove possiamo mettere il limite?
Secondo me c’è da distinguere sul motivo che è alla base dell’azione:
se la motivazione che spinge la pratica vegana è un boicottaggio economico dell’industria dello sfruttamento animale, allora c’è da dire che in effetti, i vegani hanno ragione nel sentirsi più coerenti dei vegetariani.
Però allora, permettetemi il gioco, ci sarebbe da giustificare un vegano che, chiuso in una stanza al buio, senza la possibilità di venir visto da nessuno (in modo da non creare un precedente), mangi un cibo a base di carne che comunque verrebbe gettato.
Come si capisce con la logica fuzzy si arriva a dei paradossi.
Io penso che la risposta a tutto ciò, se ho capito qualcosa (ma non credo) dell’analisi che fa Maurizi dell’antispecismo in chiave marxista, allora il boiocottaggio economico non dev’essere la risposta che il movimento antispecista dà a questa società interamente basata sullo sfruttamento animale (umano e non).
saluti,
uno che non ha mai studiato filosofia.
In effetti, Mattia, anche se io userei argomenti completamente diversi, penso che la questione posta da Leonardo Caffo sia giusta. Sicuramente è possibile e necessario smascherare i tentativi di usare la “coerenza assoluta” come argomento contro la liberazione animale. Per fare questo in termini di logica dell’azione ci sono due strade, mi sembra: la prima, quella tentata qui da Caffo, consiste nel mostrare che l’incoerenza degli antispecisti è apparente, poiché esiste una differenza sostanziale tra l’atto che ferisce e/o uccide volontariamente e quello che ferisce e/o uccide involontariamente o comunque per accidente. La seconda – che è quella che seguirei io – argomenta che il principio della coerenza assoluta è irrilevante perché il fine dell’azione antispecista non è il comportamneto indiviudale ma quello collettivo. E, dunque, anche se gli antispecisti non sono perfettamente coerenti questo non inficia il loro approccio etico, poiché la coerenza assoluta (ammesso, e non concesso, che possa esistere) esiste solo come agire sociale. E poi, sì, hai ragione, anche la questione del boicottaggio andrebbe interpretata in questo senso e se fosse possibile (come credo e spero) trovare forme di azione collegiali più incisive, essa dovrebbe essere ripensata profondamente.
Grazie per il commento!
Ad usare le argomentazioni dei batteri, dei moscerini sul parabrezza o quella tipica “con tanti esseri umani che soffrono, voi pensate agli animali!”, sono sempre quelli che non si interessano né ai batteri né ai moscerini tanto meno agli esseri umani.