Sull’integralismo vegetariano

di Emilio M. Sanfilippo

È un articolo interessante quello di Anna Meldolesi apparso sul Corriere, che non ha tanto l’obiettivo di valutare moralmente la scelta dell’evitare il mangiar carne, piuttosto di soppesare il confronto morale tra vita umana e animale attraverso tanta letterura contemporanea. Il dubbio, infatti, è quanto mai lecito sulle convinzioni ideologiche di molti sostenitori del pensiero anti-specista, secondo i quali il criterio per l’azione non dev’essere orientato dall’appartenenza di un individuo ad una determinata specie biologica (sarei tentato di dire azione species-laden), piuttosto dal rispetto nei confronti della specie stessa. A rigore filosofico, si renderebbe necessaria una discussione su cosa io intenda per “rispetto” in questa sede; al momento basti dire soltanto che per “rispetto” s’intende non abusare degli individui appartenenti ad una determinata specie animale diversa dalla propria, evitando di sottoporli a sofferenze.

In questo modo, viene spezzato l’incanto del necessario nel decidere se salvare la vita a un umano o a un animale; la scelta diventa una possibilità tra le tante, orientata da altri principi morali. Il rischio è di arrivare a casi estremi in cui nel dover decidere se salvare la vita a un uomo o allo squalo che lo sta divorando, l’anti-specista ponga lo spettro del dubbio, lì dove il da farsi sembra invece scontato. Anna Meldolesi, per esempio, riporta il caso della Germania hitleriana in cui i nazisti sembravano più inclini verso il riconoscimento della sofferenza animale che verso la popolazione ebraica.

Nell’articolo in discussione l’anti-specismo viene presentato come la difesa del mondo animale da una parte, contro l’indifferenza verso il mondo umano dall’altra, mentre è proprio il contrario quello che gli antispecisti affermano. Il punto sta proprio qui: se per definizione l’anti-specismo si oppone alla discriminazione fra specie, allora si oppone anche alla discriminazione nei confronti della propria specie. L’uomo è spogliato della sua centralità metafisica: dall’isolamento del paradiso è calato in un mondo abitato da altri esseri viventi, i quali avanzano il rispetto della propria identità, in primis della loro possibilità di soffrire. Ciò non significa che l’uomo non avanzi a sua volta rispetto per la propria identità; in un certo senso, se si rivaluta la sua centralità nel cosmo, non per questo tutto è lecito. Ancora una volta, poi, il confine tra ciò che si dovrebbe/potrebbe fare/non fare con la vita, in senso molto ampio, è molto labile. Eppure ciò di cui abbiamo meno bisogno è una guerra ideologica senza riserve tra specisti e anti-specisti; piuttosto di idee, di possibilità, che stimolino la mente umana a riflettere per fare proprio l’imperativo socratico del “conosci te stesso”. A mio avviso, infatti, riconscere l’identità umana significa prima di tutto riconoscere la capacità umana di porsi criticamente il problema dell’esistenza.

Quando l’uomo si dimentica della propria libertà e autonomia intellettuale, allora crea campi di sterminio, trasforma in cenere millenni di cultura, innalza statue ai suoi idoli e si dimentica di essere la più remota specie nel più remoto pianeta nell’universo.

Comments
One Response to “Sull’integralismo vegetariano”
  1. Rita ha detto:

    Ma perché è così difficile capire che gli antispecisti tra la vita di un essere umano e quella di un animale scelgono entrambe?
    A me viene il dubbio che ci sia una profonda disonestà intellettuale nel rimarcare sempre quanto il rispetto per gli animali andrebbe a discapito di quello per gli umani. Ed è vero che è esattamente il contrario.

    Ho scritto anche io la mia replica a questo articolo della Meldolesi:

    http://ildolcedomani.blogspot.it/2012/04/inquietanti-echi-nazistoidi-nella.html

    Un saluto. 🙂