Ma chi vogliamo liberare, noi? Piccola riflessione sull’antispecismo e le sue “forme”

di Barbara Balsamo

thinker_on_junk

 

Umuntu ngumuntu ngabantu

Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti Ubuntu  (Detto zulu)

 Libertà: Capacità del soggetto di agire (o di non agire) senza costrizioni o impedimenti esterni, e di autodeterminarsi scegliendo autonomamente i fini e i mezzi atti a conseguirli. La l. può essere definita in riferimento a tre elementi: il soggetto o i soggetti di l. (chi è libero), i campi entro cui essi sono liberi (definiti dai vincoli), gli scopi o i beni socialmente riconosciuti che si è liberi di perseguire (che cosa si è liberi di fare). Come vi sono vari tipi di agenti che possono essere liberi (persone, associazioni, Stati), così vi sono molti tipi di condizioni che li vincolano e innumerevoli generi di cose che essi sono liberi o non liberi di fare. In questo senso esistono molte l. diverse (morale, giuridica, politica, religiosa, economica, ecc.). Di conseguenza, quando cerchiamo di definire stati di l., abbiamo a che fare con questioni relative all’identificazione di chi, sotto quale descrizione pertinente per il riconoscimento collettivo, è libero di fare che cosa, rispetto a quali vincoli, entro quale campo di azione e significato sociale. La riflessione sul tema della l. accompagna tutta lo storia del pensiero filosofico, dall’antichità all’epoca contemporanea, con accenti e approcci diversi.[1]

Vorrei partire da qui.

Regan, in particolare in Gabbie Vuote, estende il senso e il significato di libertà anche agli altri animali, soggetti di una vita, spiegando come già per gli stessi umani ciò abbia avuto esiti positivi in passato (si pensi agli schiavi o alle donne, al razzismo, ecc…) attraverso l’elaborazione del concetto di diritto e le regole che da esso scaturiscono.[2] Sebbene Regan analizzi la questione animale e mostri in modo puntuale come sia possibile, anzi doveroso, estendere i diritti agli altri animali, relega il “problema” a una questione di tipo morale e dunque legata esclusivamente al mondo civile umano. Regan dà per scontato che il bene sociale e collettivo si fondino sulla morale e soprattutto considera lo sfruttamento animale come conseguenza di un pre-giudizio nei loro confronti. Come illustra Aldo Sottofattori

L’adesione a questa visione del mondo determinerà la tendenza ad agire sulla cultura, sulle convinzioni degli esseri umani, sulle loro idee, affinché cambino stili di vita e mentalità. Un cambiamento delle forme di coscienza comporterà poi il cambiamento nelle forme di vita e nell’organizzazione sociale[3].

 Regan non analizza la società e la sua struttura, paradossalmente dico io. È vero che come dice Leonardo Caffo, anche questa analisi si pone come politica, intesa nel senso ampio del termine, in quanto le scelte che da questi assunti scaturiscono sono sempre politiche, ma lo sono come conseguenza di una prassi non come suo fondamento. Il sociologo Pierpaolo Donati afferma che:

La società può definirsi come l’insieme di fenomeni relazionali che costituiscono i rapporti tra gli individui, tra gli ordinamenti e tra gli individui e gli ordinamenti. […] la società “è” relazione, non “ha” relazioni. Essa ha costituzione relazionale. “Non è fatta di cose e neanche di individui che usano queste cose”. Essa è relazione[4].

 Kurt Lewin[5], pioniere della psicologia sociale arriva a formulare una funzione per sintetizzare il comportamento sociale:

 Comportamento (C) viene visto come una funzione (f) dell’interazione tra la persona (P) e l’ambiente (A),

C = f (P, A)

 In sostanza l’approccio allo sfruttamento animale non passerà per attribuzioni morali agli individui sociali (sei cattivo perché mangi gli animali o sei crudele perché vai a caccia) ma indagherà il perché l’uomo sfrutta l’animale fino a cibarsene o a ab-usarlo anche senza evidente necessità (cosa rappresenta la caccia, quali meccanismi sociali scaturisce; se mangio gli animali quali sono le ragioni culturali e sociali, nonché economiche?), senza con ciò sminuire o togliere valore all’aspetto morale e etico.

Ma cosa hanno a che fare gli studi di psicologia sociale con gli animali? Se ci si sofferma, anche pochi minuti, ad osservare questo fenomeno ci si accorge che è diffuso in tutto il pianeta, ha proporzioni inimmaginabili e soprattutto genera un mastodontico ritorno economico, insomma consente al sistema di dominio di diventare capitalismo!

Gli animali sono strumento di arricchimento, sostentamento del sistema. Quale sistema? Quello in cui l’umanità si rigenera da millenni, quello che eminenti studiosi, antropologici e storici definiscono sistema di dominio. Murrey Bookchin scrisse che

Affinché una soluzione non sia parziale, non agisca sugli effetti anziché sulle cause, non continui a perpetuare gli stessi errori in un modo e in un contesto solo apparentemente e ingannevolmente diversi, occorre una visione completa e non frammentata, al di là delle costrizioni ideologiche e politiche, una visione non miope della storia, dei rapporti umani, del rapporto tra l’uomo e la natura. Occorre la conoscenza approfondita della nostra storia, di che cosa sono realmente e di quando e come si sono formati dominio e gerarchia, e la comprensione e la convinzione che è da lì che dobbiamo partire, dalla dissoluzione di ogni forma di dominio, di coercizione e subordinazione, per poter costruire una società autenticamente libertaria[6].

 Se la società è relazione, e se il comportamento è direttamente proporzionale al rapporto tra l’individuo e l’ambiente in cui vive, dovremmo iniziare a indagare seriamente il fenomeno “sfruttamento animale” da altre prospettive e domandarci se le cause di questo siano da ricercarsi altrove anziché che nella morale. M. Maurizi lo ha fatto. Al di là della natura è un testo filosofico che analizza quello che lui stesso definisce antispecismo politico. Una frase più di tutte può chiarirci le idee: “Non è affatto vero che noi sfruttiamo gli animali perché li consideriamo inferiori, piuttosto li consideriamo inferiori perché li sfruttiamo”[7]. Sempre citando Aldo Sottofattori: “Questo significa adottare un approccio politico anziché culturale. Soltanto se si riuscirà a cambiare la società si potrà disporre di quell’atteggiamento generale verso gli animali auspicato dall’antispecismo. Si tratta di un modo di operare ancora fortemente minoritario tra gli antispecisti”. Susann Pharr dice:

It is virtually impossible to view one oppression…in isolation because they are all connected…They are linked by a common origin – economic power and control – and by common methods of limiting, controlling and destroying lives. There is no hierarchy of oppressions. Each is terrible and destructive. To eliminate one oppression successfully, a movement has to include work to eliminate them all or else success will always be limited and incomplete[8].

La mia breve e non-scientifica analisi non si prefigge di argomentare in merito alle diverse posizioni all’interno del pensiero antispecista ma vuole, al contrario, porre all’attenzione questi assunti per dibattere circa i mezzi che gli attivisti useranno per ri-costruire un mondo liberato. Infatti il fine ultimo, l’obiettivo ambizioso dell’antispecismo è quello di “abbattere i muri di silenzio”, come dicono amici attivisti, non solo per svelare le manifestazioni molteplici dello specismo ma per proporre modalità e strategie per un mondo che si intenda davvero libertario e liberato dove nessuna distinzione di specie e nessuna prevaricazione intra-specie potrà esistere. Affermare che l’antispecismo politico mette in secondo piano gli animali è falso e dire che in questo modo si perde la specificità della lotta per la liberazione animale è offensivo! Non esiste un “più” e “un meno”, esiste solo un “noi”, laddove per “noi” l’antispecista politico pretende una liberazione totale, inclusiva a priori, per un reale e realistico mondo migliore.

L’attivismo in questo senso avrà come obiettivi non i singoli ma le strutture del sistema, non le categorie sociali ma quello che rappresentano e attaccherà direttamente il loro fondamento (sistema giuridico, politico, economico, sovrastrutture e lobbies, multinazionali, accordi internazionali) proponendo un’alternativa possibile di mondo liberato, sia con le proprie scelte individuali che con esempi concreti di economia alternativa, commercio a impatto zero, ridefinizione geopolitica, economia collettiva e tante altre. Sono convinta che in virtù di tutto questo non si possa e non si debba confondere l’animalismo (che si occupa di diritti animali ma non necessariamente dell’abbattimento dello specismo, pertanto se è vero che un’antispecista si può considerare un’animalista non è assolutamente vero il contrario) con l’antispecismo e assolutamente mai i fini con i mezzi. Per raggiungere un obiettivo si devono avere ben presenti i fini e attuare modalità, seppur variegate, strumenti e strategie atti al raggiungimento degli stessi. Inoltre in quanto antispecisti politici, non si può prescindere dal ripudio per tutte quelle forme di dominio dell’altro intra-specie (in questo caso, ma non svincolato affatto dagli altri animali) che si manifestano sia attraverso ideologie politiche repressive e dittatoriali, sia politiche economiche che, come per gli animali, sfruttano sistematicamente all’interno di un sistema coeso tutti gli esseri umani. L’antispecismo politico è costitutivamente libertario e indipendente. Benché i meccanismi storici, politici economici e sociali alla base del dominio dell’altro animale – umano siano diversi da quelli del dominio dell’altro animale non umano, questi sono intrinsecamente legati, col-legati, interdipendenti e trasversalmente vincolati. Pertanto non è pensabile un mondo liberato se non si pensa a un mondo totalmente liberato. E questo non vuol dire aspettare, come qualcuno ha scritto, ma significa combattere e smantellare il sistema nelle sue molteplici forme. Per questo sono convinta che è importante seguire le indicazioni di Steve Best e costruire quei ponti a lui cari con tutte le altre realtà di lotta di liberazione nel mondo. Oggi queste realtà sono tutte svincolate e non esiste un rapporto organico. Non esiste una visione globale dei meccanismi di dominio. È un caso che da anni ormai si parla di whiteness e si dica che gli assunti razzisti non sono affatto di tipo morale ma strutturale? E lo stesso vale per la situazione della donna? E cosa dire dell’ecologia? Ridefinire i concetti di dominio e antropocentrismo e analizzare le dinamiche in chiave storica è essenziale per ribaltare completamente posizioni, obiettivi, fini e mezzi. E proprio perché io lotto per la liberazione animale affermo che è urgente e necessario un antispecismo politico con strategie studiate a tavolino e non improvvisate, ragionate e razionalizzate, partendo anche dal cuore, certo, considerando l’empatia, l’amore, e perché no, la rabbia, ma sapendole trasformare in azione efficace sulla base di un’ideologia molto ben determinata.

Trovo quindi dannoso e deleterio un certo attivismo che si prefigge la demonizzazione di categorie sociali direttamente coinvolte nello sfruttamento animale (penso al vivisettore, al macellaio, al circense, al “carnivoro” e così via) così come trovo inutile il pensare di unire realtà assolutamente distanti tra loro in nome degli animali. Sono persuasa che sia molto più utile e efficace che ogni realtà dell’attivismo operi secondo i propri criteri rivendicando con dignità le proprie ideologie di base mantenendo specificità e differenze. Io rivendico un attivismo che effettui riscatti aperti, liberazioni, manifestazioni, presidi informativi, battaglie legali, azioni di disobbedienza civile e tutto quello che è possibile immaginare sapendo che il mio obiettivo, i mezzi che sfrutterò e le modalità in cui lo farò poggeranno su un pensiero articolato, organico che si prefigge il reale abbattimento dello sfruttamento animale. Rivendico un antispecismo politico.


[1] Voce “libertà”, Enciclopedia Treccani.

[2] Cfr. T. Regan, Gabbie vuote, ed. Sonda, 2004.

[4] P. Donati, Sociologia. Una introduzione allo studio della società, Milani Padova, 2010, introduzione.

[5] Cfr. K. Lewin, Teoria del campo delle scienze sociali. Selected Theorical Papers, Hardcover, 1951.

[6] M. Bookchin, citato in S. Ferbri, “Un grande utopista contemporaneo”, in A – rivista anarchica, anno 36 n. 320, ottobre 2006, disponibile on line.

[7] M. Maurizi, Al di là della natura. Gli animali, il capitale, la libertà, Novalogos, Aprilia 2011.

[8] S. Pharr citata in D. Nibert, Animal Rights/Uman Rights. Entanglements of Oppression and Liberation, Rowman & Littlefield Publishers, 2002

Comments
70 Responses to “Ma chi vogliamo liberare, noi? Piccola riflessione sull’antispecismo e le sue “forme””
  1. rita ha detto:

    Barbara, apprezzo molto questa tua disamina, che condivido in moltissimi punti, però che l’antispecismo politico chieda agli animali di aspettare non l’ho mica detto io. L’ha detto e sostenuto più volte Marco Maurizi, sia alla conferenza del 13 febbraio alla Sapienza, quando ribadì che “la liberazione umana è la conditio sine qua non per la liberazione animale”, sia quando, nelle varie occasioni in cui ho avuto modo di confrontarmi con lui su questo argomento (mi smentirà, in caso, se dico bugie) mi ha spiegato che secondo lui il movimento per la liberazione animale sta sprecando energie nell’attuare le solite strategie dell’attivismo classico e che sarebbe bene ci si mettesse un attimo a tavolino a confrontarsi per elaborare strategie di lotta più valide al fine di decostruire il sistema alla radice, sia in quel suo articolo dal titolo “animalisti, ancora uno sforzo se vovete essere antispecisti” in cui afferma che gli animali attualmente in gabbia non saranno così egoisti da pretendere di essere liberati subito, ma avranno la pazienza di aspettare strategie più efficaci capaci di aprire le gabbie una volta per tutte. Che è un discorso giustissimo, ma che tuttavia mi fa temere per gli animali che attualmente stanno soffrendo. Per questo io insisto spesso sul fatto che, strategie efficaci o meno, durature o meno, intanto comunque non ci si può permettere di aspettare.
    Io qui voglio anche dire una cosa una volta per tutte. Condivido molto dell’antispecismo politico, in particolare (e non manco mai di citarlo infatti) ritengo l’analisi e la genesi dello specismo di Maurizi in Al di là della natura un lavoro encomiabile. Dove mi discosto e conseguentemente mi avvicino all’antispecismo debole di Caffo è proprio nella diverse idee che abbiamo di intendere la liberazione e le sue strategie e poi anche nella convinzione che sia necessario, per combattere una volta per tutte l’assunto secondo il quale sia lecito sfruttare gli animali, rieducare all’animalità. Caffo dà tantissime indicazioni in questo senso, sia in Flatus Vocis, che in altri testi.
    Per me è assurdo dire che gli animali dovranno aspettare. E non me lo sono inventata io.

    Poi, concordo su quanto disse anche Steve Best, ossia al fatto che per dare visibilità al movimento noi dovremmo unirci anche ad altri contesti di lotta (ricordo bene che lui, durante le conferenze che tenne in Italia l’anno scorso, riportò il caso della mega-manifestazione di Occupy Wall Street e disse che aveva suggerito agli animalisti di scendere in piazza insieme agli altri manifestanti, pure se ancora indifferenti alla questione animale, pure se mangiatori di carne ecc., in quanto comunque era una maniera per far sapere che ci siamo anche noi, che esistiamo ecc.), e ricordo anche quella bella discussione che avemmo io e te proprio quella sera in cui ci trovammo di fronte ai cancelli della Menarini in cui mi parlasti della tua idea di lotta interconnessa. Ad esempio mi trovasti d’accordo nel provare a denunciare insieme lo sterminio degli animali in alcuni contesti (tipo i macelli, ora non ricordo esattamente) e anche le condizioni di sfruttamento degli operai che vi lavorano.
    Sì, ma, mi domando, fino a quando queste battaglie interconnesse potrebbero procedere insieme? Mi spiego meglio. Certamente è vero che tantissimi lavoratori sono sfruttati e oppressi, ma se questi scendessero in piazza per i loro diritti a continuare a lavorare nei macelli, come potremmo noi sostenerli? Per forza di cose le nostre battaglie divergerebbero.
    Inoltre c’è sempre il solito discorso che non manco mai di far notare. Le battaglie antropocentriche, ossia riguardanti gli umani, rischiano ancora una volta di far passare in secondo piano l’urgenza della questione animale, se prima non lavoriamo per restituire dignità e valore alla vita animale. Che è ciò che propone, filosoficamente, ma anche fattivamente, Caffo nei suoi testi (anche in Flatus Vocis, in Adesso l’animalità e in altri articoli ecc.).

    Grazie comunque per il tuo valido contributo che so essere sincero e motivato.

    • MM ha detto:

      io non ho scritto quello che mi attribuisci. Era un argomento che voleva mostrare lo specismo implicito di chi vuole tagliare corto dicendo “gli animali cosa vorrebbero?”.
      Il problema – l’ho detto e ripetuto e non lo ripeterò più – non è solo che l’attivismo oggi non va da nessuna parte ma il fatto che quello che si fa oggi impedisce di fare qualsiasi altra cosa.

      Ho analizzato diffusamente questo problema qui.

      • rita ha detto:

        Ma ciò che ti contesto è proprio ciò che or ora affermi, ossia che l’attivismo oggi non stia andando da nessuna parte. Non credo sia vero Marco. Guarda ad esempio il dibattito (sui media, sui social ecc.) che è scaturito in seguito all’occupazione dello stabulario. Ne hanno parlato diffusamente anche le principali testate nazionali, non solo online, ma pure cartacee. Dopo i presidi della Menarini si è finalmente aperto un tavolo tra ricercatori pro-sa e ricercatori anti-sa e finalmente parole come “antispecismo”, “veganismo”, “sperimentazione animale” stanno per essere pronunciate pure da persone che fino a qualche anno fa ne ignoravano l’esistenza. Il movimento sta crescendo e questo è indubbio.
        Non è vero che ciò che si fa oggi impedisce di fare qualsiasi altra cosa. Non sono d’accordo, specialmente ora che dentro all’attivismo ci sto entrando con tutti i piedi e fino al collo. Mi piacerebbe davvero Marco discuterne con te anche a voce, magari se un giorno troverai il tempo vediamoci, anche con Barbara, Leonora, e tutti gli altri.
        La frase che pronunciasti alla conferenza del 13 febbraio se la ricordano tutti, non solo io (e la riportai anche nel resoconto per il quale mi facesti anche i complimenti), ossia quella che “la liberazione umana è la conditio sine qua non per quella animale”.
        Infine, hai scritto questo, in tuo commento in calce all’articolo “animalisti, ancora uno sforzo se volete essere antispecisti: “Hai fatto bene a mettere “dimenticarsi” tra virgolette perché io non penso bisogna dimenticarsi degli animali, anzi. Il problema è fare ciò che concretamente e realmente in un futuro più o meno lontano li liberi TUTTI. E per far questo, sì, è necessario lavorare per creare quelle condizioni di cui parli tu e quindi occorre che una parte del movimento si attivi in questo senso.

        Questo mi permette anche di aggiungere una cosa che ho accennato in un altro commento tempo fa. Quando si dice che aprire una gabbia serve perché salva quella vita particolare si dice una cosa vera anche se sappiamo che non serve a livello sistemico perché quegli animali verranno rimpiazzati o cmq gli altri rimangono in gabbia e non si libereranno aprendo gabbie all’infinito ma facendo in modo che non vengano più chiuse. A ciò spesso ho sentito rispondere: “chiedilo all’animale liberato se serve”. Al che mi viene da pensare che questo è un pensiero specista perché se io stessi in gabbia ovviamente vorrei essere liberato immediatamente ma se mi dicessero “guarda che stiamo lavorando per liberare tutti voi e forse non faremo in tempo a salvare te”, beh, per egoismo forse protesterei ma saprei che la cosa giusta da fare è liberare TUTTI non solo me. O vogliamo dire che gli altri animali sono tutti egoisti e di fronte al bene delle loro sorelle e fratelli sceglierebbero sempre e comunque la propria salvezza individuale al posto di quella collettiva”

      • MM ha detto:

        leggi l’articolo che ti ho postato e capirai perché non è vero che il movimento sta andando da qualche parte o sta “crescendo” (si spiega anche perché questo termine è ambiguo).

        Ho anche spiegato più volte cosa significhi “conditio sine qua non”. Lo rispiegherò, per l’ennesima volta, quando uscirà il libro di Caffo.

      • pasquale cacchio ha detto:

        Mah, Rita, tutti questi successi dell’attivismo non li vedo proprio e trovo esagerato
        l’entusiasmo degli animalisti.
        Quei quattro o cinque che hanno liberato i topi e il coniglio nel laboratorio milanese
        finiranno prima o poi in galera e, se non sarà così, taglieranno loro le gambe,
        schedati sulle domande di lavoro, agli esami, ai concorsi
        (ciò non toglie che io li consideri eroi dei nostri tempi),
        scoraggiando i loro emulatori.
        Il potere delle ‘democrazie’ borghesi riuscirà a criminalizzare anche la lotta per la liberazione animale
        così come ha criminalizzato il Sessantotto.
        Già un minimo gesto di disobbedienza civile viene tacciato di ‘terrorismo’.
        Che la liberazione animale sia alle porte è pura illusione.
        Questo è ciò che infastidisce il lettore di Marco, il quale ha una lucida visione
        del contesto storico in cui sta sorgendo il nuovo pensiero
        e sembra, dico sembra, non dare soluzioni immediate al problema.
        Ah ah, e io che continuo a considerarlo un ottimista! 😉

      • MM ha detto:

        beh rispetto a te, Pasquale, pure Ceronetti sembra un ottimista ahaha

  2. rita ha detto:

    Marco, lo conosco bene quel tuo articolo e l’ho letto più volte.
    E su questo io e te abbiamo già discusso (anche nei commenti in calce a quel mio pezzo sul circolo ermeneutico applicato all’animalismo, ricordi?). Su alcuni punti concordo con te, su altri no. Scusami se ora non ti ribatto punto per punto, è tardi, magari un’altra volta.
    In particolare credo oggi si sia finalmente capito, grazie al tuo contributo, che lo specismo non è solo un pregiudizio morale nato dal nulla, e che serva scardinare determinate meccanismi insiti nella produzione e credo anche che siano veramente pochi coloro che davvero continuano a prendersela col singolo che mangia la carne.
    Non penso però che ciò che sta emergendo oggi, di fatto una nuova maniera di intendere l’attivismo, sia controproducente. Intanto le liberazioni e le occupazioni ora si stanno facendo sempre più a volto scoperto (una prassi del tutto nuova), denunciando pubblicamente ciò che non si ritiene più giusto e questo sta suscitando reazioni molto interessanti.
    E ti pare che non sia interessante che finalmente, ad esempio, si sia aperto ufficialmente un tavolo tra ricercatori pro-sa e ricercatori anti-sa?
    Poi se per te tutto questo non è nulla… oh, che ti posso dire? Libero di pensarla come vuoi.
    Altro punto, è vero che finora la battaglia per la liberazione animale non ha dato molti risultati, ma è anche innegabilmente vero che essa esiste solo da circa quarant’anni (di contro a secoli che si perpetua lo specismo) e che di fatto si stanno facendo passi in avanti davvero sempre più significativi.
    Ti pare che non si debba tener conto del fatto che il numero dei vegani sia cresciuto – e solo negli ultimi anni – in maniera esponenziale?
    Per me non sono dati irrilevanti.

    • MM ha detto:

      mi attribuisci troppi meriti. L’attivismo non è cambiato di una virgola, le parole d’ordine sono sempre le stesse “pregiudizio”, “analogia” col sessismo e il razzismo ecc. L’antispecismo politico non ha fatto breccia per i motivi che denuncia: a riprova che è nel giusto ma che, proprio per questo, non ha molta speranza di farsi ascoltare.

      Novità? Non si è ancora vinta nessuna battaglia, mi pare. Ci sono stati due eventi, per altro molto diversi tra loro, GH e Milano, che hanno avuto qualche risonanza a livello televisivo, ma questo cosa vuol dire? Guadagnare attenzione mediatica non significa guadagnare punti in una lotta. E soprattutto non vedo novità nella concezione generale che dovrebbe guidare queste azioni: si potevano fare anche leggendo Singer (infatti).

      I vegani sono in aumento addirittura “esponenziale”? Su quale statistiche ci basiamo? E poi, cosa più importante, chi ha stabilito che è una cosa positiva?

      Ma veramente mi sembra di ripetere le stesse cose, quest’ultima risposta l’ho data pure ad Horta alla conferenza di Roma, perché mi proponi ancora la stessa obiezione?

      • stopthatrain ha detto:

        Marco il tavolo al Ministero è un passo avanti concreto – tant’è vero che i vivisezionisti vogliono approfittare del cambiamento del governo per interromperlo – perché così le nostre istanze sono entrate nei palazzi (le istanze dell’antivivisezionismo scientifico, ma i tre scienziati sono tutti animalisti e usano argomenti scientifici per ragioni etiche). Non siamo più fuori ad attaccare il sistema, ma dentro per cambiarlo.
        L’azione del 20 aprile a Milano poi mi sembra che abbia fatto esattamente quello che suggerisci tu nell’articolo che hai indicato a Rita, ovvero spiazza le aspettative di chi osserva e confonde la lettura comune della realtà: non è esattamente usuale che la gente si faccia arrestare per salvare un migliaio di topi, senza nemmeno provare a farla franca! Tutto ciò non solo dà forza e coesione al movimento, ma influenza l’autorappresentazione stessa della società, che non può collocare il significato del gesto entro le categorie interpretative generalmente valide.

      • MM ha detto:

        io continuo a vedere un ottimismo ingenuo ma non voglio fare il guastafeste di nessuno. Un’azione per me sarà diversa quando cambierà l’approccio che la muove e quando produrrà un cambiamento effettivo negli assetti di potere. Per ora non c’è nè l’una cosa nè tantomeno l’altra. Sulla “forza” e la “coesione” del “movimento” (virgolette tutte necessarie) sono ancora più scettico. Ma, come detto, non voglio costringere nessuno a guardare la realtà con i miei occhiali, se per voi va tutto benissimo così, pace. Mi auguro abbiate ragione voi 🙂

  3. rita ha detto:

    E comunque non vedo l’ora che venga il primo giugno e di ascoltare il dibattito tra te e Caffo. 🙂

  4. carissima Rita, grazie per l’apprezzamento!
    in merito alle tue osservazioni mi pare che Marco in persona abbia risposto. come si può pensare che quello che dice sia disfattismo senza comprendere invece la chiarezza con cui esplicita certe dinamiche?
    rispondendoti a una tua altra affermazione credo, chiarirò una volta per tutte dove sia il grande, ab-norme fraintendimento, per il quale mi sono addirittura spinta a dichiarare che l’antispecismo debole è l’antispecismo politico solo che fonda proprio la sua posizione sul fraintendimento miope circa la liberazione totale, che continuo a vedere espressa in molti articoli.
    tu dici:
    e ricordo anche quella bella discussione che avemmo io e te proprio quella sera in cui ci trovammo di fronte ai cancelli della Menarini in cui mi parlasti della tua idea di lotta interconnessa. Ad esempio mi trovasti d’accordo nel provare a denunciare insieme lo sterminio degli animali in alcuni contesti (tipo i macelli, ora non ricordo esattamente) e anche le condizioni di sfruttamento degli operai che vi lavorano.

    io non ho detto questo! io ho detto che se vogliamo stroncare l’industria della carne, dobbiamo iniziare dagli allevamenti, poi dai macelli e poi arrivare al rivenditore, al consumatore ecc… ho fatto quindi un esempio concreto di quello che io vedo come possibile percorso: così come esistono organizzazioni, anche e soprattutto in Italia, che si occupano esclusivamente del ricollocamento e della riconversione di aziende non sostenibili in aziende sostenibili, dipendenti compresi, proponevo, anzi ti facevo partecipe di un progetto di per animalia veritas, di rivolgersi proprio a queste srutture per tentare delle azioni mirate negli allevamenti. non entro nei dettagli proprio perchè è un mio progetto in corso!! ma vedi la differenza sostanziale tra la tua percezione/interpretazione e i fatti reali del mio discorso? la realtà animale, la situazione in cui vive nei luoghi di sfruttamento è strettamente interconnessa alla società umana, non ne è né un arredo né una parte avulsa. ne è la linfa vitale.
    Da attivista, ho la presunzione di sentirmici, capisco la critica di Marco, che non è nemmeno una critica ma a mio avviso un urlo di dolore! Quando dice che non stiamo andando da nessuna parte non lo fa per sminuire le azioni che quotidianamente facciamo (anche perchè sarei alquanto schizofrenica io, che credo e condivido quello che dice!). Quello che significano quelle parole non è disfattimo ma lucida osservazione della realtà. Se per eliminare lo sfruttamento animale è necessario scardinare il sistema allora noi, per quanto stiamo crescendo numericamente come movimento, non stiamo facendo nulla di particolarmente rilevante, poichè se è vero che aumentano i vegani, e dovrebbo analizzare anche come e perchè, è altrettanto vero che la produzione di carne è in aumento esponenziale nel mondo, anche nei paesi dove prima l’allevamento intensivo non era contemplato. Questo, tra l’altro, va a conferma della mia visione di un mondo capitalistico che porta avanti le istanze di dominio di una categoria dominante autoritaria, patriarcale, repressiva, che per preservare i suoi privilegi continua a disintegrare il pianeta. Inoltre se hai letto attentamente il mio articolo capirai ancora di più cosa intendo poichè la società non è fatta a comparti stagni, non è fatta nemmeno di buono e cattivo ma da mille sfumature, componenti, caratteristiche che vanno talmente oltre l’individuale che sarebbe il caso di mettersi immediatamente a studiare delle nuove strategie. quello che facciamo noi come movimento, noi in senso davvero universale, è denunciare, mostrare, informare ma ancora non abbiamo fatto alternative proposte concrete e radicali in direzione di una liberazione animale, se non, e senza sminuire, portare il veganismo a filosofia di vita, come se, riuscendo a “veganizzare” il mondo, riusciremo a eliminare la sopraffazione delle società globalizzate.
    e infine, vorrei dire a Pasquale che non condivido affatto la sua visione dell’azione del 20 aprile. Quello che è accaduto il 20 aprile è uno squarcio su una realtà finora tenuta al sicuro. Una denuncia che si connota decisamente in modo diverso rispetto alle altre proteste portate avanti e che rivendica, attraverso il gesto di disobbedienza civile, una società rinnovata. nulla è “inutile”, bisogna vedere il dopo…….

    • pasquale cacchio ha detto:

      «Quello che è accaduto il 20 aprile è uno squarcio su una realtà finora tenuta al sicuro. Una denuncia che si connota decisamente in modo diverso rispetto alle altre proteste portate avanti e che rivendica, attraverso il gesto di disobbedienza civile, una società rinnovata. nulla è “inutile”, bisogna vedere il dopo…»,
      Certo.
      Ho detto che si tratta di un atto di eroismo, ben diverso dalle (innocue per il Potere) manifestazioni, dalle petizioni, dalle commoventi scene ‘teatrali’ tra la folla… , azioni che non ritengo affatto inutili.
      Solo che per me si tratta di un sasso che smuove il pantano, per molti animalisti uno tzunami.
      Ciò non toglie che ho una grande ammirazione per i movimenti di liberazione animale
      e nessuna voglia di seminare pessimismo con la mia opinione.

  5. massimo ha detto:

    “la liberazione umana è la conditio sine qua non per la liberazione animale”…. non ho letto ogni commento, perche’ mi sono fermato subito a questa frase. Mi chiedo se questa non sia ancora una sottile forma di antropocentrismo, un modo elegante di dre :” vabbe’, a parole riconosco agli animali uguale dignita’, ma poi in fondo alla mia coscienza c’e’ sempre una gerarchia di oppressioni”. Io sento che e’ la liberazione animale la conditio sine qua non per la liberazione umana, cioe’ riuscire a invertire la relazione sia con una necessita’ quale il cibo sia con il modo dell’aggressione. Mi viene in mente il film ‘2001 Odissea nello spazio’ dove si comincia con l’uomo che impara ad usare lo strumento della clava (e quindi a fare strage di erbivori) e si finisce con l’uomo che sta per essere dominato da un altro strumento, il computer. Imparare a non mangiare prodotti animali e’ come avere l’occasione di tornare indietro nel tempo e di poter meditare/sentire il cambiamento.

  6. massimo ha detto:

    P.s Oltre alle speciali e speciose filosofie dell’attivismo, forse non sarebbe male vedere qualche volantino in piu’ la’ fuori (bastano una stampante e del nastro adesivo), no?

  7. massimo ha detto:

    Scusate ma ho appena letto: ” I vegani sono in aumento addirittura “esponenziale”? Su quale statistiche ci basiamo? E poi, cosa più importante, chi ha stabilito che è una cosa positiva?”. Io non faccio fatica alcuna a stabilire che e’ una cosa positiva…. Questa mi ricorda uno slogan (autoironico e ironico) che ho letto qui a Melbourne :”I was vegan before it was cool”. (Ero vegano gia’ prima che fosse figo)… 🙂

  8. Massimo dovresti leggere tutto ma proprio tutto per non interpretare in modo arbitrario quelle affermazioni che citi. Qui nessuno ce l’ha con i vegani, anche perchè siamo tutti vegani! ma con l’idea che il veganismo sia la strategia stessa da applicare per la liberazione animale. Certamente è fondamentale diffondere informazioni sul veganismo e portare per primi come esempio le nostre stesse esistenze ma oggettivamente non credo possa essere questa LA strategia risolutiva, semmai è complementare, funzionale, strumentale, e nel mio articolo spiego anche perché. Se così non è allora come spieghi che mentre pare aumentino i vegani aumentano anche a dismisura gli allevamenti, anche in quei paesi che prima di allevamenti intensivi non ne avevano affatto? e come spieghi che la produzione di carne è in aumento? attenzione, non dico che se ne venda di più. sappiamo tutti che non esiste più il meccanismo domanda offerta ma che al contrario c’è offerta – condizionamento- acquisto.

    in merito alla tua affermazione:

    un modo elegante di dre :” vabbe’, a parole riconosco agli animali uguale dignita’, ma poi in fondo alla mia coscienza c’e’ sempre una gerarchia di oppressioni”.

    non si tratta affatto di gerarchia di oppressioni. sempre nel mio articolo infatti mi pare di aver cercato di spiegare che non esiste un “più” e un “meno” ma un noi, in cui animali umani e non umani sono avviluppati. è il sistema che l’uomo ha costruito che funziona così non è che lo decidiamo arbitrariamente! se poi mi spieghi questa frase perchè non l’ho proprio capita, te ne sarei grata:
    Io sento che e’ la liberazione animale la conditio sine qua non per la liberazione umana, cioe’ riuscire a invertire la relazione sia con una necessita’ quale il cibo sia con il modo dell’aggressione.

  9. rita ha detto:

    Barbara, tu scrivi: “io non ho detto questo! io ho detto che se vogliamo stroncare l’industria della carne, dobbiamo iniziare dagli allevamenti, poi dai macelli e poi arrivare al rivenditore, al consumatore ecc… ho fatto quindi un esempio concreto di quello che io vedo come possibile percorso: così come esistono organizzazioni, anche e soprattutto in Italia, che si occupano esclusivamente del ricollocamento e della riconversione di aziende non sostenibili in aziende sostenibili, dipendenti compresi, proponevo, anzi ti facevo partecipe di un progetto di per animalia veritas, di rivolgersi proprio a queste srutture per tentare delle azioni mirate negli allevamenti. non entro nei dettagli proprio perchè è un mio progetto in corso!! ma vedi la differenza sostanziale tra la tua percezione/interpretazione e i fatti reali del mio discorso? la realtà animale, la situazione in cui vive nei luoghi di sfruttamento è strettamente interconnessa alla società umana, non ne è né un arredo né una parte avulsa. ne è la linfa vitale.”

    Beh, mi parlasti anche dell’oppressione degli operai coinvolti in tali settori, da denunciare contestualmente, quindi portando avanti un progetto di liberazione interconnessa, diciamo.

    E mi pare che appunto è ciò che ci proponiamo tutti noi coinvolti nella liberazione animale.
    Non mi pare che nell’attivismo si aggrediscano i singoli consumatori di carne, ma si parla appunto di abolire i macelli, gli allevamenti ecc., così come si parla di abolire i circhi, gli allevamenti per le pellicce, le botticelle e altre forme di sfruttamento evidenti, ovviamente parlando anche delle alternative.

    Sulla liberazione totale ho già detto ciò che penso, miro anche io a liberare l’umanità insieme agli animali e ci mirano anche i presupposti dell’antispecismo debole, solo tentando prima di restituire agli animali quella dignità che gli abbiamo sottratto. Tanto, se non scardini il concetto che gli animali siano esseri inferiori (dal linguaggio, dalla letteratura, dal cinema, dall’arte e da tutti i settori della produzione, dalla cultura in generale, diciamo), sarà impossibile ridare dignità pure alle persone oppresse. Come si incitano i soldati ad invadere il “nemico” di turno? Degradando quest’ultimo allo status di “luridi maiali” ecc. ecc.

    Dire che non si sono ottenuti risultati di recente è davvero miope. Il tavolo aperto tra ricercatori pro-sa e ricercatori anti-sa mi pare una realtà evidente e mira proprio a cambiare il sistema dall’interno.
    I dati dei vegani in aumento sono stati ottenuti tramite statistiche che citò Oscar Horta, ora non ricordo, chiederò a lui.

    Ultima cosa: è vero che nel resto del mondo invece la situazione non è così rosea, però, sempre come disse Oscar, e sempre per il fenomeno che in antropologia culturale si chiama diffusionismo, beh, noi intanto agiamo dove possiamo e proviamo a cambiare la realtà che abbiamo a portata di mano, poi vedrai che ci saranno reazioni e conseguenze anche altrove. Intanto molti altri paesi potrebbero prenderci come esempio, ogni paese ha i propri attivisti.
    Anche le rivoluzioni culturali del passato cominciavano in un paese, poi si estendevano a macchia d’olio.
    Per forza di cose si agisce sempre prima localmente.

    • rita ha detto:

      P.S.: ma soprattutto continuo a pensare che le battaglie per la liberazione umana e quella per la liberazione animale abbiano proprio peculiarità del tutto diverse e in alcuni casi irriducibili. Non mi metto a ri-spiegare perché, ne ho parlato diffusamente nel pezzo sull’antispecismo debole, che immagino avrai letto.
      Come si può pensare, ad esempio, che la lotta contro la discriminazione degli omosessuali o le battaglie contro il sessismo e finanche quelle per le vittime delle guerre siano la stessa cosa della lotta contro lo sfruttamento degli animali?
      La differenza è che mentre la violenza sugli umani è universalmente riconosciuta (pure se continua ad avvenire in parecchie realtà), quella sugli animali proprio NON è riconosciuta.
      Noi tutti siamo disposti a riconoscere l’orrore dei bambini trucidati in guerra, ma solo pochissimi di noi riescono a scorgere l’orrore della confezione di carne che si vende al supermercato. Inoltre lo sfruttamento degli animali è diffuso ovunque, non c’è paese al mondo che non stermini gli animali nelle più disparate forme.
      Gli animali non hanno il diritto basilare alla vita. Gli umani, almeno sulla carta, ce l’hanno. Che poi esistano realtà terribili non significa che comunque non si sia disposti a riconoscere l’orrore.
      L’orrore della violenza sugli animali non è riconosciuto, è anzi accettato, normalizzato, istituzionalizzato. E loro, gli animali, non possono nemmeno lottare per loro stessi.
      Come fate a non capire che si tratta di battaglie diverse, che richiedono strategie diverse e non assimilabili tra loro? E non si sta qui, come qualcuno mi ha accusato, facendo una gerarchia degli orrori, solo riconoscere le differenze tra diverse emergenze. E nemmeno si vuole asserire che non si vuole pensare agli umani, solo che lo si vuol fare in maniera disgiunta dove non è possibile farlo insieme.

  10. michela ha detto:

    Intanto complimenti per il bellissimo articolo!
    Quando dici “non esiste un “più” e un “meno” ma un noi, in cui animali umani e non umani sono avviluppati” intendi usare il noi in modo inclusivo immagino e quello che mi sembra paradossale è che non possiamo includerci gli uni negli altri, almeno fino a che si parla di diritti. Come possiamo lottare parlando di Noi, la nostra lotta, includendo sia la lotta per i diritti umani che sono lesi e calpestati magari, ma che di fatto già sono sanciti e i diritti di animali diversi da noi che da noi stessi sono presi giornalmente, routinariamente e in modo sistematico uccisi e tagliati in pezzi e che quindi non hanno diritto alla vita? Quello che tu proponi e propone l’antispecismo politico ha un senso, ma solo dopo che esisterà almeno il diritto alla vita per tutti. Non riesco a immaginare una lotta congiunta dove si portino avanti entrambi gli interessi, ci sarebbe inevitabilmente un conflitto di interessi che porterebbe la natura umana a scavalcare qualsiasi diritto e a far di nuovo il suo interesse. Non nutro molta speranza per questo. Anche io, credo che la condizione per avere una liberazione totale di tutti gli esseri viventi sia quella di liberare in primis “gli schiavi degli schiavi”, coloro che vengono usati come paragone negativo per denigrare una persona. Sono certa che quando impareremo ad accettare il diverso, accetteremo anche la nostra stessa specie. Il mio freno quindi, sta sopratutto nella non fiducia nella natura umana. Per il resto, ben venga il riappropriarsi degli spazi pubblici istituzionali per entrare e scardinare il sistema, ma a patto che non serva a portare avanti gli interessi umani. Ora, come sappiamo nessuno ha una ricetta a quanto pare, anche se esistono molte critiche, quindi, non resta altro che sforzarci di pensare a nuovi e più incisivi modi di agire, ma non restando fermi, continuando a fare quello che fino ad ora abbiamo fatto che non sarà molto, a detta di pochi, ma che sicuramente è qualcosa.

    • rieccomi!
      Rita il fatto che noi abbiamo parlato ampiamente della questione legata alle forme interconnesse di schiavitù nell’ambito degli allevamenti non costituisce una minore attenzione agli animali e il punto centrale della mie affermazioni e dell’individuazione di una battaglia di potenziale ri-qualificazione di un allevamento mi sembra che, se ci si riuscisse, porterebbe di per sé all’eliminazione dello stesso. Non vedo dunque la discrepanza o la minore importanza attribuita agli animali, considerando il fatto che di loro ci sta preoccupando e per loro si sta intervendendo. L’esempio però era per far capire che nella società contemporanea, così come strutturata, non è ipotizzabile che l’allevamento chiuda solo perchè non è etico sfruttare gli animali. Questo può valere per “noi” ma non certo per la società, altrimenti ciò non esisterebbe affatto. Visto che ormai la sociologia ci insegna che la società “è” relazione, non “ha” relazioni. Essa ha costituzione relazionale. “Non è fatta di cose e neanche di individui che usano queste cose”. Essa è relazione- come ho scritto nell’articolo – visto che eminenti studiosi, potrei citarne molti, uno fra tutti Bourdieu, ci illustrano come le strutture sociali sono molto più complesse di quello che pensiamo, volubili ma conservative, mobili, composite e trasversali, non è possibile ancora pensare che “quando impareremo ad accettare il diverso, accetteremo anche la nostra stessa specie”, citando Michela, poichè questo implicherebbe una globale e collettiva rivoluzione etica che di per sé il sistema non contempla poichè strutturato su schemi e “campi” diversi e lontani dall’etica.
      Mi sembra dai vostri articolati commenti, Rita e Michela, che il punto nodale su cui insistete nel dissentire e che quindi, a vostro avviso, rende “inaccettabile” l’antispecismo politico è la questione legata alla liberazione totale.

      Rita: Gli animali non hanno il diritto basilare alla vita. Gli umani, almeno sulla carta, ce l’hanno. Che poi esistano realtà terribili non significa che comunque non si sia disposti a riconoscere l’orrore.
      L’orrore della violenza sugli animali non è riconosciuto, è anzi accettato, normalizzato, istituzionalizzato. E loro, gli animali, non possono nemmeno lottare per loro stessi.
      Come fate a non capire che si tratta di battaglie diverse, che richiedono strategie diverse e non assimilabili tra loro? E non si sta qui, come qualcuno mi ha accusato, facendo una gerarchia degli orrori, solo riconoscere le differenze tra diverse emergenze. E nemmeno si vuole asserire che non si vuole pensare agli umani, solo che lo si vuol fare in maniera disgiunta dove non è possibile farlo insieme.

      Michela: Per il resto, ben venga il riappropriarsi degli spazi pubblici istituzionali per entrare e scardinare il sistema, ma a patto che non serva a portare avanti gli interessi umani.

      Mi pare che entrambe seguiate Regan, voi auspicate un allargamento dei diritti agli animali come se i diritti delle società umane fossero un dato acquisito. Ma il fatto che i diritti siano un dato acquisito nelle società umane è solo parzialmente vero e solo sulla carta. Una dimostrazione lampante di questo è proprio la situazione delle donne, senza guardare a parti del mondo dove questi diritti che citate sono assenti. Le donne nel sistema occidentale sono realtà subalterne, represse e ostacolate, soggiogate da una società prettamente patriarcale di dominio assoluto sul diverso. Voi potreste dirmi, si certo, ma guarda noi, siamo donne libere e felici. Certamente, noi. potreste dirmi ancora eh ma gli animali macellati non sono paragonabili. Certamente. e quindi? siete in realtà voi che fate graduatorie selettive. Ridare dignità agli animali, rivendicare il loro diritto alla vita non passa necessariamente attraverso una battaglia di tipo morale. e non è la battaglia di tipo morale che scandisce la specificità della liberazione animale.
      Lottare per scardinare il sistema implica un ripensamento radicale della società, dei rapporti e delle categorie finora acquisite, significa spazzare via le dinamiche fondanti della struttura portante delle società dominanti. Liberare gli animali senza capire che sono invischiati in queste dinamiche è riduttivo. Cosa significa liberare gli animali? se accettiamo l’assunto di base dell’antispecismo politico e l’analisi storica che produce come possiamo immaginare di liberare gli animali senza combattere questo stesso sistema che li incatena? tornando a Regan voi volete gabbie vuote, e infatti volete, attraverso un attivismo che promuova una nuova visione etica del mondo e la diffonde, smuovere gli animi per trovare la chiave che apra quelle gabbie, io invece vorrei proprio eliminare chi produce la gabbia. (in senso metaforico, ovviamente, non voglio uccidere nessuno 😛 ). E intendiamoci, sono convinta che potremmo davvero farlo se ci unissimo perchè ribadisco che il sistema che protegge privilegi di un dominatore sociale è ben identificato e non siamo soli. Se canalizzassimo le battaglie in questa direzione faremmo passi da gigante.

  11. michela ha detto:

    Avere gabbie vuote vuol dire che chi le produce smetterà di produrle, per esempio. Ma, a parte questo, vorrei sapere se, oltre alle critiche come quelle che si stanno facendo all’attivismo per come è ora strutturato, ci sono delle proposte concrete. Vorrei inoltre capire se, secondo voi è verosimile che il resto della popolazione umana possa accettare di combattere assieme queste battaglie fino alla fine, senza tirarsi indietro quando toccherà agli ultimi se, inoltre, si prende in conto la natura umana e le passate esperienze di attuare una politica socialmente giusta… Ora, non pensiate che a me, o agli altri, non tocchino certi argomenti, è chiaro che ci toccano, ci straziano e ci riempiono di rabbia le immagini della Siria, dei bambini e delle persone che muoiono nelle fabbriche asiatiche sotto pagati, della gente che si suicida per questo, ma la mia domanda, ancora una volta è: avete/hai per lo meno un’idea di come portare avanti questa lotta parallela? E’ importante saperlo, perchè se tutto si riduce a far numero alle manifestazioni e partecipare ad eventi tutti lo facciamo perchè è comunque una lotta che ci appartiene in quanto i soggetti sono i deboli. Le investigazioni?…anche, mi sembra che ci siano fior fiore di attivisti che per scardinare il sistema vanno dall’altra parte del mondo, investigazioni sui produttori, come le ormai bellissime e tristemente famose investigazioni di Animal Equality. Tutti riconosciamo l’orrore straziante delle foto poste da Marco sul suo articolo di qualche mese fa, ma pochi riconoscono lo strazio dei non umani. Mi piacerebbe avere informazioni più approfondite per esempio sul movimento antischiavista dello scorso secolo, sapere se loro ad un certo punto si son messi li a dire di fermarsi e riflettere se accorparsi con altre lotte. Questi sono i miei dubbi e le domande che mi /ti pongo. 😀

    • intanto vorrei capire perchè parli dandomi del voi 😀 non è che perchè io condivido l’antispecismo di Maurizi abbiamo per questo costituito un sodalizio, un gruppo di attivisti.

      “Avere gabbie vuote vuol dire che chi le produce smetterà di produrle, per esempio”
      allora stiamo dicendo la stessa cosa.

      “Ma, a parte questo, vorrei sapere se, oltre alle critiche come quelle che si stanno facendo all’attivismo per come è ora strutturato, ci sono delle proposte concrete.”

      Di quali critiche stai parlando Michela? mi pare che qui le critiche le muoviate tu e Rita 🙂

      “Vorrei inoltre capire se, secondo voi è verosimile che il resto della popolazione umana possa accettare di combattere assieme queste battaglie fino alla fine”

      Non è il resto della popolazione umana che deve accettare di combattere con noi ma tutte quelle realtà, come la nostra, ai margini del sistema e che lo vogliono scardinare. In particolare ovviamente, tutto questo all’interno delle dinamiche del mondo globalizzato. Ma è così complicato riuscire ad avere un’idea di insieme organico della società e delle dinamiche di dominio? davvero non riesci a cogliere il nesso in quello che dico?

      “avete/hai per lo meno un’idea di come portare avanti questa lotta parallela? E’ importante saperlo”

      Mi pare che non solo ho in mente come farlo ma ho già progetti in piedi, che ovviamente non si realizzeranno domani. Le manifestazioni per me, e lo sai, sono solo un momento di rappresentanza, poco altro.

      “Le investigazioni?…anche, mi sembra che ci siano fior fiore di attivisti che per scardinare il sistema vanno dall’altra parte del mondo, investigazioni sui produttori, come le ormai bellissime e tristemente famose investigazioni di Animal Equality. ”

      esattamente, più politici di così non si può chiedere altro! aggiungerei anche Nemesi Animale.

      Michela nelle tue risposte vedo da un lato, una posizione di defensiva, dall’altro di attacco. In realtà mi sembra che cerchi a tutti i costi di sminuire l’importanza delle interconnessioni tra fenomeni sociali di dominio intra-specie e quelli di dominio specista. Non sono due realtà svincolate ma avviluppate. Allora possiamo anche scendere in piazza e scriverci in fronte che combattiamo solo per loro, poichè lo rivendichiamo sia io che te, ma poi nei fatti non esiste una liberazione effettiva se non scardinando il sistema e per farlo bisogna liberare contestualmente la società che li sfrutta e li rende schiavi.

      “Mi piacerebbe avere informazioni più approfondite per esempio sul movimento antischiavista dello scorso secolo, sapere se loro ad un certo punto si son messi li a dire di fermarsi e riflettere se accorparsi con altre lotte. ”

      La questione degli schiavi non è certamente paragonabile a quella animale in questi termini, ma ti tolgo subito il dubbio. Loro, i diretti protagonisti di questo abominio certamente no, ma gli umani bianchi schiavisti e colonizzatori certamente si. è piena la storia dei dibattiti estenuanti quasi, sia in Europa che in America, circa la natura di questi individui, se fossero animali o umani, se avessero un’anima o meno, se provassero dolore o meno, se fosse etico trattarli da schiavi. Il dibattito circa l’abolizione della schiavitù è durato 4 secoli, tra digressioni, testi filosofici, letterari, petizioni e proteste, lotte e guerre. Secoli in cui comunque venivano deportati a milioni, uccisi, violentati, abusati, crocifissi, impiccati, frustati, sgozzati, torturati ridotti a nulla, a oggetti.

  12. michela ha detto:

    Voi, è inteso come antispecisti politici, voi che seguite questa idea, mi pare chiaro!

    Per quanto riguarda le gabbie stiamo dicendo la stessa cosa ma la differenza è che tu vuoi partire e agire solo dall’alto, facendo in modo che le gabbie non si producano più, io nel mentre che aspettiamo che le tue idee escano dal cilindro e ci togli dalle spine, proporrei di iniziare anche dal basso, trovare il modo intanto di aprirle.

    Le critiche di cui sto parlando sono quelle che l’antispecismo politico fa a tutto l’attivismo odierno e all’antispecismo debole o morale o etico. Direi che il resto più che critiche sono domande concrete che si stanno facendo ormai da mesi ma che non hanno risposta.

    Ok, giustamente non è il resto della popolazione umana, andiamo quindi a cercare i movimenti marginali, i movimenti che si occupano dei più deboli, citando i tuoi esempi potrei osare un qualche movimento dei diritti per le donne, o meglio, i movimenti LGBT: ma tu, pensi veramente che, a parte quei pochi che già sono convintamente antispecisti, porterebbero avanti con noi questa battaglia e fino in fondo? Io, per ora, quando ho parlato con persone non antispeciste, mi son sentita solo dire ” si, gli animali sono uccisi, usati, ma non è come picchiare, violentare, sottomettere, umiliare una donna o ghettizzare per diversità di genere”. Ripeto, forse avete troppa fiducia nel genere umano.

    Il nesso lo colgo benissimo, ma non so quanto lo possono cogliere gli altri, quanto sono disposti a fare.

    Giustamente, come noi tutti, consideri le investigazioni atti politici, di fatto fanno parte dell’attivismo odierno e stanno prendendo una forma oltremodo diversa, più cosciente e “responsabile” : questo tipo di attivismo quindi è contemplato.

    Non vedo per quale motivo dovrei difendermi o attaccare, sto solo discutendo sotto un articolo di un argomento che sai interessarmi, potrei dire io la stessa cosa. Quello che tu capisci è sbagliato, direi che hai frainteso, nessuno sminuisce niente, le connessioni sono palesi, ma lo sono in quanto, nel dominio intra-specie si cerca di denigrare, sottomettere l’altro paragonandolo sempre ad un animale non umano, si cerca di abbassarlo allo stato di animale non umano, per questo per quanto mi riguarda, partirei da una liberazione specificatamente animale per poi raggiungere quella totale…e tralascio i soliti discorsi sui diritti che ti ho già scritto.
    Tu poi scrivi ” liberare la società che li sfrutta e li rende schiavi”: secondo te, la società vuole essere liberata? Tu pensi che si voglia rinunciare al capitalismo, così, con tanta facilità? E’ palese che ciò che ci rende tutti schiavi è il capitalismo e quindi, da bravi anticapitalisti, ormai sono anni che lo faccio, boicottiamo Danone, Nestlè, CocaCola…ma siamo sicuri che serva scardinarli? secondo me scardiniamo loro e troviamo altri che prenderanno il loro posto, ne più ne meno…tenendo sempre in conto la sopra citata natura umana in cui non ripongo alcuna speranza.

    Nei 4 secoli di dibattito, e già mi ero informata, non sono certo stati solo li a discutere e a farne una questione di lana caprina e fermarsi a pensare, valutare se associarsi o meno con altri movimenti o su come arrivare prima al traguardo. Oltre a questo, c’è anche da prendere in considerazione che gli animali sono “deportati a milioni, uccisi, violentati, abusati, crocifissi, impiccati, frustati, sgozzati, torturati ridotti a nulla, a oggetti” da noi, dall’uomo, non da 4 secoli, ma almeno da 2 milioni di anni : fermarsi a pensare mi sembra ironico.

    La cosa da proporre invece sarebbe un tavolo di dibattito parallelo dove si uniscono le idee e si stabilisce un piano di azione, considerando tutti i tipi di attivismo e i vari obiettivi in termini di tempo.

    • ok, allora guarda invece di rispondere ripetendo le stesse cose che ho detto diverse volte ormai ti ribalto la domanda, vediamo se ne usciamo 😀 come immagini un mondo liberato, con animlai liberi? come ipotizzi di raggiungere questo obiettivo? ovvero cosa pensi che otterremo continuando con le nostre pratiche odierne e con obiettivi moralizzanti?

      c’è anche da prendere in considerazione che gli animali sono “deportati a milioni, uccisi, violentati, abusati, crocifissi, impiccati, frustati, sgozzati, torturati ridotti a nulla, a oggetti” da noi, dall’uomo, non da 4 secoli, ma almeno da 2 milioni di anni : fermarsi a pensare mi sembra ironico.
      chi è che si dovrebbe fermare a pensare scusa? chi ha mai parlato di fermarsi? chi dice che dovremmo aspettare e cosa?

      La cosa da proporre invece sarebbe un tavolo di dibattito parallelo dove si uniscono le idee e si stabilisce un piano di azione, considerando tutti i tipi di attivismo e i vari obiettivi in termini di tempo.
      Michela è quello che sto dicendo nel mio articolo! ma cosa intendi tutti i tipi di attivismo? le modalità le strategie i fini o gli obiettivi? e parli di animalisti o antispecisti?

  13. michela ha detto:

    Buongiorno!
    Mi sembra comico che nessuno e nemmeno te rispondiate a delle domande che invece ribalti. La mia utopia è identica alla tua cara Barbara ( perchè per ora non si può parlare altro che di utopia) solo che tu, l’antispecismo politico, vuole associare la lotta con i movimenti marginali, mentre io per ora (e dico per ora come ho sempre detto, nel senso che metto un limite di tempo) no. Non ne vedo i presupposti, non ne vedo il vantaggio per gli animali. Nel mondo la situazione del’uomo è andata migliorando notevolmente nei secoli e questo è un dato di fatto, mentre quella degli animali no, è in caduta libera. Nessuno parla solo di obiettivi moralizzanti, mi sembra che non ci si muova solo in quel senso. Più che di obiettivi moralizzanti credo si possa parlare di informazione per la gente comune che fino a 1-2 anni fa era poca e a vantaggio solo di pochi, io, per esempio, non avevo mai visto sul tg1 parlare di un’investigazione come quella di Animal Equality.

    Per quanto riguarda il fermarsi, direi che Marco è stato più che chiaro dicendo che tutto quello che fanno gli attivisti è superfluo se non dannoso e che dobbiamo fermarci a riflettere sulle strategie da attuare.
    Come posso fermarmi quando vedo che la gente comincia a recepire positivamente? Ieri ho fatto una banco informativo e in una ora e mezzo, si sono fermate 40 persone a lasciare denaro e dati, la gente si sta informando e si sta sensibilizzando ed è proprio ora che dobbiamo continuare anche su questa strada. Per quanto riguarda le manifestazioni siamo in accordo che sono solo un atto di rappresentanza, si, vero, ma sono anche un modo per farci notare.

    Parlo di tutto l’attivismo, senza continuare a fare questi inutili scismi, tra animalisti o come vengono chiamati dalla crema, dall’elite, “animalari” e antispecisti. Ricordiamoci che tutti siamo scesi in campo per lo stesso motivo, poi ci siamo evoluti in qualcosa di diverso, che tutti eravamo uguali fino ad un certo punto. Ricordiamoci inoltre, che i primi a dover coinvolgere, a dovere far partecipi senza usare metodi discriminanti, sono proprio gli animalisti. Per questo a volte non capisco i ragionamenti di alcuni di noi, che si sforzano, ribadiscono che dobbiamo comprendere culturalmente il macellaio, il cacciatore….perchè la società ecc, ecc, ecc e poi, non comprendere l'”animalista” con cui abbiamo iniziato la lotta non condivide ora i nostri pensieri. Quindi, dico che dobbiamo appunto, metterci a tavolino, tutti compresi e sfruttando le peculiarità di tutti agire a breve, medio e lungo termine. Gli animalisti faranno la loro parte sicuramente. ( e non confondiamo animalisti con estremisti)…ma qui ti risparmio perchè sono discorsi che a lungo abbiamo fatto insieme.

    Sunto: la cosa che meno mi va a genio dell’antispecismo politico e questo voler confluire (anche se ancora nessuno a detto come, in che termini) con altri movimenti marginali come quelli che ho scritto precedentemente,
    Ora, scusami, ma è un periodo “caldo” per me, devo andare. 😀

    • credo che dovresti sapere bene quali sono le mie proposte e le metodologie, le pratiche e strategie che metto in atto. Quando dico che bisogna ridefinire l’antispecismo a partire da un approccio politico significa che va contestalizzato all’interno di un mondo che non ha solo lo specismo ma dui lo specismo fa parte integrante. Quando dico che bisogna ridefinire gli obiettivi per rendere le nostra battaglie efficaci non intendo fare altro da quello che facciamo ma strutturarlo secondo logiche comunicative e attuative differenti. Gli altri movimenti “marginali” non sono affatto “marginali” sono solo anti-sistemici e per questo si tende ad eliminarli dalla collettività, proprio come avviene con il movimento di liberazione animale. Credo quindi che per riuscire a diventare forti e rivendicare specificità dovremmo necessariamente contestualizzare le nostre lotte. E contestualizzare non significa isolarci ma aprirci. Ti risulta che io non faccia informazione? la questione è cosa diciamo e a chi non il modo. In merito a Marco mi pare che abbia ribadito mille volte che non ha detto questo e lo ha anche dimostrato se poi vogliamo continuare a cercare l’ago nel pagliaio facciamo pure…..

  14. rita ha detto:

    Buongiorno, rieccomi anche io.
    Vorrei soffermarsi un attimo sulla frase: “gli animali non sono sfruttati perché considerati inferiori, ma considerati inferiori perché sfruttati”, che è una frase che spesso, riportandola dal lavoro di Marco, ho ripreso anche io.
    Certamente contiene una sua innegabile verità per quanto riguarda l’origine, la genealogia di questo sfruttamento, ma oggi direi che, dopo secoli di cultura specista, le cose sono un tantino più complesse.
    Di recente ho assistito alla conferenza di Annamaria Manzoni (assai interessante devo dire perché impostata anche sul piano psicologico, quindi ha preso in esame i comportamenti delle persone, la rimozione e accettazione della violenza, ha elencato tutti i meccanismi di autodifesa, sia consci, quelli messi in atto dal sistema, media ecc., che inconsci, ossia messi in atto dalle persone e di tante altre cose che generalmente la filosofia dell’antispecismo non tratta perché siamo su due impostazioni diverse del problema) la quale ha fatto notare quanto, nei secoli, sia stata messa in atto una pressoché totale falsificazione degli animali. Non solo non gli vengono riconosciute (per pregiudizi, ignoranza, preconcetti ecc.) le qualità di esseri senzienti dotati di complessità emotiva e cognitiva che noi invece sappiamo bene, ma addirittura vengono sempre descritti come esseri degradati, irrazionali, rabbiosi, incapaci di coscienza ed autocoscienza. Quindi non è che sono considerati inferiori solo perché sfruttati, ma anche perché si è via via, nel corso dei secoli, perso il senso dell’animalità, di quelli che sono gli altri animali non umani.
    Dunque, informare la gente su CHI siano gli animali, ossia ridare, restituire agli animali la dignità sottratta, a me pare un lavoro che l’attivismo odierno sta cercando di fare e lo fa anche molto bene.
    Mi spieghi Barbara (te lo chiedo senza polemica, davvero) altrimenti cosa ci facevi davanti al circo Rony Roller a chiedere col megafono alle mamme di non portare al circo i loro bambini poiché diseducativo (si educano i bimbi all’oppressione dei più deboli ecc.), poiché gli animali sono esseri senzienti in prigionia che soffrono ecc.ecc.?
    Dunque secondo Marco questo non solo sarebbe inutile, ma anche controproducente?
    Io sostengo che se anche domani noi riuscissimo (per magia, suppongo, perché una risposta come farlo nessuno ce l’ha ancora) ad abolire il sistema, troveremo un altro modo per continuare a trattare gli animali come esseri inferiori e per non considerarli detentori del diritto alla vita come noi, se prima non avremo estirpato dalla società il concetto che essi siano irrazionali, stupidi ecc. ecc.; ossia, se prima non avremo ben informato su CHI sono questi animali che vogliamo liberare.
    A me pare che Michela abbia detto una cosa giustissima. Ossia che la rivoluzione dall’alto che propone l’antispecismo politico davvero al momento non abbia un piano, un’idea, una quisquilia che possa essere applicata sin da ora. Lo stesso Marco (e mi perdonerà se lo cito sempre, ma è il rappresentante più autorevole dell’antispecismo politico) almeno fino a poco tempo fa, continuava a dire che lui “una risposta non ce l’ha” su come fare a decostruire il sistema (perché non si deve decostruire e basta, si deve poi anche costruire qualcos’altro al posto di ciò che si eradica). A meno che non abbia elaborato qualcosa in questi ultimi mesi, ma magari, ne sarei felicissima. Le strategie che propone l’antispecismo debole intanto non solo sono attuabili nell’immediato, ma sicuramente non farebbero danni e certamente vorrebbero andare in direzione anche di una rieducazione all’animalità, intesa a 360 gradi. Sia nei confronti degli altri animali proprio, ma anche di noi come animali umani, di noi come abbiamo dimenticato di essere, tutti presi solo nel ruolo di cittadini a seguire in automatico schemi imposti. Guardare, e imparare a farlo, l’altro animale negli occhi (metafora in cui ovviamente racchiudo tutta una serie di concetti) non è un’utopia, mi pare invero qualcosa che tutti potremmo fare già da ora, esortando gli altri a farlo (e non è persuasione moralistica, non è dire “non mangiare carne, non mettere le scarpe in pelle ecc.), bensì è dire: “ehi, guarda CHI sono gli altri animali e guarda un po’ CHI sei tu, insieme a loro”.

    • rita ha detto:

      Tanto che oggi gli animali più considerati e protetti, almeno nei paesi occidentali (e non solo perché si tratta di differenze culturali) sono i cani e gatti (infatti grande scalpore e risonanza emotiva hanno avuto le immagini dei beagles liberati, molto meno quella dei topi nella recente occupazione dello stabulario: ci sono state proprie due diverse reazioni da parte dell’opinione pubblica NON animalista, poi ovvio che invece noi non facciamo differenze). E sai perché? Perché avendoli nelle nostre case, standoci a contatto, osservandoli ecc., riusciamo a riconoscergli effettivamente tutte le qualità e le capacità emozionali, cognitive ecc. che posseggono.
      Nemmeno il più accanito carnivoro (a parte Langone, forse) mangerebbe un cane.
      Ma non solo per un fatto di cultura, bensì anche perché il cane gioca con noi, ci guarda negli occhi e noi guardiamo lui, ci parliamo, ci fa compagnia ecc..
      Dunque a me pare che sia fondamentale raccontare che anche gli altri animali (vitelli, maiali, galline ecc.) hanno una vita emotiva e che soffrano e sentano esattamente come il cane, pure se ognuno secondo le proprie peculiarità relative alla specie.
      In questo senso l’attivismo odierno, le varie campagne che si stanno portando avanti, sta facendo moltissimo. Tanto che solo davvero chi è in malafede o le persone davvero ignoranti oggi sono disposte a negare che gli altri animali non abbiano sentimenti. Lo fanno i sostenitori pro-sa (il topo non soffre la privazione della libertà, dicono…) e chi davvero non sa, non si vuole informare.
      A tal proposito è importantissimo, per sensibilizzare, non usare solo immagini di violenza (che poi psicologicamente si rimuove, a nessuno piace vedere le cose brutte) – e quando lo si fa, essa va sempre contestualizzata e spiegata -, ma intervallarla con quelle che mettono in evidenza le capacità e i sentimenti degli animali.
      Poi un’ultima cosa. Nessuno dice mai (per paura di apparire misantropo? Ma non è questo il punto eventualmente, si vuol solo fare autocritica al limite) che il dominio appartiene solo alla specie umana e che spesso gli altri animali, come i primati, riescono (ne parla Filippi qui: http://www.liberazioni.org/articoli/FilippiM-09.htm) persino a mettere in discussione gli ordini ricevuti dall’alto se questi confliggono con il benessere dei loro simili, dimostrando doti empatiche di gran lunga superiori alle nostre.
      Che sto dicendo con ciò? Che anche per questo la maniera migliore di ridare dignità agli altri animali è farlo abbandonando ogni pretesa e discorso antropocentrico, mettendoli in primo piano. Per una volta almeno nella storia.

    • Rita tu scrivi
      Quindi non è che sono considerati inferiori solo perché sfruttati, ma anche perché si è via via, nel corso dei secoli, perso il senso dell’animalità, di quelli che sono gli altri animali non umani.

      ma hai letto il mio articolo? no, perchè mi pare che io parli ampliamente di psicologia sociale, sociologia e meccanismi relazionali, di soppressione dell’io e di omologazione che ha natura politica ovvero che è strumentale alle pratiche di dominio delle categorie umane che vogliono mantenere i loro privilegi. Le dinamiche repressive, di sommersione dell’io, gli studi sulla violenza simbolica, gli studi antropologici che analizzano le logche su cui si fonda l’economia pre-capitalistica e poi capitalistica, il dominio simbolico, il rapporto tra le strutture oggettive e quelle interiorizzate. é ovvio che indagare le cause è solo una fase del lavoro ed è altrettanto ovvio che se la sicietà è relazione sono molteplici le interferenze. Ma proprio per questo io affermo che si deve andare oltre la morale, semmai passare all’etica ma superarla ancora perchè la società non fatta di etica. mettiamocelo in testa! Michela afferma che non ha fiducia nel genere umano…… infatti nemmeno io e non sono così illusa da pensare che promuovendo la compassione si possa risolvere il problema. Non dico che non debba esserci, attenzione, dico che tentare di rendere gli altri compassionevoli non ha come obiettivo la liberazione animale anzi in questa logica diventa questo l’argomento indiretto!

      Ma chi ha detto che informare il mondo circa CHI siano gli animali sia sbagliato?! Tu scrivi:

      Dunque, informare la gente su CHI siano gli animali, ossia ridare, restituire agli animali la dignità sottratta, a me pare un lavoro che l’attivismo odierno sta cercando di fare e lo fa anche molto bene.
      Mi spieghi Barbara (te lo chiedo senza polemica, davvero) altrimenti cosa ci facevi davanti al circo Rony Roller a chiedere col megafono alle mamme di non portare al circo i loro bambini poiché diseducativo (si educano i bimbi all’oppressione dei più deboli ecc.), poiché gli animali sono esseri senzienti in prigionia che soffrono ecc.ecc.?
      Dunque secondo Marco questo non solo sarebbe inutile, ma anche controproducente?

      Certamente queste pratiche divulgative e informative fanno bene a noi e agli altri. Con la tua domanda hai risposto anche a tutte le altre: io davanti al circo non ho detto non andate al circo perchè gli animali sono esseri senzienti ma ho parlato del circo come realtà non solo diseducativa ma anche deviante (perchè gli animali soffrono). ho fatto un discorso all’inverso. Ma soprattutto sono quella che da 2 anni, in modo sistematico, promuove e sostiene i circhi senza animali. In modo concreto, cercando di aiutarli a emergere.
      Insomma la questione non è di mettersi in antitesi, e su questo spendo una parola verso il messaggio Marco, che mi pare di vedere, non si vuole proprio cogliere soffermandosi sul significato letterale di quello che dice e non sul discorso profondo che esprimono le sue parole.
      Sono convinta che Marco, e mi contraddirà se sbaglio, avrebbe detto che quel presidio era inutile se fossi andata lì davanti a urlare che i circensi sono dei mostri delinquenti e sfruttatori, seppur con belle parole, lanciando il messaggio di rapporto amico/nemico degli animali, e mettendo sempre in contrapposizione l’io che protegge gli animali versus voi che andate al circo o voi che lo fate creando una dicotomia eterna senza uscita.

      Sottolineo che questa non è affatto una rivoluzione dall’alto anzi!! emerge proprio dal basso.

  15. MM ha detto:

    Sinceramente trovo insopportabile questa contrapposizione tra “antispecismi”, mi pare che si riduca tutto ad una battaglia tra tifoserie. Io non ho mai usato il termine “antispecismo politico” per definire una “marca” di antispecismo (e a dire il vero l’ho usato molto poco), ma solo per mostrare le insufficienze di Singer, Regan & co (che mi sembrano sotto gli occhi di tutti ormai). Se Leo vuole usare “antispecismo debole” per contrapporsi a me e non so a chi altro (in effetti non è molto chiaro con chi se la prenda..) è un problema suo e di chi cerca una bandiera sotto cui marciare. Ma io non lo seguo su questa strada, non ho scritto quel che ho scritto per creare una frazione, ma solo per aiutare la comprensione dei problemi. (tra l’altro ho usato anche altre espressioni, “storico” vs. “metaifsico”, “atomistico” vs. “olistico”, “astratto” vs. “dialettico” ecc.). A me non frega niente se uno si richiama all’antispecismo “politico” mi frega che si smetta di pensare che si possa porre fine allo sfruttamento sistematico del vivente (umano incluso) senza agire su ciò che lo rende, appunto, “sistematico”.

    Tra l’altro non mi impressiona molto la richiesta di soluzioni “concrete”. Come se l’utilità di un pensiero stesse nella sua applicazione: questa è una concezione ingegneristica del pensiero, il pensiero serve anzitutto per comprendere, il “salto” verso la prassi non è cosa che si possa progettare nel chiuso di una stanza. E non è compito dei singoli, nè mia, nè di Leo, “inventare” soluzioni pratiche, sarebbe una forma di presunzione sostituirsi al movimento. Come se chi lotta contro il capitalismo aspettasse da qualche testa raffinata che gli venga detto cosa fare. Chi ha influenzato il movimento dei lavoratori o il femminismo, l’ha fatto anzitutto cambiando il modo di pensare degli attivisti e indicando “dove occorre andare a parare”, gli obiettivi di lungo periodo: le prassi di trasformazioni si creano dal basso, nel vivo della lotta, non nei libri e nelle conferenze. Il problema è individuare chiaramente l’obiettivo contro cui si lotta e il mio modesto contributo in questo è stato chiarire che l’obiettivo polemico non sono gli altri umani, ma le strutture di potere economico e politico che regolano la vita sociale. Se il “movimento” capisce quali sono i problemi da affrontare, troverà le soluzioni in modo condiviso, attraverso una spassionata analisi della situazioni e delle risorse che può mettere in campo. Ma chi pretende di avere soluzioni prima di mettersi a tavolino per capire cosa c’è da fare e come è possibile farlo, direi che è destinato ad attendere in eterno.

  16. michela ha detto:

    Intanto, in risposta a Marco (di cui tra l’altro condivido parte dei suoi “pensieri” e mi dispiace che la discussione anche animata venga ridotta a “tifoserie”) vorrei ricordargli che ha dato lui alle stampe questo con un titolo ben preciso http://www.peranimaliaveritas.org/filosofia-antispecista-vegana/24-marco-maurizi-cos-e-l-antispecismo-politico.html, quindi mi pare logico chiamarlo con il nome che gli si e’ voluto dare, ma se preferiamo chiamarlo metafisico va piu’ che bene, i contenuti sono gli stessi. Nessuno fa il tifo per l’uno o per l’altro, ci sono cose dell’antispecismo debole che non condivido, come ci sono cose che invece condivido dell’antispecismo politico: dove e`il problema se ci/vi confrontate?
    Scusa se poi vengono richieste soluzioni concrete, ben venga la concezione ingegneristica, per me non e’ un problema, mi piace sentir “filosofeggiare” ma mi sembrano ovvie e normali certe richieste: uno fa una critica, anche abbastabnza concreta e pesante all’attuale attivismo, quanto meno dovrebbe avere un barlume di cosa voler fare, una proposta che non puo’ essere solo quella di dire fermiamoci a pensare.

    Barbara, infatti, conosco talmente bene i tuoi metodi di lotta e quello che fai che rimango “estasiata” per come tu concili certi discorsi con quello che sono i fatti che metti in pratica. Tu sei con tutti noi per la strada, a fare informazione, come puoi pensare che quello che fai non solo sia inutile, ma dannoso?

    Gli ho chiamati movimenti marginali perche`cosi’ tu gli hai chiamati ed e’ implicito che marginale vuol dire anti-sistemici: questo non cambia di una virgola il mio pensiero sul fatto che ancora non sia il momento di unirsi. Ribadisco che gli interessi entrerebbero in conflitto.

    Ribadisco inoltre ancora e per l’ennesima volta che non solo l’importante e`a chi e cosa diciamo ma anche il modo che abbiamo di rapportarci con il resto dell’umanita’ aprendoci e fra di noi. L’informazione va fatta a 360 gradi e anche per le strade tutti i giorni, cosa che per esempio a Roma, fino ad ora hanno/abbiamo fatto veramente in pochi, si contano su una mano. Quello che fino ad ora abbiamo fatto noi e’ parlare tra noi, e ben venga, la trovo una cosa utilissima, un obbligo quasi, continuare a confrontarci ( serate di antispecismo, seminari, congressi) ma di fatto, stiamo tagliando fuori una parte di persone. Le cose dovrebbero essere portate avanti parallelamente senza ridurre le discussioni a “tifoserie”

    • MM ha detto:

      Il fatto è che invece di discutere di cosa vuole fare l’antispecismo “politico”, vorrei che almeno si parlasse dei problemi che ho posto, se sono reali o meno, se aiutano a comprendere la situazione in cui ci troviamo o meno, perché è per questo che ho scritto certe cose, non per dire a te o ad altri quel che devono fare domani.
      Io non sono uno che “filosofeggia”. Si chiama “analisi” della realtà, ricerca dei problemi. E’ il presupposto di una prassi sensata ed efficace, non è un accessorio per il tempo libero. E, ripeto, ha un valore di per sè, a prescindere da quello che io possa ritenere “utile” fare qui e ora. Questa idea di dire “se critichi devi anche dire cosa bisogna fare” è un vecchio adagio che conosco bene e che non ha molto senso (avrebbe senso se io fossi un “capopopolo”, ma mi guardo bene dall’atteggiarmi in questo senso). Cioè, per dire, se ti accorgi che tu e altre persone state girando a vuoto in un labirinto, non avvisi gli altri prima di aver trovato la strada da imboccare? Li fai girare a vuoto per non offenderli? Denunciare un errore è un bene in sè, è già un passo avanti rendersi conto di sbagliare, proprio per non ripetere gli stessi errori.

      Certo, il problema è che qui un sacco di persone sono convinte che va tutto per il meglio. E se è così, figuriamoci, io non costringo nessuno a cambiare idea. Tutto andrà per il meglio e saremo tutti felici un giorno, auguri! 🙂
      Solo che a questo punto sono io che rovescio la domanda: vorrei proprio sapere cosa “in concreto” si sta facendo per cambiare la situazione attuale e come si spera di modificare con azioni singole che hanno un impatto globale irrilevante, un sistema ramificato sul pianeta, che impatta la vita di miliardi di persone, che produce profitti superiori al PIL di interi paesi, che dà a gruppi imprenditoriali ristretti un potere mediatico e politico immenso sulle nostre vite, gruppi che in alcune parti del mondo agiscono in modo apertamente criminale in contiguità con le mafie ecc. ecc. Ecco, se mi spiegate quali sono i vostri piani “concreti” per porre fine a tutto questo sono qui ad ascoltarvi. 🙂

      • michela ha detto:

        Caro Marco, il fatto è che nessuno ha la ricetta magica ed è proprio qui il punto. Come fai a sapere che è tutto sbagliato e che la tua percezione che tutto è sbagliato è giusta? Avvertendo che gli altri sbagliano strada dicendo che sbagliano tutto a priori fai capire che tu hai la verità in tasca. Mi fa piacere infatti che tu accenni ad un dubbio quando dici “vorrei che almeno si parlasse dei problemi che ho posto, se sono reali o meno”.
        Nessuno purtroppo è convinto che tutto va per il meglio visto che gli animali continuano a morire e aumenta il loro numero costantemente, ma sicuramente c’è anche una maggior consapevolezza grazie all’informazione costante che viene fatta, le persone si informano e vuoi o non vuoi qualche risultato c’è stato.
        Sinceramente, la tua domanda è una “non domanda” per me, visto che non ho tutte le tue certezze. Sono concorde con ” un sistema ramificato sul pianeta, che impatta la vita di miliardi di persone, che produce profitti superiori al PIL di interi paesi, che dà a gruppi imprenditoriali ristretti un potere mediatico e politico immenso sulle nostre vite, gruppi che in alcune parti del mondo agiscono in modo apertamente criminale in contiguità con le mafie “ma se non le hai tu che hai analizzato il problema anche facendo una rilettura del marxismo e che analizzi sicuramente meglio di me la realtà, io certo non posso averla, posso solo continuare a fare attivismo a testa bassa e confrontami con gli “amici” antispecisti su eventuali altri modi di agire, certo, non sto ferma.
        Quello che sto contestando infatti non è il fatto che tu possa avere una idea magari vincente, ma che si considera questa come l’unica via d’uscita e, altra cosa, che ho già ribadito, che almeno per ora, (metto la variabile tempo) per me non è il momento di unire le forze con nessun movimento “marginale”.
        Discutiamo e confrontiamoci tutti, nessuno si sente, almeno io no, tifoso da curva.

  17. rita ha detto:

    Barbara, certo che ho letto il tuo articolo. Ho voluto però soffermarmi su quella frase che ti sento ripetere spesso e ho detto qualcosa di diverso rispetto a ciò di cui parli tu, che ragioni sempre in termini di sistema. Io ho detto di “raccontare” di più chi sono gli animali. Non parlavo di psicologia sociale infatti. Ma perché se non si è d’accordo con quanto asserisci rispondi sempre che non si è capito, che si è frainteso, che non si è letto bene. Addirittura che non si è letto. Ehi non sono una tua alunna, che beneficio ci trarrei a far finta di aver fatto i compiti, se poi non fosse realmente così :-p

    @ marco

    Per carità, il tifo manco mai allo stadio, figuriamoci in questo contesto. 😀 Peraltro io veramente mi trovo a condividere sia alcuni punti dell’antispecismo politico (oh, però in effetti lo hai chiamato anche tu così, lo scrivi anche nel tuo saggio, “Cos’è l’antispecismo politico”, quindi adottiamo questo termine per riferirci in genere al complesso delle tue teorie), che altri dell’antispecismo debole, nel senso che cerco di far tesoro di tutto.
    A me interessa elaborare una teoria che sia applicabile nel concreto, non come formula magica, certamente, ma come strada da percorrere anche su lungo periodo, poi non mi importa se a proporla sarai tu, piuttosto che altri.
    Ciò che critico all’antispecismo politico l’ho già detto altre volte, in particolare il taglio troppo antropocentrico, il discorso della liberazione umana come conditio ecc.; dici che spiegherai meglio alla prossima conferenza, quindi attendo con curiosità.

    • con questo credo che abbiamo concluso il dibattito. il dubbio se hai letto il mio articolo implica domandarmi se hai compreso il mio personale punto di vista al quale in tutti i commenti sopra presenti non ha trovato riscontro, e non perchè dissenti o parzialmente contesti ma proprio perchè fai un discorso parallelo senza entrare nel contenuto del mio articolo. Hai fatto la tua digressione circa i lati positivi e negativi di antispecismo debole e politico, ma il mio articolo non era questo. è molto interessante tutto ciò, da aggiungere certamente alle riflessioni di sociologia che sto effettuando ultimamente. 😀
      Sua maestà la professora vi liquida, andate in pace.

    • devetag ha detto:

      Ho come l’impressione che quando Rita e Marco parlano l’una dei successi dell’attuale attivismo (seppur parziali, ovviamente) e l’altro di insuccesso e anzi di totale irrilevanza degli apparenti risultati positivi, diano questo giudizio in relazione a due obiettivi diversi. Supponiamo che tra dieci o vent’anni, su pressione degli animalisti, dell’opinione pubblica e anche grazie agli avanzamenti nello sviluppo dei metodi sostitutivi, si sancisca finalmente il divieto di sperimentazione sugli animali. Tutto questo solo grazie a una spinta prettamente “animalista” che concentri sempre più l’attenzione della società sul fatto che gli animali sono esseri senzienti, ecc. insomma sull’onda di una spinta “moralistica” che a un certo punto si traduce in leggi. Supponiamo anche che questo non intacchi minimamente il potere di Big Pharma che continuerebbe a fare le sue porcate a danno degli umani esattamente come ora (corruzione, manipolazione dell’informazione, profitti su malattie inventate, magari sperimentazioni illegale su umani e non, ecc.) Io credo che Rita lo giudicherebbe come un immenso risultato e come un segnale che si è sulla strada giusta, mentre Marco al contrario lo giudicherebbe come un passo indietro, che libererebbe sì gli animali, ma non solo non cambierebbe di una virgola il sistema capitalistico attuale, con particolare riferimento allo strapotere delle case farmaceutiche, ma al contrario non farebbe che rafforzarlo. Mi sembra che Marco giudichi qualsiasi avanzamento in tema di diritti (che siano umani o animali) come mera sovrastruttura o “foglia di fico” che consente al sistema di produzione attuale di continuare a perpetuarsi all’infinito assumendo un volto solo apparentemente più umano, e quindi conquistando in realtà ancora più potere in quanto legittimato agli occhi della società. E’ chiaro quindi che ci sia un divario immenso tra una prospettiva come quella dell’antispecismo debole e la sua. Per Marco liberare gli animali costituisce solo una parte del risultato complessivo desiderabile che si otterrebbe solo con la fine del capitalismo e la sua sostituzione con un sistema diverso. Tutto ciò che invece lotta per far cambiare le leggi e per conquistare “diritti” per gli animali non fa altro che rafforzare in realtà il capitalismo che opprime gli umani (e anche gli animali) ed è quindi controproducente. Scusate se ho caricaturizzato e banalizzato, ma è l’una di notte.

      • pasquale cacchio ha detto:

        ah ah, non hai banalizzato un bel nulla, hai capito tutto 😉
        w il Sessantotto

      • non solo, ma di fatto se per liberazione animale intendiamo una liberazione effettiva di tutti gli animali (e antispecismo non è antivivisezionismo, semmai quest’ultimo ne è una parte) sarebbe solo una vittoria parziale e svincolata dal contesto. Proviamo a fare lo stesso con i macelli. Sempre citando Steve Best, lo sfruttamento e l’abuso degli animali è variegato, immane, differenziato e per ognuno di questi sfruttamenti dovremmo avere strategie differenti. Anche questo è fondamentale.
        MariaGiovanna ti scrivi:
        Per Marco liberare gli animali costituisce solo una parte del risultato complessivo desiderabile che si otterrebbe solo con la fine del capitalismo e la sua sostituzione con un sistema diverso.

        io aggiungerei anche che per Marco, che si occupa di liberazione animale, vorrei ricordarlo, perchè da come se ne parla pare che si occupi di altro e casualmente poi di animali, non solo liberare gli animali costituisce una parte ma gli animali non riusciremo a liberarli se non otteniamo un ribaltamento sistemico!

      • MM ha detto:

        Sì MG hai colto, con una buona semplificazione, il punto centrale della questione. Non viviamo in una società fatta di tante persone “che sbagliano” e vanno “corrette”, ma in un sistema che ha delle caratteristiche strutturali di oppressione del vivente, disinformazione, corruzione e non-democraticità. Io penso che questo SIA il capitalismo e che per modificare lo stato di cose si debba superarlo come sistema produttivo, però posso tranquillamente lavorare con chiunque pensi che questa sia solo una “degenerazione” del capitalismo che possa essere superata senza minarne le basi: si può benissimo lottare insieme per un sistema che sia non oppressivo, libero e trasparente nei processi decisionali (chi vivrà vedrà! :D). Quindi ribadisco che io non metto nessuna ipoteca sul “dopo”, per me è solo una questione di metodo.

        Da ciò si deduce che io non ho nessuna “verità in tasca”. Se io dico che si sbaglia, lo dico in base alle analisi che faccio. E vorrei che si discutesse della correttezza o meno delle analisi che faccio. Invece qui, come sempre, si parla solo degli “effetti depressivi” delle mie analisi sui militanti (cosa di cui, sincermanete, mi frega poco), oppure si aggira la questione dicendo “e allora tu che faresti?” con l’aria del bambino offeso perché gli hanno rotto il giocattolo. Quindi, perdonatemi, ma per me la discussione finisce qui. Quando qualcuno verrà a fare una critica puntuale delle osservazioni che ho fatto ai presupposti filosofici dell’antispecismo e al perché questi presupposti inficiano la prassi dell’attivismo, sono disposto a parlarne. Altrimenti la considero una totale perdita di tempo.

        ps. Rita ho detto io stesso che ho usato l’espressione “antispecismo politico” ma se hai letto i miei scritti (compreso Al di là della natura dove, per dire, non appare MAI) esso appare solo sporadicamente insieme ad altre (per me più importanti) definizioni. Non è uno slogan, non è un marchio di fabbrica, e, cosa più importante, è qualcosa che NON ESISTE, perché nessuno, se non il sottoscritto e qualche altro sparuto sfigato, si ispira alle mie teorie (al di fuori di questi io non riconosco nè autorizzo nessuno a parlare a mio nome…quelli che Caffo identifica come “antispecisti politici” e che, tra l’altro, non ho capito ancora chi siano, per me non lo sono affatto). Dunque questo accanimento su qualcosa che non ha alcun peso nel movimento, mi sembra francamente fuori luogo. Il movimento continuerà ad ignorare le cose che ho scritto come ha fatto finora con buona pace di tutti. Io lo ripeto per l’ultima volta, non sono interessato a parlare di “antispecismo politico” perché non significa niente. Voglio che si parli delle analisi che ho fatto, se colgono nel segno o meno. Il resto è tifoseria e me la risparmio volentieri. 🙂

  18. Livio A. Cech ha detto:

    Ma quale libertà!? L’unica libertà dell’Uomo è quella di darsi dei vincoli che gli impediscano di esprimere la propria animalità, e quindi ha una aspetto paradossale la stessa. Aspetto che mette fuori gioco ogni elaborazione intellettuale e rende utilizzabili solo le redini morali per guidare la suddetta animalità. A questo punto gli atei sono cortesemente invitati a fuoruscire.

  19. massimo ha detto:

    da un capitalismo vegano si puo solo migliorare, da una pacificazione carnivora si puo’ solo migliorare (secondo me). vedremo…

    • Livio A. Cech ha detto:

      Gentile Barbara, se ho ben capito ed interpretato la tua richiesta: La libertà è concetto paradossale. Per alcuni è ‘fare tutto quel che si vuole’ per i migliori è fare solo ciò che corrisponde alla migliore idea di se stessi. E quest’ultima corrisponde ad una idea etica
      o morale, ma è proprio quest’ultima che latita. I più seguono, da noi, l’idea cristiana e rifiutano le altre. Per un futuro di unione mondiale occorre un’idea che sia accettata da tutti i popoli. e questa è l’idea della Fede Bahà’i,il cui fondatore, Bahà’u’llàh è il Promesso di tutte le religioni.

      • devetag ha detto:

        Il fatto è che per me il diritto e le leggi non sono carta straccia (non sempre, almeno). Il mio diritto di voto, costato lacrime e sangue e che in quanto donna mi è concesso da un tempo ridicolmente corto, me lo tengo caro e non credo che mi dia un potere solo apparente. Così come il diritto di non venire chiusa in casa a fare la schiava di qualcuno, o il diritto di avere un’istruzione. Si tratta di diritti reali, veri, che hanno cambiato e cambiano la vita delle persone. Sono completamente libera e liberata? Ovviamente no. Il diritto di voto mi dà potere di cambiare le cose (seppur limitato quanto si vuole)? Certamente sì (so che su questo Barbara non sarà d’accordo). Molto spesso le leggi sono carta straccia perché non vengono applicate, e allora in molti casi non c’è nulla di più rivoluzionario del farle applicare davvero (a cominciare dalle carte costituzionali di molti stati che racchiudono principi sacrosanti che poi quegli stessi stati non applicano). Le leggi e il diritto sono l’unico modo di combattere la battaglia antispecista? Assolutamente NO. Sono necessarie moltissime altre cose, a cominciare da un ripensamento totale del nostro rapporto con la natura, da un cambio di paradigma nei modi di produzione e consumo (e tentativi locali di sperimentare forme alternative di produzione stanno emergendo un po’ in tutto il mondo, seppure in modi poco organizzati), e molto molto altro. Ma non sottovalutiamo il valore dei diritti conquistati e ancora da conquistare, né il potere delle leggi che stati democratici si possono dare per combattere lo strapotere economico legale e illegale. L’antiproibizionismo sulle droghe può assestare un colpo duro alle mafie dal narcotraffico? Sì, è innegabile. Oltre a poterci concedere la libertà di poterci curare, in alcuni casi, senza ricorrere a quanto offerto dall’establishment farmaceutico (penso alla cannabis, che chiunque dovrebbe potersi coltivare in casa). E cos’è l’antiproibizionismo se non un insieme di leggi? D’altra parte anche in una nuova, futura, per ora quanto mai ipotetica società libera e liberata, ci sarebbe comunque necessità di leggi, intese meramente come codificazioni di norme di convivenza e relative modalità per punirne le violazioni.

  20. rita ha detto:

    @ Marco

    Scusami Marco ma l’accusa di tifoseria te la rispedisco indietro, e per la seconda volta. Così come quella di accanimento.
    Tanto più che, e anche questo lo scrivo per la seconda volta, prendo in esame e giudico, positivi o negativi rispetto alla MIA personale visione di come vorrei andassero le cose e di come vedo che siano realmente, tanto alcuni aspetti delle tue analisi, che di quelle di Caffo, così come altri di tutti gli altri filosofi che ho letto. Se parlo spesso dell’antispecismo politico, così come lo hai proposto tu, è perché evidentemente in qualche modo mi hanno colpito alcune idee contenute in esso. Ma non si tratta di accanimento, bensì di semplice interesse.
    Ti prego, non mi far passare per una da stadio che tifa questa o quella squadra, prima cosa non è nelle mie intenzioni, seconda cosa non ho mai proprio considerato la realtà in maniera così dicotomica e netta.

    @ Barbara
    Felice di essere l’oggetto delle tue osservazioni sociologiche. 😀

    • michela ha detto:

      E’ da ieri che penso se rispondere o no, volevo finire qui la discussione visto che tocca gli animi di tutti, me compresa, ma poichè è così, trovo assurdo non replicare. 😉

      Marco, ribadisco che qui, nessuno fa tifoseria da stadio, non si tratta di stare dall’una o dall’altra parte. Se faccio delle domande e critiche a te, alla tua teoria e a quello che scrive Barbara è perchè sono interessata all’argomento. Tutto questo, come puoi notare lo faccio tranquillamente senza citare continuamente Caffo ( di cui condivido gran parte, almeno la base fondamentale ma a di cui non uso tutti gli argomenti come da manuale) o chiunque altro e senza nemmeno dire che l’antispecismo “storico” vs. “metaifsico”, “atomistico” vs. “olistico”, “astratto” vs. “dialettico” vs.”politico” mi “offende” o che so, lo considero miope o altro.
      Semplicemente, qui, tutti, discutendo e apportando idee, dubbi e chiarimenti stiamo cercando di fare quello che tu auspichi, discutere sui punti che tu ritieni cruciali nella lotta per la liberazione.
      Scusate questa battuta diretta, ma è bene non lasciare niente al dubbio del lettore. Buona giornata a tutti. 😀

  21. rita ha detto:

    @ Giovanna

    Sì, credo la tua analisi sia giusta.
    Per me l’abolizione graduale e progressiva delle varie forme di sfruttamento è un successo. Ieri ho letto che in Messico hanno abolito la Corrida, ebbene, per me significa un successo.
    Se a Roma si riuscisse a far abolire le botticelle, per dirne un’altra, per me sarebbe un successo. Lo sarebbe per i cavalli, ad ogni modo.
    E, come ho spiegato tantissime volte, sono anche convinta che tutti questi successi insieme contribuiranno a ordire la trama di un diverso sistema sociale. Apparentemente sono casi isolati, sciolti, sporadici, ma contribuiscono a mutare il tessuto connettivo della società tutta.
    Anche perché altrimenti come lo cambi il sistema globalmente? Non si può che farlo agendo localmente e progressivamente, secondo me.

    • Livio A. Cech ha detto:

      Mah, usando l’avverbio globalmente si esclude iun processo progressivo: è troppo lento. Forse occorre uno spavento globale che convinca i più a ‘cambiare idea’, se mi spiego

  22. stopthatrain ha detto:

    una sintesi molto interessante quella di Giovanna. Tuttavia c’è secondo me un travisamento nel continuare a comprimere l’intenzione di chi combatte innanzitutto per la liberazione animale entro un orizzonte esclusivamente moralistico. Gli animali non sono scelti per una preferenza sentimentale, ma perché in loro si vede espresso nella sua forma estrema quel dominio che a varie gradazioni opprime tutti. Per il semplice fatto di combattere per altri e non per se stessi, anzi contro se stessi, a partire dalla privazione alimentare, si sta negando il dominio in quanto tale. E questa non è una novità di oggi, ma qualcosa di evidente già per i liberatori dell’Alf negli anni 70, che ritenevano la liberazione animale fatale per il sistema capitalistico per il suo opporsi alla reificazione di ogni forma di vita per ragioni di profitto:
    “Noi siamo filosoficamente molto pericolosi. Parte del pericolo è che noi non viviamo nell’illusione che la proprietà vale più della vita. Noi portiamo questa pazza priorità alla luce e questo è qualcosa a cui il sistema non può sopravvivere” lo diceva David Barbarash, primo portavoce di ALF, e lo riporta Steve Best.
    E poi è sotto i nostri occhi il fatto che chi combatte per la liberazione animale assume numerosi atteggiamenti antisistema: è spesso fruitore di cure omeopatiche ed alternative, e quando possibile si dà all’autoproduzione. Uno strumento questo di vera e propria lotta, a mio avviso sottovalutato, ma che in realtà sarebbe molto efficace praticamente, se applicato su larga scala, ed efficace anche simbolicamente, perché è la negazione di quei bisogni indotti in modo artificiale dal capitalismo, che ne mina proprio i meccanismi alla base della sua sopravvivenza.
    Il popolo antispecista è estremamente ricettivo in questo senso e non credo sia da ottimisti ingenui ritenere che si dovrebbe e potrebbe tentare di dare organicità ad una critica radicale già presente, piuttosto che negarle profondità perché questa non è ancora arrivata a piena consapevolezza. Questa critica già ha in nuce la potenzialità almeno teorica di liberare tutti MA a partire dagli animali, spostando gli animali dagli scantinati al centro della scena, e dando priorità alle loro istanze, alla luce di quella debolezza intrinseca già individuata da Peter Singer, per cui gli animali non lottano per i loro diritti in prima persona ma lo fanno tramite “testimoni”. E infatti solo chi combatte per gli animali può permettersi il lusso (a spese altrui) di negoziare sulla propria peculiarità e le proprie priorità.

    • mi piace molto quello che hai scritto, ma non credo si tratti di compressione entro orizzonte moralistico. credo invece che è proprio questo il punto su cui dovrebbe snocciolarsi il dibattito, che secondo me è anche quello che ha fatto Maurizi. Ovvero c’è un’inversione degli obiettivi e delle prassi che comporta uno slittamento, di fatto, attraverso la prassi degli obiettivi nella morale (sarebbe già un passo avanti se si facesse verso l’etica). Infatti condivido a pieno le analisi di Sottofattori che spesso scruta l’universo delle nostre prassi, dello spontaneismo da cui siamo “affetti” dettato troppo spesso da assunti singeriani o reganiani. Non è che Maurizi abbia scoperto la verità, ha però analizzato una questione molto importante per tutto il movimento e che da Nibert a Best e in Italia da Sottofattori a Maurizi andrebbe indagata da NOI attivisti, perchè loro per noi, così come Caffo, sono ispirazione e riflessione sul come agire. Inoltre anche io dico che la liberazione totale potrebbe partire proprio dalla battaglia per la liberazione animale (e Maurizi, tanto per cercare di dire le cose come stanno, non ha mai affermato che si deve partire dalla liberazione umana ma che entrambe sono vincolate e che per ottenere l’una o l’altra bisogna liberarle entrambe, come dico nell’articolo non esiste un prima e un dopo ma un noi) ma questo potrà avvenire solo se gli obiettivi sono contestualizzati e soprattutto collegati per intero alla lotta al sistema che ne genera la schiavitù. è qui secondo me un altro punto centrale: la questione della gabbia vuota non può non vedere la gabbia in sé, chi la costruisce, come e perchè e nemmeno perdere di vista il suo uso, e il suo ruolo nella società. Se non consideriamo questo non finiremo mai di tentare di svuotarla, si riempirà di nuovo. Inoltre vorrei specificare che non esiste, a mio avviso LA strategia, o La ricetta ma sono molteplici, anzi più sono meglio è. Tu parli della privazione alimentare e della medicina olistica: sono assolutamente d’accordo ma a mio avviso renderle “politiche” (scelgo questo termine per cercare di chiarire la mia posizione 😛 ) sarebbe renderle pubbliche, renderle delle pretese legittime, imporsi nella società ma soprattutto non isolarsi in un sistema subalterno autoreferenziale bensì aprirsi alla società, condividere queste nostre forme di lotta attraverso i nostri corpi e le nostre esistenze (oltre a comunicare dei perchè diversi a seconda degli obiettivi) Troppo spesso ribadisco, c’è una contrapposizione noi/voi che implica anche un certo disprezzo. Ovviamente reciproco, ma mentre l’altro – sociale – convenzionale applica una resistenza conservativa noi portiamo il nuovo. Quando si porta il nuovo bisogna accogliere non escludere. Non si mangia carne perchè si è cattivi, insensibili, ignoranti e crudeli……. (morale)

      tu scrivi:
      Il popolo antispecista è estremamente ricettivo in questo senso e non credo sia da ottimisti ingenui ritenere che si dovrebbe e potrebbe tentare di dare organicità ad una critica radicale già presente, piuttosto che negarle profondità perché questa non è ancora arrivata a piena consapevolezza.

      ma questo è proprio uno degli obiettivi dell’antispecisto politico! 😀

      • rita ha detto:

        Barbara, rispondo solo a questa tua ultima frase (e non perché non abbia letto per intero il tuo commento, ma perché trovo da ridire solo su questa): “Non si mangia carne perchè si è cattivi, insensibili, ignoranti e crudeli……. (morale)”

        Ma credo che nessun antispecista che abbia un minimo di consapevolezza teorica pensi questo. Anche perché tutti noi pure abbiamo mangiato carne, indossato pelle ecc., e di certo non è che prima fossimo dei mostri e poi siamo diventati improvvisamente buoni.
        Quando, personalmente almeno, parlo di progresso morale, intendo esattamente una nuova prospettiva etica che dovrebbe regolare il rapporto tra i viventi e non miro di certo ad esprimere un giudizio morale soggettivo sul comportamento dei singoli.
        La differenza sostanziale per me sta nel fatto che alcuni di noi pensano di poter arrivare a mutare il sistema anche a partire dalla proposta di una nuova prospettiva etica – attuabile attraverso la conquista di sempre più spazi informativi e attraverso la messa a punto di azioni e strategie nonviolente, ma comunque sempre mirate a incidere sul sistema, capaci di indicare uno sguardo inedito sul mondo – e altri no.
        Poi non sono del tutto convinta che l’unico approccio funzionante sia quello di osservare le cose dalla prospettiva materialista che prende in esame i rapporti di produzione. E’ uno sguardo, ma non l’unico. E qui si contrappongono proprio due diverse visioni che credo abbastanza irriducibili l’una all’altra.

      • Rita vedi quando tu affermi:
        La differenza sostanziale per me sta nel fatto che alcuni di noi pensano di poter arrivare a mutare il sistema anche a partire dalla proposta di una nuova prospettiva etica – attuabile attraverso la conquista di sempre più spazi informativi e attraverso la messa a punto di azioni e strategie nonviolente, ma comunque sempre mirate a incidere sul sistema, capaci di indicare uno sguardo inedito sul mondo – e altri no.
        io lo interpreto come una prassi, come un mezzo non un obiettivo! è questo che non riusciamo a chiarire. Però bisogna essere anche consapevoli che questo aspetto non potrà risolvere il problema e liberare gli animali, e soprattutto non potrà farlo in tempi brevi, anzi forse necessita di tempi molto lunghi.

        In realtà l’etica si ridefinirà solo a partire da una nuova dimensione del reale e non il contrario. Ce lo dice la storia non lo dico io 🙂

        I rapporti di produzione sono alla base di tutti i meccanismi di trasformazione del reale nelle nostre società, in particolare quelle occidentali, e per via della globalizzazione anche delle altre. su questo sarebbe molto interessante effettuare uno studio su tutta l’opera del sociologo P. Bourdieu, che analizza quelli che lui definisce i campi sociali, appunto nella teoria dei campi.

      • stopthatrain ha detto:

        Barbara ultimamente andiamo troppo d’accordo, mi preoccupo 😛

      • ahahahahaha, fosse che riusciamo a trovare una sintesi! 😛

  23. rita ha detto:

    Magari, massì che la troviamo una sintesi, dai, i presupposti ci sono.
    Ma anche io Barbara vedo ciò che ho descritto come una prassi, come un mezzo, essendo il fine appunto comune, ossia la liberazione animale. 🙂

    • secondo me abbattendo i preconcetti che ognuno porta con sé potremmo trovare questa sintesi. io ci sto provando! 😉

    • Livio A. Cech ha detto:

      Rita egregia,i presupposti ci sono,e ci sono sempre stati, ma era possibile vederli se, e solo se, saremmo cresciuti abbastanza per ‘vederli’. Non a caso il post di MM inizia con la parola Libertà.
      Ed essa è presupposto solo se viene intesa nel senso giusto. E cioè: veramente liberi sarebbero gli animali se non ci fossero gli Umani; o meglio i bipedi antropomorfi che non hanno ancora capito che umano è colui che da tale si comporta. La libertà per noi Uomini è un concetto paradossale. E lo è poiché comporta il limitarsi a quei comportamenti che garantiscano il proprio appartenere alla specie umana: ad es. comportamento educato, studio, esercizio etc. Quindi: si è liberi nella misura in cui ci si limita, autonomamente.

      • @Livio: comunque l’articolo è mio non di MM

        in questa tua frase, a meno che tu non cerchi di spiegarti e argomentare, vedo tanti luoghi comuni e molte travisazioni del reale..

        E cioè: veramente liberi sarebbero gli animali se non ci fossero gli Umani; o meglio i bipedi antropomorfi che non hanno ancora capito che umano è colui che da tale si comporta.

        nel primo caso ciò non è possibile nel secondo dovresti spiegare cosa si intende per umano. a tal proposito ti consiglio un articolo di Donatella Serio che già dice qualcosa in proposito http://beyondspecies.blogspot.com/2013/05/cosa-significa-essere-umani.html

        ad ogni modo la società è relazione e si presenta come una struttura complessa. ridurre la liberazione animale alla semplice eliminazione di chi la genera è irrealizzabile (non voglio dare giudizi personali perchè sarei, forse, offensiva). A meno che io non abbia proprio capito le tue enigmatiche parole e allora ti chiedo gentilmente di argomentare 🙂

  24. Maria Antonietta ha detto:

    Estendere il diritto di libertà anche agli animali.
    Un giorno saremo LIBERI tutti.
    Parole lette nell’articolo dove non ho notato una forte consapevolezza che il diritto alla libertà sarà esteso anche agli animali e che saremo tutti LIBERI.
    Regan ha forse dubbi? Sta forse auspicando la libertà per tutti senza convinzione, senza esser certo che ciò accadrà? Ne sarei delusa!
    Non si tratta di una battaglia di cui non si conosce l’esito.
    Gli animalisti saranno i vincitori.
    Una categoria di esseri umani (ricercatori) con due zampe rilasciate sui fianchi, non è libera di fare ciò che vuole. O meglio:
    nel momento storico corrente sta facendo sovente ciò che vuole, ma non è sovrana.
    I metodi alternativi sostituiranno i metodi della vivisezione come pure la SA.
    Va bene riparlarne fra dieci anni? Lo ripeto sempre anche in altri settori di discussione ove mi viene chiesto di adoperare la mia modesta penna di scrittrice e di giornalista free lance: va bene, fra dieci anni? Non sono parole vane. Mh?
    Ho letto nel sito di Pro-Test Italia che, secondo loro, gli animalisti terrorizzano la gente con falsità!
    A voi, di Pro Test Italia, mi rivolgo con amicizia e con serenità: siate almeno onesti!
    Fate pure sperimentazione animale, difendete la vivisezione, ma fatelo con le mani nei capelli per l’orrore! Orrore che avete notato mille volte negli occhi pieni di pianto asciutto degli animali. Mettetevi almeno le mani nei capelli inorridendo!
    Inoltre: combattete ad armi pari, senza la spudorata protezione del Potere politico.
    Comodo, far approvare leggi che minacciano il carcere o che fanno ostruzionismo vergognoso verso gli animalisti.
    Almeno, abbiate l’onestà di combattere ad armi pari.
    Siamo un pianeta di simpatici pazzi furiosi scatenati.
    Mi accingevo ad accompagnare mia nipote (editrice di una rivista sarda) ad effettuare un servizio fotografico. Si trattava di una sagra. Era titubante. Sperava di non ritrovarvi le anguille, l’anno precedente, che si contorcevano ancora vive, ed infilzate, sul fuoco. Un cerebroleso umano le spiegò: “E’ la tradizione”.
    Il numero di persone che ricordano con orrore l’uccisione di maiali è altissimo.
    Ho notato pranzi festosi e ricchi con le prelibate aragoste. Prima, in cucina, erano state gettate vive nell’acqua bollente!
    Non aggiungo altro e non sono nè lacrimosa né buona. Ho esibito orrore. Abbassatevi le mutande e poggiate le natiche sul fornello a gas poi raccontatemi, se ne avete il coraggio, che è stato una goduria! Oppure tuffatevi in un pentolone di acqua bollente e poi raccontatemi!
    Voi ricercatori continuate con le vostre modalità, se volete, ma abbiate il buon gusto di non asserire che gli animalisti inventano orrore! Fate almeno ciò.
    Dedicatevi pure a debellare il cancro, non sprecate energia criticando gli animalisti.
    Ne avrete bisogno quando, dopo la sparizione del cancro, sorgerà un nuovo stato morboso.
    Mh? Lasciate in pace gli animali. L’ho scritto con un sorriso affettuoso.
    Possibile? Non riuscite ad essere un po’ (soltanto un poco) lungimiranti?
    Gli animalisti sono protetti dalla Vita. Non è un’asserzione letta in un foglietto dei Baci Perugina o nel quadernetto di una importante cristiana bigotta.
    Va bene, riparlarne fra dieci anni?
    Maria Antonietta
    (Sardegna)

  25. fratelli ha detto:

    La diatriba, senza perdere altro tempo (e il tempo qui lo misuriamo col sangue), potrebbe essere “semplicemente” risolta così: visto che ci definiamo “antispecisti”, considerando quindi l’uomo un animale umano, lottando per gli animali tutti lottiamo anche per noi (prendiamo ad esempio la vivisezione, fatale per gli animali e anche per gli uomini, o il consumo di carne, o gli allevamenti. Tutto ciò fa male agli animali e alla terra, ma alcuni uomini ne godono e altri ne soffrono). Se poi parliamo di abolizione del dominio delle multinazionali e del capitalismo, dovremmo comunque cercare di muoverci di più in questo senso. È giusto informarsi, informare e lottare per ciò che riteniamo eticamente giusto, ma mi chiedo come mai, un* che si definisce “antispecista politic*” (e non “antispecista” e anche “politic*” ), benché abbia smesso di “utilizzare” animali in quanto antispecista, non abbia ancora smesso di utilizzare l’automobile, finanziando le multinazionali del petrolio, avere un conto in banca, piuttosto che fare acquisti in un supermercato o comunque presso la GDO (lungi da me sembrare retorica alla stregua dei carnivori che ci chiedono perchè non voliamo per non rischiare di uccidere le formiche). La risposta che mi sono data è questa: contro lo specismo possiamo iniziare a fare qualcosa subito, direttamente, e con risultati estremamente rapidi rispetto alle liberazioni di altre categorie umane. Possiamo esercitare una scelta tutta nostra perché abbiamo delle alternative, come la possibilità di rifiutarci di acquistare questo o quel prodotto, e paradossalmente lo strumento che ce lo permette ORA è proprio il capitalismo, cioè ciò che rende l’uomo “schiavo”. Il resto invece è tutto molto complesso, proprio perché creato dall’uomo. Se abbiamo un lavoro che frutta più di 999 euro al mese, se acquistiamo una casa che non è proprio a due passi dal lavoro, e se non abbiamo tempo per andare a cercare la verdura bio chissà dove (a piedi?) perché lavoriamo tutto il giorno, certi ostacoli sono molto più difficili da superare.

    Proprio per questo, nella lotta allo specismo, possiamo riscontrare dei piccoli successi. Sin da subito (questa è storia, dunque, innegabile).

    Perché l’animale è considerato merce, e se quella merce non si acquista ma se ne sceglie un’altra cruelty free l’animale si salva (badare bene che scegliere non NON CONSUMARE invece di CONSUMARE ALTRO è una scelta agognata da tutti, ma poi sappiamo che non sarà così, o comunque non da domani. Inoltre la nostra non scelta non andrà mai ad incidere sulla merce venduta perchè i consumatori a quel punto saranno solo ed esclusivamente carnivori, dunque cambierà ben poco. Resta comunque uno degli auspici che molti di noi hanno in comune). Tutto il resto è parte integrante della nostra vita (degli uomini, e che solo gli uomini possono cambiare), e sarà molto più difficile da scardinare, seppur possibile in un futuro che considero ancora lontano, o comunque successivo alla totale liberazione animale. Se non certo, è certamente verosimile che quando saranno liberi gli animali, sarà difficile contenere la voglia di libertà dell’uomo. E visto che noi antispecisti siamo uomini ma non siamo GLI UOMINI è ovvio che non potremo scegliere anche per gli altri umani. Se poi l’uomo sarà destinato alla gabbia, che almeno si liberino gli animali, vittime passive che non hanno altra voce se non la nostra.

    Ancora, in linea generale, ci troviamo di fronte a dei cambiamenti piuttosto radicali. Ciascuno di noi dovrà assumersi la responsabilità di ciò che professa. Già con l’avvento prepotente del denaro elettronico, alcune prospettive obbligate ci porranno dentro o fuori il sistema. Sarà, dovrà essere necessariamente una scelta nostra, concreta. Vedremo in quanti saremo in grado di sostenerla.

    Negli Stati Uniti, alcune formazioni ecologiste, già negli anni 80, fondavano integralmente la loro vita proprio sull’approccio totalizzante, radicale. Ma lo facevano concretamente, magari sbattendoci il grugno: fondavano ecovillaggi più o meno autosufficienti. Parlavano da lì, quindi erano legittimati de facto a farlo. Poco importa se delle esperienze finirono male. In quel momento la legittimazione era automatica, indiscutibile. Terre sconfinate, natura resiliente, ruderali: alcuni territori un tempo ricchi di aperture alternative, oggi sono occupati massicciamente dalla cementifera presenza umana. Il nostro avversario “politico” avanza. Ma noi, chi siamo? Il tempo delle vere decisioni arriverà, anche nostro malgrado. E non saremo noi a decidere quando.

    • ciao! ripeti molto spesso ORA e SUBITO come se parlare di antispecismo politico implicasse attendere chissà cosa. questo articolo argomenta semplicemente quello che tu riduci a “scontato” perché a mio avviso scontato non è affatto e perché c’è bisogno, a mio avviso, di distinguere URGENTEMENTE tra obiettivi e mezzi. Detto questo non mi pare il caso di lanciare giudizi contro chi si prodiga per individuare obiettivi concreti e realistici liquidandolo con “si ma usi la macchina” ecc… ognuno di noi fa quello che può ovviamente non cercando di immolarsi bensì denunciando certe prassi e le nefandezze del sistema. Tu dici che sicuramente liberati gli animali (dando anche per scontato che ci si riuscirà nelle modalità che hai enumerato…. io dico magari fosse vero!) si potrà pensare che si potrà liberare anche gli umani. Se si analizzano un tantino in modo più approfondito le dinamiche sociali e sistemiche converrai che ciò è un’utopia. Proprio perchè parliamo di un’urgenza, di un’emergenza individuare le strategie di lotta (che ribadisco sono molteplici) e analizzare il sistema nel quale si generano e hanno luogo i fenomeni di sfruttamento animale è indispensabile. Nessuno ha mai detto di stare a braccia conserte, né è stato mai detto di aspettare che avvenga la liberazione umana. E’ stato detto invece che liberazione animale e umana sono intrecciate e che per far avanzare l’una è indispensabile contestualmente far avanzare l’altra. Da come scrivi devo dedurre che se riuscissimo a fondare ecovillaggi in numero sempre più grande avremo risolto i problemi?

  26. Livio A. Cech ha detto:

    Mah, non so se è il luogo giusto per rispondere. Cmq. volevo osservare che si può sempre aggirare con un escamotage: difatti c’è un proverbio che suona :Fatta la legge trovato,,, (non ricordo esattamente). Mi riferivo ad un concetto di Legge che avesse una dimensione ontologica, riferita cioè a quell’essere che ha cercato Heidegger per alcuni anni ma poi si è arenato, E questo poiché non ha considerato la nostra fondamentale dimensione spirituale. A questa mi riferisco ed è divina. Ai tempi di Moses era il Decalogo, oggi sono gli Scritti di Bahà’u’llàh: Manifestazione di Dio che seguono i bahà’i. Domani, quando il mondo sarà Bahà’i basteranno poche leggi fondamentali e basate sui seguenti principi assiologici:

    Libera ed indipendente ricerca della verità
    Uguaglianza dei diritti tra uomo e donna
    Unità del genere umano
    Armonia tra scienza e religione
    Abolizione degli estremi di ricchezza e povertà
    L’unità del genere umano
    L’educazione universale ed obbligatoria
    L’elevazione del lavoro a rango di culto e svolto in spirito di servizio ..

  27. Livio A. Cech ha detto:

    Oh Barbara, forse mi sono spiegato male: quando dico che gli animali sarebbero liberi qualora non vi fossero gli Umani chiaramente mi riferisco ai Bipedi, coloro cioè che li maltrattano e tolgono loro gli spazi vitali, e non certo agli Uomini. Quello che definisci il secondo caso mi pare più interessante e proprio laddove lei mi chiede di specificare i caratteri che rendono umano il Bipede. Heidegger chiama esser-ci il Bipede che è con la coscienza di sé. Ed io sostengo che quest’ultima gli è data in vista della progettazione ed attuazione del proprio futuro. ‘Duro calle’, avrebbe detto qualcuno, che prevede l’attraversamento della vale della conoscenza di sé. Conoscenza attuata attraverso l’attività sociale, artistica e riflessiva e ove quest’ultima, nei suoi primi passi e quando non parta da una considerazione spirituale dell’Uomo stesso, conduce fatalmente al limitato orizzonte della visione materialistico-scientista di sé. Azzardo ora una locuzione che per me è chiarissima ma non so se lo sia altrettanto per altri: l’Uomo è il luogo ed il momento dell’autocoscienza dell’Universo stesso. Da qui deriva la sua ‘responsabilità’ di custodire tutti gli esseri viventi della sua e quelli di altra di altra specie. Da qui l’idea di un’etica, ovvero un comportamento che lo definisca civile e che è pubblicato nei Codici della Legge. E non mi risulta che fra gli animali esistano pubblicazioni corrispondenti ai nostri quattro Codici o a quello stradale.// Eppoi lo spirito degli articoli baha’i che ho scritto nel post precedente discendono dall’idea del comportamento virtuoso, quello che rende noi Uomini r e s p o n s a b i l i. Non mi pare che ci sia mai stato un solo coccodrillo imputato di aver ucciso per sfamarsi, un Uomo lo sarebbe!

  28. pasquale cacchio ha detto:

    “l’Uomo è il luogo ed il momento dell’autocoscienza dell’Universo stesso.”
    Più o meno così la pensavano ebrei, cristiani, islamici, umanisti, illuministi, positivisti…
    oh, poveri trilobiti, che 500 milioni di anni fa non immaginavano che in futuro
    l’universo di miliardi di galassie avrebbe avuto un’autocoscienza per merito dell’ultima specie terrestre
    apparsa sulla terra appena 5 milioni di anni fa! :-/

  29. pasquale cacchio ha detto:

    Ho visto, Livio, chi è questo signor Bahá’i a cui ti riferisci.
    Superficialmente, come superficiale è per forza wikipedia, che non ne può parlare che succintamente:

    http://it.wikipedia.org/wiki/Bah%C3%A1%27u%27ll%C3%A1h

    Sicuramente ha testimoniato la sua verità a proprio rischio e pericolo, Allah lo benedica.
    Interessante da parte di un persiano dell’Ottocento una visione cosmopolita delle religioni.

    Ma qui non abbiamo bisogno di fedi o di conversioni,
    questo è un sito pieno di dubbi e, se qualcuno si permette di affermare qualche verità,
    viene subito punzecchiato da tutti gli altri.
    Qui c’è gente che se la ride già del concetto di autocoscienza 😉

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