Il carneplastico

di Emilio Maggio

L’invenzione di complessi plastici saporiti, la cui armonia originale di forma e colore nutra gli occhi ed ecciti la fantasia prima di tentare le labbra.

Esempio:Il Carneplastico creato dal pittore futurista Fillìa, interpretazione sintetica dei paesaggi italiani, è composto di una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita ripiena di undici qualità diverse di verdure cotte. Questo cilindro disposto verticalmente nel centro del piatto è coronato da uno spessore di mele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia che poggia su tre sfere dorate di carne di pollo. [1]

Il Futurismo italiano è stato l’unico movimento artistico  che abbia osato ripensare la tradizione culinaria del suo paese, l’unico che abbia stilato “un programma di rinnovamento totale della cucina”[2]

Il Manifesto della cucina futurista, pur se contestualizzato in un preciso momento storico e pur contenente grandi intuizioni- la stigmatizzazione dell’ingessata cultura alimentare italiana che si identificava con il mito nazionale e folkloristico della pastasciutta, la riconsiderazione sensitiva del gusto, cioè la capacità dell’organismo umano di percepire sapori come processo chimico che entrava in contraddizione con quello culturale fatto di usi costumi abitudini, la provocazione della ricetta impossibile- non fu però affatto sensibile alle questioni che avrebbero realmente rimesso in discussione la storia gastronomica, cioè l’idea stessa che presiede il cucinare il cibo, quali l’imposizione di modelli alimentari frutto della dinamica del mercato  tra domanda e offerta, un’ equa ridistribuzione dei generi di prima necessità in un periodo di forte depressione economica, un ‘etica alimentare in cui il cibo riacquisti la sacralità necessaria a riattivarne la relazione con tutto ciò che è vitale.

Trascurando il delirio bellicista, il mito legato all’eroismo virile, il nazionalismo sfrenato, la fede nel progresso e l’illusione della velocità, il manifesto redatto da Marinetti più che decostruire un dispositivo che riguardava l’imposizione di una dieta alimentare declinata a seconda della classe a cui si apparteneva, costruisce un nuovo ‘regime’ alimentare in cui si esaltano “ l’armonia originale della tavola (cristallerie vasellame addobbo) coi sapori e i colori delle vivande”, “l’originalità assoluta delle vivande”, “l’uso dell’arte dei profumi per favorire la degustazione”, “l’uso della musica limitato negli intervalli tra vivande e vivande…”, “l’abolizione dell’eloquenza e della politica a tavola”, “l’uso dosato della poesia e della musica come ingredienti improvvisi per accendere con la loro intensità sensuale i sapori di una data vivanda”[3]a dispetto di “fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”[4]che contrassegnavano la naturale predisposizione italiana alla deboscia socialista.

Il cuoco consiglia:il pane e le rose.

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[1] Il Manifesto della cucina futurista di Filippo Tommaso Marinetti, 1931

[2] ibidem, cit.

[3] ibidem,cit

[4] ibidem,cit

Comments
2 Responses to “Il carneplastico”
  1. kostia ha detto:

    non so se mi sbaglio, ma il Futurismo nonostante il nome mi ha sempre fatto pensare a qualcosa di stantio, quel ‘vogliamo che tutto cambi perché tutto rimanga com’è’. anche sotto questo aspetto gastronomico la mia impressione viene confermata. sembra troppo affermare che si fa servo del sistema capitalistico in quest’esaltazione della carne? in questo sì profetico, nell’oscuro presagio dell’ascesa del regno dei macelli.

    • emilio maggio ha detto:

      cara kostia hai perfettamente ragione.La provocazione futurista e’ dettata da un ‘infame’ atteggiamento aristocratico.Che i poveracci continuino ad abbuffarsi di pastasciutta che la cucina e’ un’arte ‘sprezzante’.Tradizione popolo animali non sono degni di considerazione.Allora molto piu’ efficace e’ la soluzione patafisica prospettata dal dadaismo il cui piatto principale era ‘il cadavere squisito’.Il loro antropofagismo culinario era critica e rivendicazione sociale e il disprezzo riguardava la’macchina antropocentrica’della civilta’ borghese.