Servi e padroni. Intervista a Marco Maurizi
a cura del collettivo Tierrechtsgruppe (Zurigo)
Nei tuoi saggi critichi il concetto di specismo della filosofia morale denunciandone il carattere metafisico. Potresti chiarire cosa intendi per antispecismo metafisico?
Marco Maurizi: Il concetto di Specismo sorge nell’ambito del discorso filosofico. Filosofi come Peter Singer, Tom Regan fino a Francione e alla Dunayer si occupano solo di argomentazioni filosofiche. Quando parlano di specismo di fatto parlano in realtà di proposizioni. Essi definiscono infatti come speciste determinate giustificazioni filosofiche di azioni, ma non significa che le azioni in quanto tali siano speciste. A mio parere, gli attivisti che pure si ispirano ad essi, utilizzano un concetto più ampio e sostanziale di specismo: per essi, infatti, lo specismo è un sinonimo di antropocentrismo, ovvero un sistema culturale e materiale. Il problema, tuttavia, è che molti attivisti cercando di usare in senso politico il concetto etico di specismo che derivano da Singer e Regan. Si riallacciano, cioè, al discorso morale per descrivere questo sistema, invece di criticarlo da un punto di vista sociale e storico in modo da guadagnare un concetto politico di specismo. In tal modo, finiscono per sostenere che lo specismo sia un pregiudizio morale che produce determinate azioni. Io penso invece che sia esattamente il contrario. Non sfruttiamo gli animali perché li consideriamo inferiori, piuttosto li consideriamo inferiori perché li sfruttiamo. Chi ritiene che siano le idee a determinare il corso della storia ha una concezione metafisica. Ritengo invece che dovremmo spiegare lo specismo storicamente e ciò significa concepire lo specismo non solo come ideologia, ma come prassi.
In Marx ed Engels non si trova una parola sulla liberazione animale. Perché sei invece convinto che il materialismo storico rappresenti un presupposto necessario per una teoria antispecista radicale?
Marx ci può essere d’aiuto in due diverse direzioni. Da un lato, non possiamo spiegare la genesi dello specismo senza il materialismo storico. E questo proprio a causa della differenza tra ideologia e prassi. Marx insegna come la storia possa essere compresa attraverso i due livelli: la sovrastruttura e la struttura materiale della società. D’altro canto, Marx ci offre una analisi del capitalismo. Poiché il dominio sulla natura e il dominio sull’uomo sono intrecciati, è necessario che chi lotta contro il primo lotti oggi contro la forma attuale del secondo. E questo, senza l’analisi marxiana del capitale, non è possibile farlo. Ovviamente non credo affatto che Marx possa descriverci una società non specista, tuttavia ci dà gli strumenti per abbattere la società attuale e questo è il presupposto per una società libera, anche nel senso di una società non specista.
La dialettica hegeliana servo-padrone non sembra potersi applicare agli animali. Come possono allora essere soggetti di una liberazione?
Io penso che la dialettica hegeliana non sia direttamente applicabile agli animali. In un certo senso, però, si può ben dire che la dialettica servo-padrone ci insegni qualcosa di interessante a proposito del rapporto uomo-animale. Hegel sostiene che un rapporto di dominio esprima una contraddizione. Ebbene, il rapporto uomo-animale è, in quanto rapporto di dominio, anche un rapporto contraddittorio. La contraddizione risiede nel fatto che noi sfruttiamo gli animali perché ci consideriamo non-animali. È questa la contraddizione che si tratta di risolvere. Direi, quindi, che proprio perché siamo animali il soggetto della liberazione è l’uomo, ovvero l’uomo in quanto animale. Se non si comprende questo sorge allora la strana situazione per cui il soggetto della liberazione non è identico con il soggetto che deve essere liberato. Solo se partiamo dal presupposto che noi umani in quanto animali liberiamo gli altri animali c’è piena coincidenza tra il soggetto e l’oggetto della liberazione.
La sinstra, ieri come oggi, vede nella richiesta di liberazione animale un fondamentalismo morale e non una teoria politica ed emancipativa. Di cosa abbiamo bisogno per superare questa visione antropocentrica della sinistra, fondata sul predominio dell’uomo?
Dobbiamo offrir loro una migliore analisi sociologica e politica della società presente. Non c’è altra possibilità. Dobbiamo loro mostrare il potenziale di liberazione della lotta contro il dominio sulla natura. Se non lo facciamo, rimaniamo ad un livello etico e allora non è naturalmente possibile alcuna discussione.
Vedi un collegamento implicito tra il sessismo, il razzismo e specismo, come sostengono molti attivisti dei diritti degli animali?
Sì. E no. Molti antispecisti pensano che sessismo, razzismo e specismo siano simili o addirittura uguali, in quanto rimangono su un livello di considerazione morale. Ci sono anche antispecisti che pensano che tale rapporto di contiguità può essere mostrato storicamente: prima sarebbe sorto lo specismo, poi il sessismo e infine il razzismo. Tutto ciò, naturalmente, è completamente falso se si assume una prospettiva storica. Ma penso che si possa dimostrare storicamente, che senza la differenziazione simbolica tra l’uomo e gli animali, la discriminazione sessista e razzista non sarebbe possibile. Non si possono definire le donne come “quasi-animali” in senso discriminatorio, se non si è già fatta la distinzione tra uomo e animale. Io credo che dovremmo lavorare molto su questi temi. Vi è certamente una connessione tra queste varie forme di discriminazione, tuttavia l’analisi deve essere condotta a livello storico e politico.
Nella Dialettica dell’illuminismo Adorno e Horkheimer hanno mostrato come il processo di civilizzazione umana sia caratterizzato da una alienazione dalla natura e quindi anche da una forma di auto-alienazione. Questo significa che, al fine di ottenere la liberazione degli animali, si dovrebbe far tornare indietro la ruota della storia?
La mia risposta è no, come anche Adorno e Horkheimer avrebbero risposto. Come ho detto, l’inizio della civiltà è segnato da una contraddizione, ossia la contraddizione tra uomo e animale: l’uomo si pone come non-animale. Abbiamo quindi bisogno di risolvere questa contraddizione. Allo stesso tempo, Adorno e Horkheimer hanno già dimostrato che la civiltà esprime l’esperienza del terrore nella natura, di quel terrore che i primi uomini stessi hanno provato e che noi tuttora proviamo. La natura è per noi sempre qualcosa di pericoloso perché non ha interesse morale alla vita. Solo con la civiltà è stata creata la possibilità di esprimere la solidarietà con tutti gli animali. Questa possibilità non esisteva prima della civiltà e, pertanto, non sono mai soddisfatto di ciò che scrive John Zerzan a proposito di un presunto paradiso perduto nell’età preistorica. Non c’è mai stato un paradiso sulla terra, così come non c’è mai stato un vero e proprio “inizio” nel nostro dominio sulla natura. È vero che nelle società di cacciatori-raccoglitori vigeva una certa uguaglianza tra uomo e animale, ma non vi è alcuna specifica fase nell’evoluzione verso le società stanziali in cui si può dire: “ecco, qui è iniziato tutto”. Anche la società di cacciatori-raccoglitori operavano secondo i principi dela razionalità strumentale e facevano violenza alla natura. Questa violenza è proprio ciò che non vogliamo più.
La visione contraddittoria della natura nell’uomo occidentale lo spinge in un dilemma. Da un lato, la natura selvaggia e crudele che si tratta di reprimere e controllare; dall’altro, l’anelito romantico nei confronti del “buon selvaggio” o della “coesistenza pacifica” in natura. Che cosa significa “natura” per il marxismo?
In Marx non c’è una nozione univoca di natura. Ci sono alcune tendenze negli scritti di Marx, che possono essere enfatizzate in modo diverso. Ci sono intuizioni di un’idea di riconciliazione con la natura. Ad esempio, quando Engels scrive nella Dialettica della natura che l’uomo smetterà un giorno di trattare la natura come un padrone. Tuttavia, non è chiaro cosa questo significa in Marx ed Engels e, in fin dei conti, essi non hanno lavorato molto su questo problema. Tuttavia, essi avevano già intravisto, in un certo senso, il rapporto contraddittorio tra uomo e natura. La risposta, a mio parere, bisogna cercarla nella Scuola di Francoforte. Adorno ha lavorato sul concetto di “natura” in Marx e scrive che il problema con Marx è che la natura non è mai intesa come un soggetto. D’altra parte, Adorno ha sviluppato la nozione di violenza nel pensiero fino a mostrare come lo spirito stesso – che si presenta come non-naturale – sia, proprio perciò, ancora natura. Lo spirito è solo natura mascherata. La violenza della natura, per così dire, si rovescia in spirito. Il problema della civiltà è dissolvere le menzogne dello spirito e stabilire nuove relazioni in natura. Nello spirito, tuttavia, c’è anche un potenziale che è in attesa di essere realizzato. Quando si parla di solidarietà si intende proprio questo potenziale.
L’identità umana è costituita in contrasto con l’animale. Che funzione ha questa ideologia dell’ “Altro”?
Da un lato, l’idea che gli animali siano “l’altro” è ideologica. Usiamo questa idea per sfruttare meglio gli animali. Sottolineiamo differenze che sono inessenziali e passiamo sopra ad analogie che invece sono essenziali. Ma c’è anche un aspetto reale in tutto ciò. L’uomo vuole essere altro. Adorno parla della indifferenza della natura nei confronti del dolore e della morte, che noi non vogliamo. È vero che molti animali possono provare compassione per altri animali, ma solo l’uomo può esprimere una compassione universale per tutti gli animali. Noi possiamo perché grazie alla civiltà abbiamo acquisito la capacità di concepire la natura come un tutto e vedere l’orrore che essa ospita in sé.
Che cosa è per te il veganismo? Un boicottaggio? Quale logica lo sostiene?
Sì, il veganismo è in un certo modo un boicottaggio di tipo peculiare e, come tutti i boicottaggi nella società capitalistica, senza speranza. È un’illusione credere che gli animali non vengano più uccisi per te finché rimani parte di questa società. La società capitalista funziona sì attraverso gli individui, ma funziona anche ad un livello superiore attraverso strutture che gli individui non possono controllare, in quanto vengono piuttosto controllati da queste strutture. Ma penso che non è inutile agire individualmente nel modo in si immagina dovrebbe agire una società libera. E una società in cui non esiste alcun dominio su persone e animali è una società senza industria della carne, senza sperimentazione animale, ecc. Il veganismo, a mio parere, è l’unica possibilità di immaginare una società di questo tipo e di dimostrare che essa è realizzabile praticamente. Naturalmente non si può immaginare esattamente come potrà essere una società futura senza dominio, per cui non è possibile dire che cosa si dovrebbe e non si dovrebbe fare in una società libera. Vedo quindi un problema nel modo in cui molti vegani cercano di convincere gli altri che si comportano male. La cosa migliore che possiamo fare è dare il buon esempio.
Grazie per l’intervista!