Prurigine all’azione: talvolta, meglio grattare
di Serena Contardi
(P. Bellocchio)
Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno giustiziati.
(P. Bellocchio)
Esco amareggiata dalla lettura del resoconto dell’amica Rita sul presidio contro il circo tenutosi di recente a Marino: amareggiata ma non stupita, piuttosto confermata nella mia generale amarezza. Devo dire che il circo con animali è uno degli spettacoli che più mi rattristano, perché ci vedo una quota di insensatezza superflua, e allo stesso tempo ho ben presente che non sarebbe un grande sacrificio per gli Italiani, rinunciarci; a molti il circo nemmeno interessa e, plausibilmente, chi prova una genuina curiosità nei confronti degli animali è perfettamente in grado di capire – e senza neppure interrogare i metodi di addestramento – che costringere un animale esotico in gabbia è un reato che colpisce, prima ancora che le specie in questione, lo stesso essere umano che dovrebbe trarne una qualche forma di godimento, che si esercita a sacrificare la bellezza al possesso, e si disabitua da ultimo a riconoscerla. Nonostante questa verità che mi pare clamorosamente evidente, Rita ci riferisce che genitori e vario parentado, accorsi sul posto con seguito di figli, figlioletti, amichetti e nipotini, ammettono candidamente la violenza del circo ma, nella stragrande maggioranza dei casi, se ne infischiano. Ora, poiché conosco Rita e altri infaticabili che hanno partecipato alla contestazione, mi sento di escludere i toni con i quali gli attivisti si sono rivolti al pubblico assomigliassero alla versione caricaturale e diffamatoria che dell’animalismo è stata data da Giovanardi (…) nel recente siparietto televisivo su Unomattina; ciononostante, come ognuno può leggere, le reazioni degli astanti sono state appunto, soprattutto, noncuranza e distacco, quando non fastidio, aperta ostilità e sarcasmo. Niente di nuovo sotto il sole: ci siamo abbondantemente preparati. Tuttavia, da un commento al vetriolo lasciato da un utente anonimo su un blog al disprezzo dichiarato in faccia da uno sconosciuto ne passa, e una persona mediamente sensibile può giustamente venirne colpita. Il “monito” che Rita desume da tutta la faccenda è quello che chiamerei un invito all’azione:
È che a volte, diffondendo le idee antispeciste sempre tramite i blog o altri social network, comunicando e confrontandosi sempre tramite internet, si rischia di perdere di vista la realtà del mondo fuori, cioè una realtà fatta perlopiù di persone ignare – o, nella migliore delle ipotesi, indifferenti – dello sfruttamento degli animali. Scendere in strada, fermare la gente, fargli domande, parlarci invece dà il metro di quale immenso lavoro ci sia ancora da fare per diffondere l’antispecismo e per fare in modo che sia sempre meno quell’idea astrusa che ai più deve sembrare al momento.
Con questo non intendo affatto sminuire il lavoro di chi scrive e basta, ma solo porre l’accento sulla necessità che abbiamo, noi antispecisti, di unirci e di cooperare anche con l’attivismo vero e proprio, qualsiasi sia la maniera di intenderlo (presidi, manifestazioni, volantinaggio, liberazioni, volontariato per aiutare animali in difficoltà).
Non ero sul luogo, e spero che Rita mi perdonerà se mi permetto di contraddire il suo giudizio, ma non sarà proprio il contrario, non sarà che a furia di intervenire, agire, picchettare (spesso, purtroppo, i singoli esercienti), si è persa di vista la desolante “realtà del mondo fuori”? Non sarà che le persone, niente affatto ignare ma rese indifferenti e immunizzate al dolore altrui da una sovraesposizione di decenni alle stesse immagini iperrealistiche e agli stessi ritriti argomenti, non ci possono soffrire? Non sarà che le nostre iniziative che si susseguono pressoché identiche senza ottenere grandi risultati somigliano spaventosamente ai moti convulsi e irrelati degli stessi animali che vorremmo liberare? La mia impressione è che la “verità effettuale della cosa” non sfugga tanto a “chi scrive e basta” – tralasciando il fatto che sono convinta questa separazione degli ambiti di azione sia falsa e frutto della suddivisione dell’uomo in funzioni, determinata storicamente: gli atti linguistici sono, a tutti gli effetti, atti, e inevitabilmente generano conseguenze -, quanto a chi, pur di non rimanersene “con le mani in mano”, si dedica con ammirevole quanto inutile zelo ad un interventismo standardizzato e miope, consolatorio quanto gran parte di quell’attività di analisi e critica che ultimamente va tanto di moda denigrare. Non fraintendetemi: appoggio totalmente il presidio di Marino. Solo, non mi sorprendo gli animalisti siano stati trattati come testimoni di Geova, né credo la spiacevole circostanza sia da imputare alla scarsa informazione dell’uomo qualunque in materia di sfruttamento animale.
L’impressione che molti ricevono del movimento antispecista, sovente associato a qualche stramba chiesupola, è, per quanto errata, comprensibile. Ci si trova davanti ad un gruppo omologato e compatto, che tende a identificarsi con uno stile di vita – “il pacchetto vegan” – , che si risolve in una ferrea precettistica alimentare: così come accade per ogni dottrina. Go vegan!, ovvero: diventa come noi. I limiti (e i danni) del proselitismo fine a se stesso, che attivisti come Reggio e Maurizi – ma non sono i soli: pure io, timidamente, ci ho provato – si ostinano instancabilmente a mettere in luce, vengono perlopiù ignorati da gran parte degli attivisti, oppure – peggio ancora – accettati come veri senza che ciò produca alcun sostanziale ripensamento della prassi. Il massimo che si può sperare di ottenere, è un “vegano politicizzato”, ovvero un individuo che comprende il carattere sistemico dello sfruttamento ma, per una strana dissonanza, continua imperterrito a rivolgersi al singolo consumatore, suggerendogli (talvolta intimandogli) cosa mettere nel carrello. Per mancanza di un’alternativa immediatamente praticabile, si va avanti tale e quale a prima, sperando la mano di un deus ex-machina giunga un giorno benigna a risolvere la spinosa situazione. Persino Tom Regan ha sottolineato quanto sia illusorio credere che isolate modificazioni del consumo individuale possano, in un sistema come il nostro, condurre all’abolizione dello sfruttamento, e certo questo non può sfuggire all’occhio implacabile dell’osservatore disincantato, che vede nel vegano, probabilmente, un integralista dell’inutile, maniacalmente dedito a una serie di privazioni che non hanno alcuna presa sulla realtà. Ciò dovebbe portare, credo, a una consapevolezza tanto rognosa quanto necessaria, che stenta però a prodursi: insinuare che diventare vegan non sia “una scelta, ma un dovere”, è un’autentica sciocchezza, e, ciò che è più grave, una sciocchezza del tutto controproducente, perché ci priva di ogni possibile interlocutore.
Il caso Yourofsky mostra, tuttavia, che parecchi animalisti non si dibattono affatto in questa dissonanza, essendosi arrestati molto prima: nonostante sui limiti della diffusione della “scelta vegan” si sia espresso pressoché chiunque (lo stesso, molto amato, Steve Best), si è eletto a vate un attivista che si dichiara apertamente apolitico e impronta il proprio impegno sempre e di nuovo alla diffusione della “scelta vegan”. Come evidenziano le puntuali analisi di Campagne per gli animali e Oltre la specie, gran parte delle polemiche (sacrosante, aggiungo io) che hanno investito il personaggio, si sono concentrate non tanto sul messaggio in sé, quanto sui metodi di divulgazione dello stesso. Si tratta in fondo dell’antica disputa fra vegani “arrabbiati” e vegani “mansueti”: gli onnivori non si convinceranno con le botte e le offese, ma coi bacini e le carezze. Che il problema stia proprio nel badare a ciò che si mettono nel piatto i singoli – un’impostazione evidente in entrambi gli approcci – , e nel pretendere di fornire loro, cortesemente o meno cortesemente, “le tavole della legge”, ovvero una collezione chiusa di prescrizioni su come si devono condurre nella vita di ogni dì, è un’ipotesi che non li sfiora. E, se e quando li sfiora, innesca immediatamente un fittissimo turbine di meccanismi difensivi che servono a preservare in assoluto il valore della “scelta vegan”, alla quale sentono intimamente legata la propria identità, anche a scapito degli stessi animali. Se, in senso strumentale, il veganismo si rivela del tutto fallimentare, a livello simbolico e di testimonianza individuale, esso non può essere imposto. Il vegano che decide di non consumare parti animali – una scelta che umanamente apprezzo come poche altre e ho fatta mia – è un “kantiano” della morale, cioè si muove nel regno delle intenzioni, fa qualcosa che ritiene giusto, anche se non modificherà il corso degli eventi. Può essere nobile, ma se ci si contenta di questo, sentendosi automaticamente assolti e perdendo completamente di vista le conseguenze del proprio fare e dire sulla realtà (le proprie responsabilità), si riduce a un gioco dell’io con se stesso, una forma di autocompiacimento narcisistico cui gli animali, che continuano a venire ammazzati, fanno da sfondo. Come scriveva Jean Améry, la rabbia e il dolore che tutti proviamo devono venire addomesticati perché si trasformino in quella “ragione radicale” che sola potrebbe consentirci di operare scelte mirate, e questo richiede, forse, lo sforzo non facile di disfarci di un buon numero di certezze prefabbricate che al momento contribuiscono a ispessire quel contesto di accecamento in cui tutti ci muoviamo a tentoni. Non credo, insomma, il proliferare di azioni che ripetono fatalmente gli stessi errori e sono virtualmente in grado di attirare attivisti propensi a invaghirsene sia veramente desiderabile ai fini della liberazione animale. Rovesciando Marx (per una volta), i filosofi si sono occupati di cambiare il mondo, si tratta ora di capirlo.
Comments
29 Responses to “Prurigine all’azione: talvolta, meglio grattare”Trackbacks
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[…] apparso su Asinus Novus […]
Chiara, ineccepibile come sempre, Serena. E, come sempre, scrivi benissimo! (che non guasta) 😀
Ehi, grazie 😀
mi piace assai!! assai!!!
Ho molto apprezzato l’umiltà di Rita.Non so come si sia svolto quel presidio. Le descrizioni fornite sono fin troppo note. Non so se si trattava di un ‘pacchetto’ strillone/autoreferenziale affetto dalla sindrome della balia (ovvero -speriamo che mi si noti, non vedi come soffro, non vedi quanto sei boia). Pur non avendo le chiavi della verità in tasca mi sento di dire che chiunque si trovi in strada dovrebbe ri-conoscerla e magari provare a ‘gestirla’. Tuttavia quell’ illusorio attivismo, tanto bistrattato, che viene relegato nell’angusto spazio del presunto attivista che “continua imperterrito a rivolgersi al singolo consumatore” non merita il pruriginoso biasimo di nessuno, anche se è reale il fatto che ultimamente il ripetersi bulimico di eventi (peraltro con discutibili partecipazioni) meriterebbe più di una riflessione. Riguardo a guru-Yourofsky sono nauseata e annoiata. La tristezza che mi hanno regalato i suoi dogmi e i suoi fans è ,però, un lusso che non posso più permettermi.
Facendo parte di certa ‘subcultura’ stradaiola che non disdegna lo studio ho quasi paura a chiedermi se le parole di Rita, gratta-gratta, non abbiamo toccato importanti centri nevralgici, tanto da non poter godere neanche di un legittimo tempo di decantazione. ciao 🙂
Grazie LauraLu.
Il presidio si è volto davvero in maniera rispettosa, tranquilla, non potevamo nemmeno parlare con il megafono perché quelli del circo per tutto il tempo (quattro ore circa) hanno usato il proprio, in maniera continuativa ed assordante (tale da non permetterci di poter fare un discorso), con cui facevano pubblicità al circo (“venite venite gente, accorrete accorrete a vedere più di cento animali, leone, giraffa, orso bruno, canguri e scimpanzé, correte a vedere il trapezio ecc. ecc.”). 😀
Abbiamo distribuito volantini e parlato con la gente. Tutto qui. Niente isterismi o urla o chissà cosa, pure perché sapevamo che c’erano i bambini e di certo non volevamo spaventarli o chissà cosa.
Questo è anche merito di chi l’ha organizzato, Per Animalia Veritas, che ringrazio ancora.
Mmm, non so se ho capito il tuo commento, spesso fraintendo le parole altrui. Apprezzo Rita come sempre, e non mi sogno di contestare il presidio di Marino, che sono sicura, dato chi lo ha organizzato, fosse assolutamente pacifico: d’altronde a proteste simili contro Orfei, nella mia zona, ho partecipato anch’io. Mi chiedo solo come le azioni in generale possano essere più efficaci e mirate, perché l’impressione è che ci stiano facendo terra bruciata attorno: con noi che li aiutiamo pure. Talvolta quando si criticano gli attivisti questi se la prendono tremendamente sul personale, e uno quello che pensa comincia ad avere quasi paura a scriverlo…qui si tratta di capire come crescere, tutti, per avvicinare l’obbiettivo: gli ego non c’entrano. Ciao 🙂
Serena, però terra bruciata attorno non è che ce la facciamo per via dell’attivismo o dei presidi, ma per via di ALCUNE maniera di fare attivismo o presidi. Ovvio che mettersi ad urlare “boia, assassini ecc.” non paga, anzi allontana alla gente, ma un presidio pacifico come quello di domenica (l’ho descritto nei particolari come si è svolto, nemmeno abbiamo potuto usare il megafono perché ci ha sovrastato tutto il tempo quello del circo) invece può servire a far riflettere la gente.
Ora, sul circo farei un discorso a parte. Certamente un presidio non serve a mutare la complessità della prassi dello sfruttamento animale, ma può indurre, nello specifico, a convincere le persone a non andare al circo con animali. I circhi con animali continuano ad essere fatti solo perché la gente ci va, ma non è che hanno poi questo afflusso come un tempo, è uno spettacolo ormai in declino, quindi facendo informazione contiamo di dargli la botta finale per farlo definitivamente abolire. Quello con animali intendo, per il resto, può essere anche uno spettacolo gradevole (io di certo 25 euro, tanto pare che costasse il biglietto per gli adulti, preferisco spenderli per andare al teatro, ma è questione di gusti).
Insomma, già riuscire a combattere e a vincere battaglie isolate come quelle dei circhi, ma caccia, la corrida, è un risultato. Fermo restando la complessità dello sfruttamento degli animali che è questione assia più radicata e appunto difficile da affrontare.
E terra bruciata attorno ce la faremo sempre di più, man mano che otterremo risultati perché i media saranno pronti a darci addosso, ad isolarci, a danneggiarci nell’immagine e nei risultati. Mi pare ovvio questo. Più ci facciamo sentire, più andiamo ad intaccare determinate lobbies e questioni e più avremo nemici, che sono quelli che invece hanno tutto l’interesse di lasciare le cose come stanno.
Mica possiamo essere accondiscendenti però per paura di far terra bruciata. Mica dobbiamo zittirci per non infastidire chi lucra sugli animali.
Ovvio che si arriveranno a dibattiti sempre più accesi, ma è un segno positivo, è segno di vitalità della questione che finalmente inizia ad essere affrontata.
Ma infatti che io me la sia presa con tutto l’attivismo è semplicemente falso, l’articolo è stato ampiamente frainteso. Nemmeno contestavo il presidio di Marino: era una riflessione molto più generale e abitassi lì ci sarei venuta. Se la gente comune ci guarda così, non è per quello che facciamo lì, ma per ciò che GIA’ pensa di noi. Non si può far finta di niente e andare avanti come niente fosse, solo perché “abbiamo ragione”. Almeno a parer mio.
Complimenti per il tuo ottimo articolo, quoto e sottoscrivo il commento di Marco sopra.
Sui limiti del veganismo e del “proselitismo” vegano la penso esattamente come te, lo sai, quindi non aggiungo altro.
Sull’attivismo invece penso che esso sia necessario, non da solo, ma affiancato al lavoro di chi scrive (come spero si sia capito).
Non penso che non ottenga risultati: per quanto molte persone domenica scorsa si siano mostrate indifferenti, ce ne sono state però anche altre (in genere i ragazzi giovani, eh sì, perché pare che al circo ci vadano anche le coppie) che hanno ascoltato, preso gli opuscoli e detto che poi li avrebbero letti, o che avrebbero approfondito a casa. Ovvio che quel giorno poi sono entrati, ma chissà, magari la prossima volta ci penseranno. Non è che uno matura delle scelte in maniera repentina, c’è sempre il momento della presa di coscienza a cui però dovrà aggiungersi l’elaborazione successiva e la riflessione affinché da pensiero si tramuti in azione, in scelta vera e propria.
Come ha detto Steve Best non esiste una formula magica per l’attivismo che possa andare bene per tutti i casi, per tutti i settori dello sfruttamento animale. In alcuni casi funzionano i presidi, in altri no. Alcuni vengono toccati dalle immagini – e per il momento non ci vedrei il rischio che possano dare assuefazione e risultare meno efficaci in quanto chi non vuole vedere, sapere, sentire, nemmeno si sofferma a guardarle, facendo un po’ come le tre scimmiette – altri da un discorso pacato (a proposito, noi non siamo stati assolutamente aggressivi, le persone sono state fermate gentilmente, con molto rispetto e gli si è parlato in maniera educata, oppure gli è stato dato semplicemente l’opuscolo informativo), altri ancora da una singola frase che magari va a smuovere qualcosa in quel preciso momento. Le scelte di ognuno sono frutto di condizionamenti, ma anche di particolari momenti “epifanici” che vanno a rivelare una realtà diversa da quella fino a quel momento percepita.
Io penso al mio singolo caso: sono diventata antispecista per una concomitanza di fattori, anche perché nel tempo mi è capitato di ascoltare attivisti che avevano attirato la mia curiosità e non è che è successo una volta e basta, magari la prima volta tiravo via indifferente anche io, la seconda mi giungeva qualche cosa nelle orecchie, la terza mi fermavo a prendere il volantino; la propaganda, in questo caso diretta ad informare, a far conoscere, funziona e se funziona il bombardamento mediatico, allora funzionerà anche quello ad informare sullo sfruttamento degli animali. Poi certo, personalmente ho anche approfondito leggendo libri, articoli come i nostri, come quelli che qui ci impegniamo tutti a scrivere, ma perché io sono fondamentalmente una persona che legge, a differenza di tanti là fuori, che già se gli dici di soffermarsi su un articolo lungo dieci righe gli viene un colpo.
Secondo poi l’antispecismo politico – ove per politica si intende proprio l’agire, l’azione – non può non contemplare anche l’attivismo, che è una maniera per fare politica con il proprio corpo (appunto il principio della nonviolenza gandhiana tradotto in azione), per concretizzare il pensiero, per andare a provare ad incrinare quelle strutture su cui si regge lo sfruttamento del vivente. Ogni persona in meno che entra al circo (e c’è stato chi è tornato indietro) è un mattoncino che si allenta, è un principio di messa in discussione della prassi di sfruttamento del vivente. E’ boicottaggio, quindi politica.
Quindi non sono assolutamente d’accordo sul fatto che l’attivismo non funzioni, certo va ripensato e contestualizzato a seconda dei singoli casi e va unito alla filosofia, al pensiero, alla teoria.
Insomma, mi pare persino di dire una banalità, ma da sempre i risultati più efficaci si sono ottenuti unendo la teoria con la pratica.
Lo scendere in strada, e finisco, è fondamentale (o almeno tale lo reputo per me) altrimenti non si ha il metro della situazione, del lavoro da fare; fondamentale è tenere presente che là fuori esiste un sacco di gente che su internet non ci va (o se ci va è per andare su FB o frequentare siti generalisti), che non legge i libri, che al massimo sente parlare di animalismo nei salotti mediatici (con i risultati che si sono visti come su Unomattina): questa gente come la informi?
Grazie per i complimenti. In realtà, Rita, le conclusioni a cui arriviamo sono più o meno le stesse (almeno credo): teoria e prassi – che ridere sentirmi usare questa terminologia, ho sempre l’impressione di leggere una sbruffona che prova a fare la seria, con scarsi risultati – devono muoversi insieme. Non mi sognerei mai di dire che l’attivismo è inutile, per carità: ma credo potrebbe essere gestito meglio. Sebbene ormai tutti si definiscano “antispecisti politici”, sono ancora attaccatissimi a un approccio di tipo morale e individualistico: pure tu, alle volte, mi pare. Insomma, se giungiamo alle stesse conclusioni, come ti dicevo, ci arriviamo, curiosamente, tramite percorsi opposti. Secondo te “chi scrive” non ha ben presente cosa succede in strada, e rischia di perdersi in un mondo tutto suo, lontano dalla realtà. Io temo invece sia l’esatto contrario: chi scrive (mica io: quelli seri) ha uno sguardo profondamente disincantato sulla strada, e, se cerca di orientarla, viene subito zittito e tacciato di essere un attivista di serie b – non abbastanza attivista – che non deve permettersi di criticare chi si dà tanto da fare. Quando magari le sue critiche sono dirette unicamente a cercare di far crescere il movimento, in tutti i sensi possibili.
Sulle immagini cruente non sono d’accordo con te, per niente, sono convinta vadano ideate diverse strategie. Credo, a differenza di Claudio e Pasquale, oltre che scendere in strada sia necessario entrare pian piano nei salotti mediatici. Pasolini e Adorno contestavano la televisione, vero: ma ci sono andati.
Io non è che alle volte sono attaccatissima al solo approccio morale ed individualista, mi pare che i miei ultimi articoli non abbiano mai mancato di mettere in evidenza la complessità della prassi dello sfruttamento del vivente che si è andata strutturando da un certo punto in poi nella storia, dico solo che in mancanza di una strategia sicura per decostruire questo sistema, intanto si può cercare di agire anche sul singolo. L’antispecismo politico, identificato il problema, analizzata la questione, non ha dato comunque una risposta. Come ha detto lo stesso Marco alla presentazione del suo libro, lui una risposta mica ce l’ha. Nel frattempo che arrivi questa risposta, che tutti ci ingegniamo e fatichiamo a trovare (e pure io penso che invece i salotti mediatici andrebbero occupati, perché se funziona la proganda mediatica in un senso, funziona anche nell’altro e appunto Pasolini ci andava eccome in TV perché sfarsi sfuggire un mezzo così influente sarebbe da sciocchi) intanto percorriamo pure le altre strade, che siano quelle dell’attivismo, dell’approccio morale ed individualista o altro. Nessuno ha la formula vincente, purtroppo, ancora.
Se tu ce l’hai, ben venga. Proponi. Ad esempio, al posto delle immagini cruente, che metteresti? Te lo domando con sincera curiosità, eh, non fraintendermi.
Io pure critico il movimento (o meglio, i movimenti, visto che siamo così frammentati, e pure questa cosa non va tanto bene, in Italia ci sono ormai non so più quante associazioni, possibile che non si riesca a far capo ad unica strategia vincente?).
Ma cosa fai, anche tu te la prendi sul personale, ora? 😀 Pure a me a volte esce la vena moraleggiante…credo come te sia ancora inevitabile: ma almeno non la incoraggerei e proverei a correggere il tiro (non ce l’ho con te). L’hai letto questo articolo di Marco? http://www.antispecismo.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=85:alcuni-errori-tattici-e-strategici-del-movimento-antispecista-di-marco-maurizi Molto bello. Io, ad esempio, alle immagini cruente, alle colpevolizzazioni e alle continue accuse, preferisco le marce silenziose. Poi, non direi MAI alla gente cosa fare: niente prescrizioni, al limite tentativi di diagnosi. E spedirei Leo, che è pure carino, in TV.
Ma no, che c’entra il personale, non mi pare, né me la sono presa. Hai scritto però “pure tu alle volte, mi pare” ed ho replicato. Cioè, se metti in gioco il “tu”, rispondo con “io”, ma sempre per allargare il discorso pure al generale, ci mancherebbe. 😉
Comunque, torno a ripetere, il presidio di domenica non è stato affatto violento o aggressivo nei modi, anzi, assomigliava molto di più ad un concetto di “presenza”, come dire, noi ci siamo, stiamo a qui e vi vogliamo raccontare cosa avviene dietro le quinte dei circhi. Cosa dovremmo fare allora, permettere che simili spettacoli e manifestazioni (come anche le corride, le corse dei cavalli, i palii) si svolgano senza nemmeno far sentire una voce diversa?
Per me anche solo “disturbare” con la nostra presenza ha un senso, il senso del boicottaggio, dell’azione nonviolenta, della disobbidienza civile, che poi si avvicina anche un po’ a quello di cui parla Leo nella proposta del suo terzo antispecismo.
E’ importante esserci a questi eventi, secondo me. Mostriamo che esiste un’alternativa. E se qualcuno poi ci seguirà, meglio ancora. Se qualcuno troverà il tempo di fermarsi a riflettere intanto un risultato si è ottenuto. Pensa quello che è successo a Green Hill. OK, d’accordo con te che la singola chiusura del singolo allevamento non ha risolto la questione della vivisezione, ma intanto il clamore mediatico ha permesso che poi venissero scritti degli articoli, che ci fossero dibattiti in tv e su altri media, la questione da piccola che era è diventata gigantesca. Farsi sentire è importante, farlo per strada anche, ripeto, nei modi appropriati, non inneggiando alla morte degli aguzzini o gridando assassini, al boia ecc., semplicemente parlando, farsi presenza, opporsi con il proprio corpo a certi spettacoli di sfruttamento del vivente. Per me tutto ciò ha una rilevanza politica.
Oh, la politica un tempo si faceva sulla strade, con comizi e via dicendo. Facciamola anche per l’antispecismo.
Leo in tv lo vedrei bene. 🙂 Sarebbe la volta buona che torno a guardarla.
Appassionata e appassionante discussione.
Mi ricorda quelle sessantottine, allora anche violente.
Tra i dilemmi di allora: combattere il Sistema dall’interno (PCI, D’Alema, Veltroni….)
o dall’esterno (Lotta Continua, Movimento Studentesco, Potere Operaio…).
Sappiamo com’è andata a finire.
Forse il più grave errore fu la fretta, che portò alcuni fino alla lotta armata (Prima Linea, RAF…) e altri a diventare servitori del potere che volevano combattere dall’interno.
Non potrebbe essere la fretta, anche per l’animalismo, il più grave errore che possa commettere?
Quanto all’apparire in TV, si tratta di un’intolleranza che mi porto dietro dagli anni di teatro, quando scacciavamo i giornalisti che volevano intervistarci a fine spettacolo
o protestavamo per articoli e servizi su di noi senza il nostro permesso.
Perfetti discepoli di Eugenio Barba eravamo!
Quindi non mi date ascolto. 😉 Sarò felice di vedere Leonardo Caffo in tivvù.
E complimenti a Rita per le sue attività in difesa degli animali.
Conosco bene le ore di lavoro che stanno dietro, le attese,
la fatica nell’affrontare passanti distratti, gli avvilimenti, le delusioni…
Grazie Pasquale, pure se le ore di lavoro dietro non le ho spese io, che mi sono semplicemente limitata a partecipare al presidio, ma chi ha organizzato il tutto.
La fatica nell’affrontare passanti distratti, frettolosi invece quella l’ho affrontata e vissuta tutta, così come la delusione, gi schiaffi (simbolici) ricevuti dall’indifferenza generale dei più, ma lo rifarei mille volte ancora perché il mio disagio è nulla rispetto alla sofferenza degli animali.
Complimenti Serena. Quasi banale dirlo, dato che dici molto bene cose che – almeno in parte – dico da anni (io, Oltre la Specie, il movimento per l’Abolizione della Carne, e prima ancora Antonella Corabi, Marco Maurizi, Agnese Pignataro, ed altr* ancora). Una delle cose molto interessanti che puntualizzi, che io non ho mai detto così apertamente, ma che emerge nel 90% di queste discussioni è che si confonde forma e sostanza. Quando si critica il proselitismo vegan, molti pensano che si stia aprendo un dibattito sulle modalità di comunicazione: “gridata” o incazzata vs. accondiscendente e “carina”. Tra parentesi, spesso c’è più violenza nella seconda, ma questo è – appunto – un altro paio di maniche. La questione è esattamente se sia giusto e utile dire alle persone che cosa devono fare. Come ho detto altrove (http://www.liberazioni.org/liberazioni-n9.html) porre la questione dello sfruttamento degli animali a fini alimentari in termini di responsabilità individuale dei consumatori è una strategia che in altri ambiti verrebbe definita, in senso lato, “di destra”, molto semplicemente. Perchè distoglie l’attenzione dalle vere responsabilità (economiche, politiche, certamente complesse da analizzare, ma indubbiamente di carattere strutturale e non individuale), colpevolizzando i singoli. Il problema in sè non è ovviamente la colpevolizzazione, nè soltanto l’approccio moralistico, ma proprio l’errore che sta alla base. Il grande dibattito ora in voga sulla politicizzazione / apoliticità del movimento è inquinato anche dal proselitismo vegan, che, in questo senso, spinge verso una visione sostanzialmente apolitica. Non è un caso se leggendo questo articolo la mia prima impressione è stata di incredulità rispetto alle modalità del presidio. Detto terra terra ho pensato “seee… chissà come avranno apostrofato i bambini che entravano al circo” (prendersela con i bambini in quanto “complici” di un circo con animali è se vogliamo proprio la manifestazione estrema del proselitismo vegan e della responsabilizzazione dei soggetti che in realtà hanno ben poche responsabilità). E invece no, come Rita ha spiegato, nulla di tutto ciò. Ma non basta: l’immagine degli animalisti ci perseguita, anche quando agiamo in modo “diverso”. Leggendo l’articolo ho anche riflettuto su questo: “Se, in senso strumentale, il veganismo si rivela del tutto fallimentare, a livello simbolico e di testimonianza individuale, esso non può essere imposto.” Come attivista e sostenitore del movimento per l’abolizione della carne (www.meat-abolition.org) qualcosa non mi tornava. Perchè in effetti io vorrei proprio imporre il veganismo! Eppure concordo con l’affermazione di Serena. Perchè? Perchè in effetti parliamo di due cose diverse, con il termine “veganismo”. Nel caso di Serena, parliamo dell’imposizione agli individui di un regime di consumo in un sistema in cui tali consumi sono ammessi (perchè ne è ammessa la relativa produzione!). Nel secondo caso, parliamo di una lotta per imporre la chiusura degli allevamenti e dei macelli, e cioè non il veganismo. Quando chiuderemo gli allevamenti (o meglio, li apriremo 🙂 ), non potremo proprio più parlare di veganismo, semplicemente. E ancora, la nostra fama ci precede: talvolta cerco di utilizzare, confusamente forse, questa distinzione per far capire che avere una posizione apparentemente forte, autoritaria, come voler abolire gli allevamenti, è in realtà una posizione molto meno giudicante, molto meno colpevolizzante nei confronti dei singoli. Io capisco che a molti piaccia la carne (me compreso!), e non voglio intervenire su questo piacere, nè sulle contraddizioni morali delle persone, perchè non sono contro la carne, ma contro lo sfruttamento animale. Questa è una banalità, ma dobbiamo acquisirla in massa, come antispecisti, e farne il centro del dibattito pubblico, altrimenti il dibattito pubblico resterà ancorato alla “dieta”.
Ciao Marco, grazie 🙂 Conoscevo quel tuo pezzo secondo me perfetto, ma non sapevo fosse disponibile sul web, o lo avrei certamente linkato al posto di quello più recente sui fatti di Green Hill. Concordo in pieno con quanto dici in chiusura (in realtà con tutto), e cioè che sia essenziale adottare una visione apparentemente più autoritaria e forte (e folle, per alcuni), ma rivolta all’intera società e soprattutto chiara: solo che, nonostante siano anni che queste cose vengono dette, ho l’impressione non abbiano prodotto modificazioni sostanziali del modo di porsi di tanti attivisti. Go vegan, scelta vegan dappertutto, oppure coerenza qui coerenza là, se vuoi sfilare con noi devi essere vegano ecc ecc. Insomma, dato che son qui, ribadisco…e provo ad aggiungerci del mio: sulla confusione forma/sostanza, a me avevano colpito parecchio alcune delle reazioni seguite alla traduzione dell’articolo di David Cain, Essere vegan senza essere “vegan” (http://asinusnovus.wordpress.com/2012/06/19/essere-vegan-senza-essere-vegan/), che incarna in pieno il modello del vegano “mansueto”, come l’ho definito per comodità nell’articolo. Tralasciando il fatto che io in effetti preferisca i bacini e le carezze alle offese e le botte (son gusti…!), questo qui sotto sotto sta fornendo prescrizioni su come convincere di più, e quindi ha la stessa identica forma mentis dei vegani “arrabbiati” che tanto contesta.
Concordo con Marco. Bisogna lavorare per abolire gli allevamenti, non colpevolizzare il singolo. Io non li sopporto proprio quelli che, anche di fronte a qualcuno che mostra di avere fatto passi in avanti sostenendo di avere ridotto il consumo di carne, gli fanno notare che non è abbastanza. Ho proprio un moto di fastidio insopprimibile. Ma lavorare per abolire gli allevamenti si può e si deve, cominciando da quelli intensivi. In fondo la Svizzera l’ha già fatto, mica è impossibile. Ma per questo serve anche la politica, quella tradizionale.
Non dimentichiamoci Giovanna che però esistono anche presidi e manifestazioni o altre iniziative di attivismo in cui non è che si cerca di colpevolizzare il singolo, ma solo di informare e sensibilizzare. E credo che iniziative come queste siano essenziali al fine di far conoscere alla persone cosa avviene dietro le quinte dei circhi, allevamenti, laboratori ecc.. Che è quello che è stato fatto domenica scorsa. Se poi il singolo finisce per avere la coda di paglia e si sente tirato in gioco, si sente aggredito, offeso, colpevolizzato, credo sia un problema suo, il segnale che evidentemente è stato punto nel vivo.
Sai a volte succede che io, senza dire nulla, mi limiti a rispondere alla domanda “perché non mangi carne?” che non la mangio perché appunto non voglio partecipare dello sfruttamento degli animali. A quel punto l’interlocutore di turno si sente punto nel vivo e se la prende sul personale, come se avessi voluto colpevolizzarlo. Quindi cosa si dovrebbe fare, rinunciare ad informare, ad esprimere le proprie posizioni sol perché il singolo si sente in colpa, poverino?
Come sai nemmeno a me piacciono le maniere aggressive in cui si ferma il passante e gli si dà dell’assassino, ma presidi informativi (come quello di domenica), manifestazioni come quella organizzata sempre da Barbara Balsamo quel sabato a Piazza Santa Maria in Trastevere, pure se hanno mostrato video forti, credo siano essenziali per informare.
Poi d’accordo che vadano aboliti i macelli e tutte le altre forme di sfruttamento, ma non sottovaluterei l’attivismo di strada, fatto nelle dovute maniere.
Green Hill è stata chiusa anche grazie alle azioni degli attivisti che hanno insistito affinché la magistratura indagasse e alla fine la magistratura se ne è dovuta occupare pure perché c’è stata ampia richiesta da parte della massa, una massa che è stata portata a conoscenza di quel luogo grazie alle manifestazioni, presidi ecc..
Rita, dov’è che avresti letto che sono contro l’attivismo? Neanche per idea! Anzi, lo approvo e sono a favore dell’informazione e della sensibilizzazione. Ma tra distribuire un opuscolo informativo sugli allevamenti intensivi e dare dell'”assassino!” a chi ha mangiato un uovo c’è un abisso, no? Io al secondo atteggiamento mi riferivo, e solo a quello.
Sì, sì, lo so, ho solo voluto specificare che però a volte, pur non volendo colpevolizzare il singolo, succede che anche iniziative pacifiche, volte alla sola informazione e sensibilizzazione, possano farlo sentire comunque come uno cui si punta il dito contro e questo credo sia inevitabile.
Insomma, se molti odiano gli animalisti non è solo perché spesso alcuni di noi usano toni aggressivi, offensivi verso il singolo, ma perché portiamo alla luce una verità scomoda, una verità che molti preferirebbero non affrontare.
Questo il senso del mio commento. Ossia, bisogna comunque alla fine anche un po’ fregarsene se risultiamo poco simpatici, ciò credo sia inevitabile.
Inoltre il mio commento era in risposta a quanto scritto da Marco Reggio
Beh, vabbè, scusami se mi sono intromessa allora.
Rita, ma no, quale intromessa, era solo per chiarire che il mio commento non era un’obiezione a quanto scritto da te 🙂
Secondo me continuiamo a fare un po’ di confusione. Non è che l’opposizione fra “colpevolizzazione” (o sensibilizzazione) individuale vs. rivendicazione di abolizione di una pratica collettiva (allevamenti) coincida con l’opposizione fra azione di strada e azioni legali o parlamentari. Non c’è un nesso particolare. Tanto è vero che si possono fare campagne sulle abitudini individuali anche a livello istituzionale, legale, ecc. (chiedere di promuovere il veganismo per es. d parte delle autorità) e all’opposto campagne di strada per chiudere gli allevamenti e i macelli. Sono due questioni distinte, ed è bene che sia chiaro. E, ancora: il punto non è se dare dell’assassino o dare del “cattivello”. Quello che è quanto ha detto meglio di me Serena, appunto, è che il punto non è questo. Alla domanda sul perchè io attivista non mangio carne, dovremmo rispondere “ti importa molto se io mangio o no la carne? parliamo degli allevamenti, io sono contrario come sono contrario alla schiavitù, e tu?”. Scusate la trivializzazione 🙂
Ma sì, infatti, Marco, concordo con te. A me danno fastidio sia l'”assassino” sia il “cattivello”, ed è sbagliato identificare la “strada” con il proselitismo vegano e l’approccio istituzionale con l’abolizione degli allevamenti. Infatti, ad esempio, la manifestazione a Trastevere citata da Rita secondo me era perfetta come manifestazione a sostegno dell’abolizione degli allevamenti (intensivi, in primis) oltre che del veganismo.
Ma infatti alla domanda “perché non mangi carne?” io do sempre una risposta di tipo, se vogliamo, politico, ossia non mangio carne perché mi oppongo alla sfruttamento degli animali.
E concordo con il fatto che la strada non sia solo proselitismo, mi premeva ribadire questo. In sostanza.
il mio pezzetto “amore o dovere” (qui sopra) voleva essere una sorta di commento a questo intervento…
ma probabilmente dovevo essere più esplicita!