Paradossi logicamente animali

­di Ettore Brocca, Leonardo Caffo

(articolo inedito del 2010/2011)

Il paradosso è diventato ormai ortodossia; gli uomini sguazzano placidamente nel paradosso come nel luogo comune. Non è il fatto che l’uomo pratico stia a testa in giù, il che alle volte può essere una stimolante per quanto sconcertante ginnastica;  è che a testa in giù ci sta a  meraviglia: ci dorme, perfino[1] 

(Gilbert Keith Chesterton)

Introduzione

 Il Paradosso è una parola composta da due termini semplici: para che deriva dal greco antico – ‘παρα’ (para) – e vuol dire ‘contro’ e dosso -‘δόξα’ (doxa) – che vuol dire ‘opinione’. Il paradosso si costituisce come un ragionamento apparentemente convincente che conduce a conseguenze che contraddicono gli assunti stessi del ragionamento in questione; per questa ragione un paradosso è una conseguenza indesiderata di un ragionamento apparentemente efficace ma che – in realtà – si costituisce come contraddittorio.

Ma cosa c’entrano il paradosso e la contraddizione con gli animali e la questione animale?

Uno sguardo attento al contemporaneo fornisce molti spunti di riflessione per inquadrare l’atteggiamento umano entro confini paradossali quando gli animali cominciano ad occupare parte dei suoi pensieri.

In questa sede ci dedicheremo all’osservazione di tre casi paradigmatici: (1) il nascente concetto della “carne – felice”; (2) le leggi sulla tutela animale e (3) i limiti di alcuni progetti antropocentrici nella salvaguardia animale.

La “carne – felice”.

 Matthew Cole[2] ha ben analizzato, alla luce del pensiero di Foucault sui poteri disciplinari e pastorali, la falsa retorica del benessere animale ed il crescente fenomeno esemplificato dall’ossimoro concettuale “carne – felice”. Negli ultimi anni – in Italia –  l’ideologia del consumo etico e sostenibile della carne animale  è stata pubblicizzata attraverso svariate iniziative che descrivono un nuovo benessere animale, concesso dall’allevamento biologico, sufficiente per tacitare le coscienze entro una prospettiva definita, in modo del tutto paradossale, “etica”. L’ideologia in questione si pone l’obiettivo di instaurare una riflessione etica sul consumo e lo spreco delle risorse alimentari da parte dell’uomo e, entro un paradigma del genere, l’animale perde lo statuto ontologico di mera oggettualità tipico del sistema industriale – allevamenti intensivi – e diventa, a tutti gli effetti, oltre che una delle risorse alimentari da tutelare, un essere vivente da accudire in salute in modo tale che il benessere che gli abbiamo garantito possa essere, attraverso la “divorazione” delle sue membra, trasferito all’umano consumatore nel rispetto blando di un’ecologia basilare. Il paradosso di un’ideologia come quella della carne biologica, in cui si concede un benessere a quegli stessi animali che poi verranno macellati, solo perché la loro vita è stata leggermente più “lunga e tranquilla” rispetto a quella degli animali degli allevamenti intensivi è fin troppo semplice da evidenziare.  Un ragionamento apparentemente convincente in cui si cerca di riformulare l’ideologia del consumo della carne attraverso un’etica nel trattamento degli animali non umani si risolve, inesorabilmente, nella morte come sempre dolorosa e brutale di quegli stessi animali. Il solo accostamento di parole come “benessere” e “sfruttamento” rendono palese il paradosso in questione e, ancora una volta, si delinea l’impossibilità di un consumo etico della carne perché, nessuna forma di uccisione e sfruttamento senza motivazioni necessarie, può essere perseguita sotto la bandiera del giusto o del giustificato. La mortificazione dell’animale in una prospettiva come quella della “carne felice” diventa, se possibile, ancora più evidente che entro il sistema della macellazione industriale. Riconoscere a degli individui animali il diritto al benessere e alla vita risulta del tutto incompatibile con delle pratiche di uccisione e sfruttamento e questo atteggiamento manifesta, palesemente, una contraddizione in termini per cui, il presunto interesse per la condizione animale, risulta funzionale solo per discutere di argomenti come l’impatto ecologico e la salute umana. Nessuno esclude i presunti vantaggi antropici degli allevamenti biologici, ciò che conta è che nessuna sofferenza o uccisione può essere giustificata attraverso questi presunti vantaggi. Nessun animale vuole gabbie più larghe o vita leggermente più lunga. La prigionia animale deve concludersi senza sconti e senza false ipocrisie; il paradigma di “carne felice” si costituisce come una vera e propria violenza programmatica all’insegna del biologico e – il presunto interesse per il benessere animale – palesa la triste paradossalità in cui l’umano padrone cade ogni volta che cerca di giustificare le sue barbarie.

Le leggi sulla tutela animale.

 In Italia, come nel resto del mondo, gli animali non umani vengono uccisi e sfruttati per svariati scopi e finalità: nutrirsi, vestirsi, divertimento e ricerca scientifica. Il tutto avviene nell’assenso quasi totale della popolazione e delle istituzioni che manifestano un interesse generale nel perpetrare questo stato di cose. In questo contesto stupisce allora la legge – modifica al codice penale – n. 189 del 20 Luglio del 2004 di cui, i due articoli più rappresentativi, recitano così:

 (1)   Art. 544-bis. (Uccisione di animali). Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi.

(2)   Art. 544-ter. – (Maltrattamento di animali). – Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale.

 Anche in questo caso il paradosso sociale si manifesta in tutta la sua disarmante potenza. La legge in questione non è una legge per gli animali edipici o d’affezione – tipicamente cani e gatti – ma una legge per gli animali non umani in generale. Come possiamo mettere insieme, in un unico ragionamento, la volontà della popolazione e delle istituzioni di continuare a perpetrare uccisione e sfruttamento animale e la legge del 20 Luglio del 2004? L’unico modo di salvarsi da un imbarazzante paradosso sarebbe quello di analizzare in quel “senza necessità”, contenuto in entrambi gli articoli, il motivo di tale incongruenza. Che le istituzioni e la maggior parte della popolazione siano convinte che sia necessario torturare o uccidere degli animali non umani, ad esempio, per vestirsi o nutrirsi? Se fosse così, comunque, la conclusione non sarebbe meno imbarazzante. Sappiamo ormai da tempo, infatti, che non esiste nessuna necessità nel mangiare la carne animale e che l’uomo può sopravvivere benissimo seguendo una dieta vegetariana o vegana e che, ancora più decisamente, vestirsi di inserti animali non solo non è necessario ma si costituisce, probabilmente, come la peggiore delle crudeltà perché lo sterminio è compiuto per un semplice vizio estetico e nient’altro. Il paradosso delle leggi a tutela degli animali è totale. Non possiamo uccidere impunemente degli individui animali e, contemporaneamente, istituire delle leggi che ne tutelino proprio l’uccisione e lo sfruttamento perché la contraddizione generata è enorme e il rischio di sguazzare nel paradosso, totale. Che ci sia, dietro queste leggi, la volontà di assecondare un minimo di risveglio delle coscienze di fronte alla barbària della condizione animale? Una risposta affermativa è ovviamente possibile e basti pensare al crescente numero di associazioni protezioniste in Italia che cercano di migliorare la condizione degli animali su alcuni fronti specifici. Ma possiamo davvero, con coerenza, tutelare gli animali dall’uccisione e dallo sfruttamento come recita la legge e poi ucciderli e sfruttarli legalmente?! Questo è ovviamente paradossale. Nessuno può concedere all’altro il diritto alla vita e al benessere e poi uccidere e sfruttare impunemente proprio coloro a cui si sono concessi, addirittura legalmente, questi diritti. Sembra ovvio come il concetto antropico di diritto non solo sia fallace per estendere agli animali la possibilità di vivere e fiorire ma addirittura limitante. Più che inglobare gli animali non umani nel “recinto dei diritti” dovremmo mettere in discussione la natura stessa di questo recinto che permette, de facto, lo sfruttamento e l’uccisione degli stessi individui che si prefigge di tutelare. Le leggi sulla tutela degli animali, come quella del 20 Luglio del 2004, costituiscono a tutti gli effetti le assunzioni che conducono al paradosso di una società che, pur definendosi “civile”, continua a massacrare l’animalità pur dimostrando di essersi accolta della capacità di soffrire e morire dei soggetti di questo sfruttamento. [4]

I limiti di alcuni progetti antropocentrici nella salvaguardia animale.

 Il paradosso è cosa ben diffusa nel senso comune e nell’articolazione politico-economica delle società. Ma anche nelle – così definite – “scienze esatte” il problema di una coerenza assoluta tra le premesse concettuali e le conclusioni scaturitene è rintracciabile. La mancanza di confini oggettivi, e non epistemicamente delineati può, ad esempio, fare al caso nostro. Uno dei paradossi più “famosi” e semplici da comprendere è quello del sorite secondo cui se è davvero immediato comprendere cosa sia un granello di sabbia, e cosa un mucchio di sabbia è altrettanto difficile comprendere quando inizia l’uno e finisce l’altro. Da un punto di vista biologico – tra due esseri umani – può essere riscontrata una differenza pari allo 0,5 % del DNA. Il Progetto Grande Scimmia (www.greatapeproject.org) ha fatto di questo dato scientifico il punto di partenza per intraprendere un progetto, chiaramente antropico negli intenti, che mira ad estendere la sfera dei diritti[5] anche ad alcuni primati superiori, come gli scimpanzé la cui differenza con un uomo può essere, sempre a livello di DNA, pari al solo 1, 23 %. Ipotizziamo di non aver criticato il concetto di diritto (seppur brevemente) nel paragrafo precedente e prendiamo in considerazione, alla luce del paradosso del sorite, questo progetto.

Costruendo un parallelismo tra il mucchio di sabbia e la biologia possiamo provare a sostenere quanto segue. Se, infatti, il parametro per estendere la sfera della considerazione morale diventa la percentuale di differenza nel DNA degli individui possiamo costruire una scala di valori che,  partendo da un estremo in cui due individui umani differiscono dello 0,5 %, passando per i primati, arriverebbe di punto percentuale in punto percentuale, fino ai più semplici organismi viventi. Se è vero che i due estremi sono profondamente diversi (ad. Es. un uomo e una zanzara) diventerebbe però impossibile, in modo semplice e naturale, individuare un parametro che esplichi chiaramente quando è avvenuto il passaggio, da una percentuale ad un altra, tale da giustificare un’inclusione nella sfera dei diritti di certi individui. Un modo antropocentrico come questo di includere alcuni animali non umani entro la sfera della considerazione morale si costituisce come paradossale.  Il paradosso risiede nel criterio di delimitazione. Se il progetto grande scimmia fa, della scarsa differenza percentuale  il motivo di inclusione nella sfera dei diritti, deve anche assumersi l’onere di giustificare la percentuale biologica in cui sarebbe lecito fermarsi in questo processo di inclusione. Tuttavia, costruendo un sistema sfumato di gradazioni delle percentuali biologiche, le differenze tra individui di specie simili diventano veramente sottili, e passo dopo passo, arrivare ad organismi più semplici risulta cosa davvero naturale. Alla luce del sorite il progetto grande scimmia si costituisce come paradossale e, ancora una volta, i progetti di estensione dei diritti sulla base di caratteristiche biologiche, cognitive, ecc. falliscono perché è lo stesso passaggio da piani diversi a rendere fallaci questi ragionamenti. Questo modo di procedere era tipico di un primo movimento antispecista che, fortunatamente,  ha lasciato spazio ad una riflessione in cui le differenze tra gli individui diventano la normalità con cui con – vivere e non il parametro per includere o discriminare.

Note conclusive

 Con questa breve riflessione  si è voluto mostrare, in modo semplice e divulgativo, come un ragionamento più approfondito nei confronti di ciò che ci sembra ovvio ed assodato possa, in realtà, rivelare qualcosa che conduce a conclusioni prima inimmaginate. Il concetto stesso di diritto, attraverso gli esempi mostrati, può rivelarsi paradossale ed alcuni progetti volti a tacitare le coscienze attraverso il biologico o di includere certi animali attraverso parametri antropici si manifestano come contradditori. Una  riflessione attenta alle presunte giustificazioni sociali a sostegno dello specismo conduce all’evidenza di una mancanza di argomenti validi e fondati per continuare ad agire nello stato di cose che rende, a tutti gli effetti, la questione animale una vera e propria tragedia. Ripensare, come di fatto avviene nell’antispecismo contemporaneo, il rapporto tra animali umani e non umani alla luce dei limiti di un approccio normativo fornisce la chiave interpretativa dei paradossi analizzati e permette, in modo autentico, una ricongiunzione con l’altro da se, con gli animali non umani a cui nessuno può “concedere” il diritto alla vita o al benessere perché la stessa concessione di ciò che gli animali hanno già secondo natura si costituisce come paradossale.


[1] G.K. Chesterton, Saint Thomas Aquinas, Doubleday, 1933; trad.it. San Tommaso D’Aquino, a cura di G. Caputo, I Pellicani, Lindau, Torino 2008. p. 139.]

[2] Matthew Cole, Dagli “animali macchina” alla “carne felice”. Un’analisi della retorica del “benessere animale” alla luce del pensiero di Focault sul potere disciplinare e quello pastorale,  in «Liberazioni», n. 3, 2010, pp. 6 – 27.

Comments
One Response to “Paradossi logicamente animali”
  1. marcomaurizi74 ha detto:

    sintetico, chiaro ed efficace, bravi!

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: