Animalisti, ancora uno sforzo se volete essere antispecisti!

di Marco Maurizi

Il vecchio animalismo che fatica a tramontare

Sono molto contento del dibattito che si è aperto in questi giorni su Asinus Novus perché testimonia di una vivacità intellettuale notevole e di un interesse per la discussione che, visti gli standard molto bassi di dialogicità dell’animalismo, è cosa rara. Ciò detto, confesso che faccio fatica a comprendere l’oggetto della discussione. Si stanno sovrapponendo una serie di questioni teoriche e pratiche diversissime tra loro e mi pare che ognuno intervenga prevalentemente per avvalorare una propria tesi su ciò che sia/debba essere l’antispecismo oggi.
Dirò perciò la mia, affermando ciò mi pare essere la posta in gioco del dibattito, ovvero la maturazione del diffuso sentire di empatia verso l’animale in una teoria e in una prassi consapevoli ed in grado effettivamente di incidere sulla realtà dell’oppressione. In altri termini, il passaggio dall’animalismo all’antispecismo posto che, come credo, ciò che oggi si chiama “antispecismo” non ha nessuna credenziale per distinguersi dal vecchio animalismo. Anzi, ne riporta tutte intere le tare e anzi le peggiora ammantandole della presunzione infondata di costituire una teoria coerente e vera. A me sembra che ciò di cui si discute oggi sulle pagine di Asinus sia proprio questo: ci si attacca a concezioni teoreticamente superate e praticamente fallimentari dell’animalismo e si cercano motivazioni per non dover rinunciare ad esse. Si dice “soltanto per gli animali” ma in realtà si dovrebbe dire: “soltanto per l’animalismo”.

Sognatori del possibile e realisti dell’impossibile

L’intervento di Serena Contardi, l’ho già detto, l’ho apprezzato non tanto e non solo perché ne condivido gli assunti, quanto perché mi pare che, grazie alla chiarezza che contraddistingue tutto ciò che l’autrice scrive, potesse funzionare come possibile punto di partenza per una riflessione generale su alcuni “tic” che caratterizzano le posizioni antispeciste più diffuse: in particolare la contrapposizione rigida umano/non-umano e la focalizzazione esclusiva sulla sofferenza animale. Anche se l’intervento di Serena prende spunto dal titolo di un libro di Leonardo Caffo (“Soltanto per loro”), l’autrice ha ribadito più volte che il suo oggetto polemico non è Caffo in quanto tale bensì il fatto che quello slogan, non importa se inteso in senso raffinato e complesso da Caffo medesimo, riscuote applausi a scena aperta semplicemente perché conferma nella testa degli uditori il cliché che essi vogliono sentirsi ripetere: da una parte c’è l’Uomo (cattivo e dominatore), dall’altra gli Animali (buoni e oppressi). A questa sensatissima osservazione Caffo ha risposto con il seguente sillogismo: (a) Serena è un’antispecista politica, (b) l’antispecismo politico contiene un errore (scambia la realtà per i propri desideri), dunque (c) Serena sbaglia nella critica che mi fa. Ed è del tutto evidente che, anche amesso e non concesso che l’antispecismo politico commetta l’errore che Caffo gli attribuisce (ed ho mostrato qui perché ritengo questa critica non pertinente), con questo Caffo non ha affatto dimostrato che l’osservazione di Serena fosse sbagliata. Ed infatti non lo è. Lo dimostra la risposta – questa sì pertinente e ben argomentata – di Leonora Pigliucci su cui vorrei qui brevemente soffermarmi.
Comincio però col ribadire che le questioni messe sul tappeto sono tante, forse troppe, e quindi inevitabilmente l’oggetto della discussione non è chiarissimo. L’obiezione di Serena si muove su due piani, uno teorico e uno pratico. E’ teoreticamente sbagliato parlare degli animali come “loro” in quanto l’uomo è un animale e in quanto la storia della civiltà è anche la storia della repressione dell’animalità umana e di tutto ciò che viene collocato per caratteristiche reali o immaginarie nel cono d’ombra dell’animalità (istinti, sentimenti, donne, schiavi, altre etnie, folli ecc.). Negare questo intreccio costitutivo tra il soggetto umano e ciò che esso proietta fuori di sè come Altro significa, di nuovo, obbedire ai meccanismi di linguaggio del Potere che a parole si dice di voler smantellare. E qui cade la contraddizione pratica che Serena individua benissimo. La questione stessa del Potere non può essere posta in modo astratto e generico: il Potere di cui parliamo non è una generica conseguenza della volontà di sopraffazione degli individui ma è la risultante di una gerarchia di classe che si sostanzia (nel senso che è resa possibile ed è perpetuata) dell’approprazione del lavoro altrui e della conseguente iniqua distribuzione delle risorse. E poiché la società di classe in cui viviamo si struttura attorno all’opposizione tra soggetto-(pienamente)-umano e soggetti-non-(pienamente)-umani ed è come tale il prodotto di una sedimentazione storica complessa, nonché di una serie di rapporti che sono specificamente sociali (cioè inter-umani), appare una notazione di mero buon senso sostenere che la liberazione degli animail oppressi non può che passare per un cambiamento di struttura. E poiché tale struttura è intrecciata con l’oppressione umana – anche nel senso che il comportamento individuale e l’indifferenza etica generalizzata ne sono un prodotto – non si capisce come si possa sperare di liberare gli animali senza liberare gli umani.
Si dice che l’idea che liberazione umana e liberazione animale vadano di pari passo sia un “sogno” ma io sinceramente non riesco a capire come si possa disgiungerle senza finire nel delirio. Il verso sogno è quello di un’umanità che continua ad uccidersi, accaparrare ricchezze, produrre morte, povertà, indifferenza, lottare per il predominio, devastare il pianeta…e però generosamente libera gli animali dalle catene e li contempla liberi e felici sullo sfondo di macerie fumanti che si levano verso il cielo. In questo senso agire “soltanto per loro” è assurdo per poco che uno si soffermi a pensare cosa significa e quali conseguenze abbia.

Stiamo facendo progressi?

Rispetto a tutto ciò la risposta di Leonora cerca di spostare l’asse sul piano della prassi (e dunque, al pari dell’intervento di Leo non risponde alla questione teorica, giudicandola vera ma praticamente irrilevante). In sostanza, sostiene Leonora, dopo i fatti di Green Hill ci sarebbe stata un’accelerazione ed una svolta improvvisi nel movimento antispecista (l’allargamento della platea di potenziali favorevoli alla liberazione animale al di fuori dell’attivismo in senso stretto) che non solo non è il prodotto delle elaborazioni teoriche più o meno recenti ma che queste ultime addirittura rischiano di mettere in pericolo, creando divisioni e dispute che farebbero perdere di vista l’obiettivo comune. Inoltre, rivendicare l’intreccio tra liberazione umana e animale senza indicare soluzioni pratiche in questa direzione rischia di essere sterile e addirittura controproducente per la liberazione animale perché si corre il rischio di “diluirne” il messaggio dentro altri contenitori umanisti poco o nulla ricettivi alle sue istanze.
Ci sono molte cose su cui mi sembra che la ricostruzione di Leonora non sia adeguata. Anzitutto non mi piace affatto l’enfasi eccessiva posta sull’ “astratto delle teorie”, sulle “diatribe intellettuali”, sul parlare standosene “in poltrona” e sulla contrapposizione tra “elite culturale” e “massa” (in una società dell’informazione come la nostra questa distinzione con la siderale distanza che implica è diventata obsoleta: oggi chiunque ha gli strumenti per affrontare in modo serio la sfida del pensiero…certo, posto che abbia l’umiltà di volervo fare!). Ho già avuto modo di dire che se il movimento antispecista esiste (e, secondo me non esiste, ne esiste tutt’al più un simulacro) esso esiste grazie a teorie (l’utilitarismo singeriano, il giusnaturalismo reganiano) che hanno posto l’attenzione su ciò che prima non veniva considerato rilevante (la sofferenza animale) dando ad esso dignità intellettuale e soprattutto facendo chiarezza su alcuni concetti. Non si capisce perché l’elaborazione teorica debba servire solo a far nascere un movimento e non anche a farlo crescere. Non si capisce perché l’elaborazione teorica che risolve alcuni problemi e ne lascia aperti altri deve improvvisamente cessare quando mette in discussione il sentire generalizzato del movimento stesso (che è ciò che sta accadendo con l’antispecismo politico). Soprattutto se l’incapacità di capire il mondo e di cambiarlo deriva non da un eccesso, bensì da un deficit di teoria! Il problema vero, lo accenna anche Leonora nel suo intervento, è che in nome delle vecchie teorie antispeciste c’è qualcuno che fa dell’astratta coerenza un principio guida del pensiero e dell’azione bloccando così una possibilità di crescita quantitativa e qualitativa del movimento stesso. Se, ad es., a Green Hill si fossero seguiti i dogmi della “purezza” vegan degli attivisti nelle mobilitazioni animaliste non si sarebbe ottenuto lo stesso risultato. Ora, l’antispecismo politico non fa altro che richiedere una coerente elaborazione teorica che superi le contraddizioni dell’animalismo vecchio stampo, le sue piatte dicotomie, il suo riduttivo concetto di attivismo. Che c’è di male in questo? Perché dovrebbe fermarsi la riflessione laddove comincia ad intravedere un diverso approccio al problema dell’oppressione animale (umana e non)? La risposta di Leonora mi sembra essere che in questo particolare e delicato momento di crescita del movimento si rischia la stasi dell’azione.

A ciò vorrei controbattere:

(a) dire che a Green HIll è successo qualcosa senza precedenti non significa affatto che sia in atto un processo di evoluzione e cambiamento nè nel movimento nè nell’opinione pubblica. Per citare di nuovo Caffo: stiamo bene attenti a non confondere i nostri desideri con la realtà.

(b) Se riflettere sul carattere sistemico dell’oppressione può risultare in una stasi dell’azione non è affatto detto che questo sia un male se – e sottolineo se – si lavora seriamente ad alternative credibili ed ad un generale rinnovamento della prassi di movimento.

Rispetto ad (a) non condivido l’ottimismo di Leonora. Ma anche se avesse ragione Leonora su questo punto da ciò non segue affatto che un’ulteriore elaborazione teorica sarebbe deleteria per il movimento di liberazione animale…Certo, ammesso che siamo d’accordo su cosa voglia dire “liberare gli animali” e ammesso che non si ritenga che sia possibile “liberare gli animali” in una società fondata sulla schiavitù, l’appropriazione e la violenza generalizzata.
E’ anzitutto ovvio che “liberare gli animali” non significa (solo) aprire le gabbie da soli o in massa. Perché è ingenuo credere che un movimento di massa che viola il principio della proprietà privata possa essere più che occasionalmente tollerato in un sistema fondato sulla sacralità della proprietà privata. Perché gli animali possano smettere di essere considerati proprietà non ci si può limitare a contestare il diritto di tizio o caio a possederli come proprietà, ma le leggi, la cultura e la prassi materiale di una società che sancisce il diritto di proprietà sugli esseri viventi. E anche questo non basta perché, come ha fatto notare Serena Contardi, l’uomo stesso ha cessato di essere “proprietà” da due secoli sulla carta e nella cultura. Peccato però che la schiavitù ancora esista come prassi materiale in gran parte del mondo (Occidente compreso). Da ciò deriva che è vero Leonora Pigliucci ciò che sostiene quando scrive:
La liberazione animale non può fare a meno della liberazione umana ma è vero anche il contrario, spezzare le catene è un atto libertario in senso assoluto.
Ma questo è vero se e solo se all’atto di liberazione si accompagna la consapevolezza dell’importanza sistemica di tale gesto e delle sue conseguenze politiche. Il che implica comprendere l’impossibilità stesso che la liberazione possa avvenire come un meccanico allargarsi a macchia d’olio degli atti di sabotaggio della proprietà privata ed implichi invece l’iscrizione di quegli atti dentro una strategia che mira non solo (e non tanto) dal basso ad “aprire le gabbie” ma anche e soprattutto dall’alto ad impedire che le gabbie vengano costruite.
All’obiezione che queste considerazioni bloccano l’attivismo nell’immediato non si può che rispondere che è l’attivismo stesso che deve farsi carico del compito di elaborare la strategia di lungo periodo, in modo analitico, organizzato, includente (cerare consenso all’esterno) e conflittuale (individuare gli obiettivi di medio e lungo periodo). Se tutto questo appare ancora “astratto” e teorico non si può certo incolpare chi descrive la situazione in cui ci troviamo. Occorre spendere tempo ed energie a lavorare alla prospettiva politica e finché si troveranno scuse per non farlo non si potrà puntare il dito verso nessun altro che se stessi. Quando si fa riferimento a Steve Best indicandolo come lo stratega dell’azione “concreta” mi sembra si sottovaluti il fatto che la sua prospettiva di “liberazione totale” non è meno astratta di quella qui difesa. Perché se la si prende per quello che significa essa implica la necessità di lottare contro il sistema come sistema integrato di sfruttamento dell’uomo e dell’animale. Se la si prende invece alla lettera la si travisa in una prospettiva meramente conflittuale e immediatistica. Ma io dubito fortemente che Best intenda la rivoluzione come uno scendere tutti in strada ad aprire gabbie e sfondare vetrine di banca. E se intende questo, beh, la sua “concretezza” è una forma concreta di follia.

Il cuore a corrente alternata dell’animalismo

Il problema del “soggetto della liberazione” va inteso non solo nel senso di chiedersi se gli animali lo siano direttamente o per nostra intercessione. Porre la questione in tali termini significa perpetuare quella scissione che cerchiamo di superare. Tra umano e non-umano non c’è alcuna rigida e statica opposizione, bensì un trapassare dialettico negli estremi. Ed è la forma stessa del “soggetto” che deve essere ripensata, perché “soggetto” significa ciò che si chiude in sé, ciò che esclude l’altro, ciò che pretende porsi autonomamente, ciò che è impermeabile ad ogni “esteriorità”. Il soggetto è allora sempre il soggetto cartesiano se non viene scardinato in questa sua costitutiva chiusura. L’antispecismo è una delle forme – forse la più radicale – di scardinamento di questo fortilizio filosofico. E dunque non può riprodurne la meccanica violenta, nemmeno per “umiltà”, per attribuirla ad un altro da “salvare”. Perché non si tratta di fare degli animali dei soggetti, bensì di smascherare il divide et impera su cui si regge tutta la macchina da guerra del potere politico: noi/loro, dentro/fuori, sopra/sotto. Non c’è nessun “altro” da salvare: ci sono piuttosto dei dispositivi economici, sociali, culturali, antropologici da disinnescare per aprire la possibiltà di un ordine diverso di convivenza. Ciò che deve essere “salvato” è ciò che invece può emergere ed esprimersi liberamente una volta che tali dispositivi vengono sovvertiti ed aperti: la Vita, che traspare enigmatica, affascinante e terribile, dietro le sbarre di ogni gabbia umana e animale, sociale ed individuale, interiore ed esteriore.
E’ per questo che la critica dell’antropocentrismo rischia di diventare violenta e poco radicale se non assume tutta l’ambivalenza dell’Uomo che critica (e che invece è una maschera ad uso e consumo del Potere). Non è affatto radicale, come appare a prima vista, sostenere:
in ogni schiavo umano vive un uomo libero, ed anche un oppressore, potenziali
Che questo sia falso teoreticamente e suicida praticamente non vorrei davvero più argomentarlo ma, per una volta almeno, dimostrarlo ricorrendo al trucco che gli animalisti di solito usano per “smuovere” il cuore del pubblico. Sicuramente non mi si potrà accusare di scorrettezza se faccio questo e chi lo facesse userebbe due pesi e due misure, cioè sarebbe uno specista al contrario. Ebbene, guardate l’orrore con i vostri occhi: esso dice “più di mille parole”.

Chi lotta contro l’antispecismo politico vuole convincerci che un’umanità che trucida i propri figli può intenerirsi per il destino degli animali. Vuole convincerci che un sistema che obbedisce ad una logica folle e autodistruttiva può essere “convinto” a cambiare con solide argomentazioni razionali. Questo mondo sottosopra è quello che voi pensate possa restare immutato mentre la liberazione degli animali può procedere da sola e magari arrivare addirittura alla vittoria. In altri termini voi siete convinti che queste immagini di bambini straziati continueranno ad ossessionarci mentre cesseranno quelle dei macelli e dei laboratori.
Gli animali umani macellati, sfruttati, dimenticati con disprezzo e indifferenza in queste immagini sono i vostri “oppressori potenziali”. Chi non rabbrividisce di fronte a questo, io credo, dovrebbe prenotarsi un volo per il Paese di Oz e farsi impiantare, a scelta, un cervello o un cuore.

Comments
33 Responses to “Animalisti, ancora uno sforzo se volete essere antispecisti!”
  1. Gianfranco Bux ha detto:

    Condivido a pieno. Ho sempre sostenuto che un vero antispecista non può odiare la propria di specie.

  2. L. C. ha detto:

    Ma guarda Marco che io concordo. Ti dirò di più, ciò che dici è quasi “banale” (in senso buono) per me.
    Non capisco però cosa c’entra. Io sostengo che ANCHE se l’antispecismo vuole, e dovrebbe, volere la liberazione totale non è detto che questa ne sarà causa e che, per esempio, potrebbero esistere stati di cose in cui la liberazione umana condanna gli animali o viceversa (sono concepibili, amen).

    tutto il resto è contorno, direi quasi ovvietà.

    Certo che io voglio la liberazione totale e concordo con le tue cose. Ma è ovvio. Il mio è punto dannatamente logico e filosofico, il tuo è un punto di desiderio e speranza politica.

    cmq sono contento che si stia sviluppando sempre più il dibattito. Basta che non mi trovi gente che mi dice che io parlo di liberazione animale in modo sconnesso a quella umana perché me ne frego degli umani (non tu) perché significa, a mio avviso, non capire l’italiano (oppure sono io che lo parlo male, più probabilmente)-

    • MM ha detto:

      no Leo, mi spiace, non pensiamo affatto la stessa cosa perché quello che tu pensi sia un mio “desiderio” è una semplice e necessaria conseguenza di come è fatta la società umana. Dire che si possono liberare gli animali senza liberare gli umani è privo di senso. E da un “realista” non me lo aspetto. Sì, è una possibilità “logica” come dire che domani mi potrebbero spuntare le ali o potrei improvvisamente parlare islandese senza averlo studiato. Non c’è contraddizione logica ma è fattualmente impossibile.

      • L. C. ha detto:

        non credo proprio. E questo deriva da una confusione. Sapere come è nata una cosa (lo sfruttamento ad esempio), non ci dice nulla su come questa cosa debba finire (la liberazione).

        Io posso mettere in manette te e un animale nello stesso secondo, ma poi qualcuno potrebbe liberare solo te in futuro per infiniti motivi. Ali ecc. non sono possibilità logiche, quella che ti dico io invece si: tu non hai certezze su come potrà avvenire la liberazione in futuro, non sai se potrà esistere una società non capitalista in cui noi stiamo bene e gli animali no, o una società capitalista in cui si liberano gli animali ma si continuano a sfruttare gli uomini (magari si mangiano quelli).

        Te lo ripeto, tu fai della filosofia della storia una pratica predittiva. Ma, almeno a mio avviso, sbagli.

      • MM ha detto:

        No Leo non c’entra niente la filosofia della storia, nè la certezza del futuro (ho ribadito 1000 volte che non ne ho mai parlato, la storia è un processo aperto ecc.), nè il rapporto tra genesi ed essenza. C’entra il mero buon senso come ho scritto qui sopra. Tu immagini che gli umani si ammazzeranno a vicenda e salveranno gli animali. Aspetto il tuo libro per capire come sarà possibile.

      • L. C. ha detto:

        ne parliamo oggi. Cmq il mio libro, ammesso che uscirà nella forma in cui l’ho concepito, non avrà nulla di esaustivo nella tua direzione.

        ti aspetto per una birra.

  3. rita ha detto:

    Marco, che bell’articolo, ma, facendo il verso a quanto sopra scritto da Leo, come si può non concordare con te? Certo che concordiamo con quanto dici, nessuno crede di dover pensare solo agli animali dimenticando le immagini strazianti dei bambini, donne, uomini che altrettanto stanno soffrendo (ossia degli altri animali).
    Che liberazione animale ed umana sia la stessa cosa perché si tratta innanzitutto di scardinare le medesime radici che la consentono, è chiarissimo a noi.
    Permettimi solo di dissentire su un punto: tu affermi che oggi non ha senso parlare di elite culturale e di massa perché con i mezzi di informazione che abbiamo a disposizione chiunque può avvalersi della conoscenza; ahimé, non è vero e questo ho cercato di dirlo proprio in quell’articolo in cui parlavo del presidio contro il circo. Là fuori esiste una massa (intesa non in senso dispregiativo, ma come fattore numerico rilevante) che prova esattamente il contrario di quello che temi tu, ossia non già empatia verso gli animali ed al contempo misantropia, bensì amore per la propria specie ed indifferenza verso tutte le altre.
    Tu credi che a tutti sia evidente che la specie umana sia specie animale tra le altre? Marco, qui ti dico, confrontati con l’uomo di strada o persino con l’intellettuale viziato però di specismo. Dunque non c’è rischio che dire “soltanto per loro” possa concorrere a divulgare un atteggiamento misantropo e a far dimenticare le immagini strazianti degli animali umani, è vero invece che attualmente, realisticamente, oggettivamente, di fatto, nella nostra società conta solo l’uomo (pure se mai abbastanza e sempre in maniera soggiacente alle logiche del dominio) e gli animali sono considerati al pari di merce.
    Ma di quale misantropia stiamo parlando? Sì, gruppetti sparuti di attivisti che inneggiano contro il genere umano ci sono, ma non dimentichiamo che sul banco dei supermercati ci sono i cadaveri degli animali e che la gente li compra in maniera indifferente ed anzi convinta che sia normale, giusto ecc..
    Quello che banalmente sto cercando di dire è che se tutti sono concordi nel non voler mai più vedere le immagini di cui sopra, pochissimi sono quelli che sanno riconoscere il medesimo orrore in un bue squartato. E questo è un dato di fatto.
    Il rischio non è quello della deriva verso una misantropia diffusa quindi, ma di una permamenenza di indifferenza verso il dolore dei non umani.
    E, in ogni caso, se nove persone su dieci sarebbero disposte a lottare per far sì che le immagini di cui sopra non debbano mai più apparire, quanti, in tutta onestà, farebbero lo stesso per impedire che sul bancone del supermercato vi siano pezzi di cadaveri esposti? Quindi non mi preoccuperei della misantropia, ma del contrario, della teriofobia quindi.
    Per concludere, io sono d’accordo nel lavorare soprattutto e seriamente sullo smantellare alla base i dispositivi del dominio, oppressione, produzione ecc., ma non temerei, volendo significare il dolore massimo di chi sta nelle cantine, una deriva verso la misantropia.

    • MM ha detto:

      capisco che l’ultima parte del mio intervento sia quella che più colpisce, ma vi chiedo di concentrarvi sulla prima e su quello che significa “lottare solo per loro”. Se si pensa davvero che la liberazione animale arriverà in un mondo che, per il resto, rimane perfettamente uguale, direi che siamo nel mondo delle ipotesi fantasiose. Se invece l’obiettivo è liberare VERAMENTE gli animali e dunque immaginare un mondo diverso bisogna prendere il coraggio a due mani e buttarsi in questo compito senza ulteriori indugi.

      Per quanto riguarda la dicotomia intellettuali/uomini della strada voglio precisare: c’è un’abbondanza di strumenti cognitivi a disposizione che rendono quella distinzione non più pregnante. poi un altro discorso è se li si usano o meno. Ma come dice Adorno oggi l’ignoranza e la stupidità non sono la conseguenza del privilegio, di un mancato accesso al sapere, bensì vengono riprodotti attivamente dall’industria culturale. Motivo in più per ritenere che una lotta di liberazione degna di questo nome deve porsi obiettivi che in prima istanza non sembrano avere nulla a che vedere con l’apertura di gabbie per animali. Ad es. creare una società in cui il pensiero sia effettivamente libero e la discussione possa avvenire non filtrata dagli interessi delle multinazionali. Sarà una banalità ma non mi pare che da questa premessa vengano tratte le dovute conseguenze pratiche…

      • rita ha detto:

        “Ma come dice Adorno oggi l’ignoranza e la stupidità non sono la conseguenza del privilegio, di un mancato accesso al sapere, bensì vengono riprodotti attivamente dall’industria culturale. Motivo in più per ritenere che una lotta di liberazione degna di questo nome deve porsi obiettivi che in prima istanza non sembrano avere nulla a che vedere con l’apertura di gabbie per animali. Ad es. creare una società in cui il pensiero sia effettivamente libero e la discussione possa avvenire non filtrata dagli interessi delle multinazionali”.

        Son d’accordo, ma proprio di questo io parlo, ad esempio, quando incito alla divulgazione di una contro-informazione non plasmata su quella cultura che fa gli interessi del Potere. Per quello ritengo che anche il singolo presidio informativo possa servire, pure se di fatto sembra lasciare inalterate le strutture del dominio e pure se, come mi hai detto, tu pensi che possa distogliere le energie dal vero primario compito, che rimane quello da te enunciato. Ora, premessa l’urgenza di definire e lavorare su questo compito immenso, ci sono tanti rivoletti minori che possono proseguire in parallelo, senza timore di disperdere energie o di allontanarsi dal vero nocciolo della questione. O almeno questo è chiaro a me, non so però, come scrivevo in quelle riflessioni del post precedente, se lo sia anche per gli altri perché mi è sembrato che appunto nell’attivismo, almeno di Roma e dintorni, ci sia tanta impreparazione teorica. E questo è un problema, sì.
        E, nel frattempo, come porre all’attenzione di tutti coloro che lottano per la liberazione animale, l’urgenza di questo compito?

  4. devetag ha detto:

    Bravo. E pensare che c’è chi ha perfino il coraggio di dire che lo sterminio per fame nel mondo non dovrebbe venire usato in quanto argomento indiretto, per la serie: il destino di quei bambini scheletrici non è affar nostro, perché noi siamo qui “per gli animali” (Leo, ovviamente non mi riferisco a te, sia chiaro. Tu una mostruosità simile non la penseresti mai)

    • rita ha detto:

      Io infatti spesso alle persone che mi accusano di pensare agli animali e non ai bambini che muoiono di fame, per dirne una, rispondo che certamente continuare a consumare terreni per coltivare cereali destinati all’alimentazione dei bovini (o di altri animali) – cereali che invece potrebbero essere destinati direttamente a sfamare un bel po’ di persone – è una delle cause della fame nel mondo. Questo non è un argomento indiretto, questo è un argomento anzi cogentissimo. Peraltro uno dei punti cardine sostenuto in Ecocidio di Rifkin.
      Di ben altra natura sono invece quegli altri argomenti (questi sì davvero pretestuosi ed indiretti che con la liberazione animale c’entrano poco o nulla) che mirerebbero alla divulgazione del vegetarismo e veganismo per motivi di salute del singolo, di benessere ecc..; che poi diventare vegani faccia bene alla salute è indubbio, ma rimane una scelta egoistica, prettamente collaterale al nocciolo della questione.

  5. devetag ha detto:

    Aggiungo una nota a margine di quanto detto da Rita a proposito dell’uomo della strada che si commuove per le foto dei bambini africani però compra le bistecche: parlavo tempo fa con un fotografo professionista il quale mi diceva che nessun magazine compra più reportage fotografici sulla fame nel mondo perché le foto dei bambini scheletrici, con la pancia gonfia e le mosche in faccia, non suscitano più alcuna emozione ma solamente indifferenza. In sintesi, quelle foto non hanno mercato perché ormai si è generata una totale assuefazione e non fanno più alcuna impressione. Gli animalisti fan dello “sbatti il maiale squartato in prima pagina” sono avvisati.

    • rita ha detto:

      Sì, infatti su questo dobbiamo cominciare a pensare. Secondo me però funzionano invece quei video in cui gli animali sono ancora vivi e vegeti e si vede la sofferenza delle loro condizioni. Un vitello che piange e cerca la mamma, non può non smuovere un sentimento, a meno che non si sia sociopatici.

      Un aneddoto: ieri sera al supermarket di zona è passato un addetto al bancone pesce trasportando su un carrello un pesce spada enorme, diviso in due parti, sanguinante. Accanto a me due bambini e la loro mamma. I bimbi si sono scansati dando prova di essere turbati, la mamma li ha tranquillizzati dicendo loro: “dove portano quel pesce? A prepararlo, così ce lo mangiamo, uhh.. che buono, ce lo mangiamo questa sera?” A quel punto i bambini hanno riso.
      Ecco come si induce nei bambini quel meccanismo che rimuove la sofferenza degli animali e porta a vederli come cibo.
      Significativo, no? Non vogliamo riflettere su questo anche? Priorità al compito che indica Marco, mi sta bene, ma lavorare anche in altre direzioni, ad esempio per indurre consapevolezza critica nelle persone (senza aggredire, con i metodi giusti) secondo me è importante. Per voi no?
      Rispondetemi, ve ne prego, è importante per me capire.

    • devetag ha detto:

      E aggiungo un’altra cosa: non è affatto vero, anzi è lampante il contrario, che gli umani vengano resi indifferenti SOLO alla sofferenza animale.

  6. pasquale cacchio ha detto:

    “Per voi no?
    Rispondetemi, ve ne prego, è importante per me capire.”

    “indurre consapevolezza critica nelle persone” è terribilmente difficile.
    Anche per me. Penso anche per tutti.
    Ma col vostro esempio, già rifiutando per esempio il cibo e i prodotti animali,
    per non parlare delle altre forme di attivismo,
    scavate come la goccia la pietra.
    E ce ne vuole di tempo.

    • rita ha detto:

      Ecco, grazie Pasquale, mi dà sollievo sapere che non sono la sola a pensare di essere, anche tramite le mie scelte e comportamenti individuali, come la goccia che scava la pietra.
      Perché qua mi sento sempre dire (non sto assolutamente parlando di Marco, eh, sia chiaro) che non serve a nulla, che è tutto inutile, che siamo dei sognatori idealisti ecc. ecc..
      Ad esempio, altro aneddoto (oh, che ci volete fare, io mi baso sulla realtà che vivo ogni singolo giorno), la scorsa settimana, sempre in un negozio, ma questa volta d abbigliamento, mi sono rifiutata di provare una gonna di lana ed ho spiegato le mie ragioni alla commessa stupita del fatto. Era una ragazza giovane, beh, non ci crederai, ma è rimasta colpita perché non immaginava che nella produzione di lana ci fosse sofferenza, né tanto meno in quella del latte su cui poi è andato a proseguire il discorso. Ho perso tempo? Eppure ho visto che una luce di curiosità si accesa nei suoi occhi. Bene o male avrò contribuito a rendere una persona più consapevole e se forse non sarà servito agli animali nell’immediato, sarà servito ad aprire una mente. Almeno spero.
      E ci vorrà tempo, lo so bene. Moriremo ed esisteranno ancora i macelli, ma speriamo di lasciare qualche seme che sappia dare i suoi frutti alle altre generazioni che verranno. Nel contempo, anche salvare una singola vita per me resta dannatamente importante. Così come per voi, lo so bene.

      • devetag ha detto:

        Rita, sono d’accordissimo con te su questo.

      • pasquale cacchio ha detto:

        Forse in città non si notano i cambiamenti ‘immediati’.
        Ma, vivendo tra qualche migliaio di anime, mi accorgo di quanti effetti
        (piccoli, per carità, ma non insignificanti) producono i miei comportamenti strambi,
        dal salvare, in chiesa, in aula, al bar, un insetto a zampe per aria
        al rifiuto della carne in mensa con gli alunni.
        I primi tempi gli alunni erano sbigottiti, non immaginavano neanche
        che esistesse chi non mangia carne.

        Ma è necessario anche un pensiero forte, come quello dell’antispespecismo,
        il più nuovo dei pensieri in migliaia di anni di antropocentrismo.
        Purtroppo è ancora nell’uovo, abbiamo appena iniziato a, ehm, covarlo.
        E promette bene: si fa a gara (e vedo, ehm, si litiga pure) a chi lo cova meglio.
        🙂

  7. babbadu2012 ha detto:

    credo che il pregio di questo articolo non sia solo e tanto filosofico ma pragmatico. perchè un progetto di liberazione animale deve partire da questi presupposti e seguire una linea che qui mi sembra ben argomentata. spero di non essere sola tra tanti “animalisti” ma una dei tanti antispecisti, chiamiamoli di nuova generazione, che tenteranno di toccare quella luna col dito.

  8. alessandra cusinato ha detto:

    Io, che faccio parte della massa e che colta non sono, non concordo con Leonora Pigliucci riguardo alla contrapposizione tra “elite culturale” e “massa”. La responsabilità di capire, approfondire, porsi domande, pensare, prima di “affermare” non è prerogativa di nessuna elite, è semplicemente un passaggio doveroso, altrimenti saremo sempre e solo degli sprovveduti e anche un po’ arroganti. E non ditemi che è questione di tempo o formazione scolastica perché non sarebbe onesto.

    In questi giorni c’è un gran fermento, i temi in ballo sono tanti e tendono a sovrapporsi, con il rischio di annullarsi. Ho l’impressione che si tenda a fare di tutta un’erba un fascio. Perché? Forse per mancanza di informazioni? O forse perché le questioni pratiche ed oggettive ci hanno messo nelle condizioni, finalmente, di doverci porre delle domande?

    Ora vorrei mettere nel piatto alcune osservazioni, forse banali, senza la pretesa di dire alcuna verità, solo con lo scopo di cercare un confronto.

    – Da una parte c’è la questione Correzzana. Si è arrivati al punto in cui tutti parlano dei massimi sistemi senza parlare di chi e cosa ha scatenato il putiferio. Perché non si è informati? Perché pur essendo informati si ha paura di ritorsioni? Perché si è informati e si vuol difendere le posizioni di chi si voleva allontanare dal corteo? Perché, si ho sentito qualcosa, ma sono altre le questioni importanti da dibattere e non mi interessa capire altro? Perché sono ben informato e ciò nonostante le questioni importanti di cui parlare sono altre?
    Per quel che mi riguarda se si parla di Correzzana sarebbe opportuno sapere di quel che si parla, dopodiché ciascuno faccia le sue considerazioni.
    Mi chiedo e vi chiedo: perché nessuno nomina mai i 100% animalisti, il partito animalista europeo, il sodalizio con i verdi … … …???

    – In questo momento mi pongo molte domande, osservo, e quel che vedo non mi piace.
    Sembra che uno dei motivi per cui si teme che a sollevare polveroni, come quello che è in corso ora, si rischi di arrecare danno (a chi?), sia legato all’idea, che a quanto pare si son fatti in molti, che il movimento animalista stia vivendo un momento di gloria, una positiva crescita che non deve essere arrestata.
    Si, è vero, c’è un grande fermento, vedo un gran numero di persone “lanciatissime”. Mi chiedo però: lanciatissime verso dove?. Vi prego chiediamocelo tutti con onestà. Ora so perfettamente di correre il rischio che qualcuno pensi che sono una malalingua – confido sempre si possano superare le questioni di orgoglio personale, perché non è interessante, per me non lo è, fermarsi al giudizio, tanto meno nei confronti di nessun singolo individuo – non vorrei però che l’animalismo diventasse un luogo per soddisfare i propri bisogni di appartenenza, curare dolori e frustrazioni, sfogare rabbie, trovare ruoli e via dicendo. E nel caso si ritenesse che comunque “va bene così” per la causa (?), la domanda “lanciati verso dove?” rimane aperta.

    Siamo ancora sicuri che la spaccatura sia tra una “elite culturale” e “la base attiva e in crescita del movimento”? Lo chiedo perché mi sembra che su questa domanda si stia sorvolando, almeno pubblicamente, trasversalmente.

    – “Soltanto per loro” – in questi giorni a Leonardo fischieranno in continuazione le orecchie :O), ma non è di lui che voglio parlare pur citando il titolo del suo libro – a forza di rileggere in diversi interverti queste parole, inevitabilmente mi sono ritrovata a chiedermi chi sono “loro” per me. Una risposta me la sono data, a me stessa, e credo con sincerità. “Loro”, per me, sono chi non è in grado di difendersi da solo, i senza-voce, e non perché una voce non l’abbiano, ma la cui voce non viene sentita. Tutti gli animali vittime di un sistema basato sulla prevaricazione quindi.
    Si teme che sia un atto poco generoso infilarci, ancora una volta, noi umani, nelle battaglie per i diritti degli animali non umani. Roba da specisti.
    Da specisti per me però è (forse sarò ignorante e non ho capito nulla) raggruppare in una massa informe tutti gli animali (non umani) tenendoli ben distinti dagli umani (anche noi animali) – Noi e loro, ma solo per generosità però …mmmhhh non mi quadra – Se veramente non vogliamo che ci siano distinzioni tra specie, che così sia. A dire il vero a me sembra un passaggio tanto semplice quanto naturare (o forse fa parte di un mio sentire cieco, frutto di condizionamenti di cui non mi rendo conto, se così è fatemi il favore di aiutarmi a capire).

    – Concludo una domanda, spiccia, forse per alcuni banale, formulandola come un orribile questionario che potremmo trovare in molti settimanali; la faccio senza argomentarla tanto per lasciare spazio ad ogni possibile risposta, ma anche perché ho le idee molto confuse in merito e spero che qualcuno possa aiutarmi a capirci qualcosa di più:
    Servono a qualcosa i presidi, le manifestazioni, i tavoli informativi, le conferenze… ? (li metto tutti assieme anche se le risposte credo vadano date situazione per situazione).
    a. No, non servono. Quindi? cosa possiamo fare?
    b. Potrebbero contribuire, chiarendo cosa si vuol ottenere e quale messaggio dare.
    c. Se vale il punto c, ora come ora, a quali eventi scelgo di partecipare? (valutando le effettive forze in campo e realtà esistenti oggi).
    d. Si, in ogni caso.
    e. Altro?

    Scusa Marco se ho inserito questi grossolani appunti sparsi come commento al tuo intervento. La scelta dipende dal fatto che credo, per le cose che hai scritto, che questo sia un luogo interessante.

    • alessandra cusinato ha detto:

      hops correggo: “c. Se vale il punto b, ora come ora, a quali eventi scelgo di partecipare? (valutando le effettive forze in campo e realtà esistenti oggi)”

      • stopthatrain ha detto:

        ciao Alessandra, ti spiego meglio cosa volevo dire, visto che evidentemente non era chiaro. Non intendevo sottolineare una spaccatura tra una massa indefinita (sulla quale invece ho idee precise, che ora ti dico) e poche persone che responsabilmente si prendono la briga di capire le ragioni politiche e gli obiettivi entro cui inquadrare l’azione. Intendo che coloro che costituiscono il cuore pulsante delle recenti manifestazioni animaliste in larghissima parte non hanno consapevolezza antispecista in senso politico, ma ne hanno casomai nel senso letterale: si ribellano alla discriminazione di specie su cui nella nostra società si fonda tutto. Tra loro ci sono ecologisti radicali, animalisti, anarchici e un sacco di gente che “sente” che così non va, ma non ha ancora riflettuto su cosa comporta il cambiamento a cui contribuisce (mi pare una situazione fisiologica di tutte le proteste… chi manifesta contro Monti ha in tasca la ricetta anti-crisi?) e che partecipa per ragioni più sentimentali che politiche! Ora, quelle che intendevo era dire erano due cose: innanzitutto che quella che tu hai chiamato massa, come se io la disprezzassi, è invece per me qualcosa di estremamente creativo, che ha in sé istanze molteplici (e io ci vedo, perché ne conosco tante di persone che ne fanno parte, una grande generosità) e da cui potrà nascere, forse, presto o tardi, qualcosa che adesso è imprevedibile e sicuramente è radicale. La mia critica poi non era rivolta né alla massa né all’elite quanto alla pretesa da parte di quest’ ultima di aspettarsi di vedere una realtà che si plasma magicamente e spontaneamente su teorie che invece, per ora almeno, esistono ancora solo in astratto; e che in base a quelle giudica, con una certa indignazione altezzosa, ciò che succede in piazza. E non penso di questa cosidetta elite nemmeno quello che mi hai attribuito tu, Marco: non mi interessa che ci stiano i filosofi sopra le barricate (come ho scritto mi riferivo più a elite “di piazza”) e non penso che tutto sia nato da un’elaborazione teorica (Singer e Regan hanno ispirato la nascita del movimento o non sarà la realtà di un cambiamento che iniziava ad aver ispirato loro?) che oggi andrebbe da ingrati abbandonata in virtù del caos, ma piuttosto ho idea che la teoria avrà ragione di entrare in ballo nelle fasi successive di un cambiamento che inizia adesso a rendersi concreto…(ma ti risponderò con dovizia :D)

    • MM ha detto:

      Non devi scusarti di niente, anzi! Ti ringrazio per questo ricchissimo e lucidissimo contributo.
      ps. posso non rispondere al quiz? 🙂

      • alessandra cusinato ha detto:

        mmmhhh puoi se mi porti la giustificazione :O) …tanto quando ti becco torno all’attacco 🙂

  9. L. C. ha detto:

    tranquilli. Il prossimo libro lo chiamo “Soltanto per l’oro”, così piace a tutti.

    • alessandra cusinato ha detto:

      ahahahah se lo chiamerai così dovremmo attrezzarci per prenotare una sala più capiente quando verrai a presentarlo da noi

  10. anna mannucci ha detto:

    Specismo e non specismo
    “In loving memory of Paul K. Feyerabend”

    Io sono specista: preferisco i gatti
    ma i gatti li castro. E in questo non sono specista.

  11. devetag ha detto:

    Marco, volendo sintetizzare al massimo la tua visione di antispecismo politico e i tuoi suggerimenti agli attivisti, si potrebbe dire che per arrivare a una vera liberazione animale come la intendi tu, il movimento antispecista dovrebbe, perlomeno in questa fase, “dimenticarsi” temporaneamente degli animali e lavorare sul sistema in generale (mettendone in discussioni i modi di produzione, la manipolazione dell’informazione, le sperequazioni, ecc.) affinché si creino le precondizioni per un’effettiva liberazione degli animali (nonché degli umani) in un secondo momento? A me sembra di cogliere questo nelle tue parole. Mi sembra tu stia dicendo che abbiamo troppa fretta di liberare subito gli animali (il che è comprensibile, visto che la loro condizione attuale ci genera un’angoscia costante) e questa fretta ci impedisce di “prenderla alla larga” con una strategia di più ampio respiro che però secondo te nel lungo periodo risulterebbe più efficace. E’ così oppure ho equivocato?

    • MM ha detto:

      Hai fatto bene a mettere “dimenticarsi” tra virgolette perché io non penso bisogna dimenticarsi degli animali, anzi. Il problema è fare ciò che concretamente e realmente in un futuro più o meno lontano li liberi TUTTI. E per far questo, sì, è necessario lavorare per creare quelle condizioni di cui parli tu e quindi occorre che una parte del movimento si attivi in questo senso.

      Questo mi permette anche di aggiungere una cosa che ho accennato in un altro commento tempo fa. Quando si dice che aprire una gabbia serve perché salva quella vita particolare si dice una cosa vera anche se sappiamo che non serve a livello sistemico perché quegli animali verranno rimpiazzati o cmq gli altri rimangono in gabbia e non si libereranno aprendo gabbie all’infinito ma facendo in modo che non vengano più chiuse. A ciò spesso ho sentito rispondere: “chiedilo all’animale liberato se serve”. Al che mi viene da pensare che questo è un pensiero specista perché se io stessi in gabbia ovviamente vorrei essere liberato immediatamente ma se mi dicessero “guarda che stiamo lavorando per liberare tutti voi e forse non faremo in tempo a salvare te”, beh, per egoismo forse protesterei ma saprei che la cosa giusta da fare è liberare TUTTI non solo me. O vogliamo dire che gli altri animali sono tutti egoisti e di fronte al bene delle loro sorelle e fratelli sceglierebbero sempre e comunque la propria salvezza individuale al posto di quella collettiva?

  12. devetag ha detto:

    Ok, ho capito. Allora, però, se dobbiamo allargare la prospettiva non vedo come non si possa non prendere in considerazione anche la crisi ecologica in atto con tutte le sue conseguenze nefaste, dalla desertificazione e conseguente sterminio per fame all’esaurimento di risorse naturali, a una medicina asservita a interessi economici e che ormai non sembra essere in grado di curare più nulla, a un ambiente che ci fa ammalare come mosche di patologie determinate da uno stile di vita folle e insostenibile, ecc.ecc.; in altre parole, nonostante i mal di pancia che comprensibilmente vengono a tanti antispecisti (me compresa) appena sentono parlare di ecologia, bisogna far capire che abbiamo creato un sistema che ci sta ormai stritolando tutti, umani, animali, vegetali. E noi ancora non ne vediamo gli effetti più nefasti perché viviamo in una parte di mondo relativamente fortunata

  13. ARI ha detto:

    faccio un commento che si riferisce a post precedenti: Marco, sto dalla tua parte in pieno. Soprattutto perchè, un po’ polemicamente, vi dico che tutte le elucubrazioni sul presunto “uomo della strada” mi sembra che lascino il tempo che trovano. La società occidentale è fondata su alcuni valori e determinati diritti, garantiti per gli umani, ma dubito fortemente che, se si dovesse votare ancora, la maggioranza difenderebbe tutti questi diritti in maniera assoluta. è facile poi scandalizzarsi per bambini che muoiono di fame lontani da noi e dell’altra parte del mondo, ma basta vedere quanti tantissimi siano attaccati a privilegi e ingiustizie garantiti dal sistema per capire che una liberazione è un’utopia di abolizione dello sfruttamento a tutto tondo, completa. La liberazione non può che essere una LIBERAZIONE ANIMALE (intendendo una liberazione di tutte le specie animali, quindi anche compresa quella umana). Non può esistere una società “giusta” umana, perchè proprio perchè escludente l’animalitá dell’uomo, si fonderebbe su logiche discriminatorie che lasciano fuori determinati esseri, o perché mancano di capacitá cognitive, o perchè non “riconosciuti” come degni…Insomma Singer ci mette proprio di fronte ai paradossi di un presunto antispecismo specistico. Non é un caso, infatti, che seguaci di Singer ora si adoperino per determinare i criteri di accesso alla “comunità morale”, in un gioco che perpetua all’infinito la logica specista. Solo una LIBERAZIONE ANIMALE può spezzare questa logica.

  14. Pablo Bruni ha detto:

    A mio parere questa è una discussione molto interessante e che mi porta a riflettere sul mio personale approccio alle tematiche antispeciste e della liberazione animale. Non è da molto che mi sono avvicinato a questi argomenti e devo dire che dal mio punto di vista la liberazione animale si è connotata come l’anello di congiunzione che finalmente univa tutte le altre istanze politiche alle quali facevo, più o meno da sempre, riferimento, dandone nuovo respiro e completezza. L’antirazzismo, le istanze ecologiste, l’anticapitalismo sono da tempo parte del mio DNA; in questo senso l’attenzione che ho posto ultimamente alle istanze antispeciste mi ha fatto comprendere come la lotta per la liberazione animale contempli, per forza di cose, in se stessa la lotta di liberazione degli uomini-animali-umani e quindi un cambiamento radicale del sistema politico ed economico nel quale viviamo. Non è certamente concepibile una risoluzione positiva della lotta di liberazione degli animali-non-umani senza una chiara coscienza politica di alternativa radicale di sistema. D’altra parte, le stesse questioni legate alla sperimentazione animale (abolizione della) e agli allevamenti intensivi (abolizioni degli) come possono essere concepite se non come un cambiamento radicale di sistema? Certamente una riflessione teorica è importante e va fatta su questo. Essere antispecisti dovrebbe significare secondo me impegnarsi in tutte quelle cause che implichino sofferenza, sfruttamento, dominio di una classe sociale, di un genere, di un gruppo etnico, di una specie sulla/e altra/e. L’azione contro lo sfruttamento degli animali-non-umani dovrebbe configurarsi, quindi, come una parte, non certo trascurabile, dell’azione antispecista, da inserire all’interna di una visione alternativa di società e di sistema. L’antispecismo, in questo senso, potrebbe diventare veramente IL movimento di liberazione, quell’anello di congiunzione che colleghi finalmente i diritti degli animali-umani a quelli degli animali-non-umani. Non “solo per loro” quindi, ma “per noi e per loro”, perché noi (animali umani) siamo parte del tutto. Come concretizzare tutto questo in azioni reali? Su questo credo che il dibattito sia aperto. La contrapposizione tra azione diretta dal basso e azione dall’alto (credo intesa qui come cambiamento radicale di sistema) mi riporta alla memoria i vecchi fantasmi della contrapposizione novecentesca tra anarchici e socialisti, i primi fautori dell’atto rivoluzionario portato avanti dal “folle”, dal “romantico” pervaso dall’ideale, gli altri indirizzati verso la lotta di classe organizzata. Credo che la storia ci abbia insegnato che di entrambi abbiamo bisogno, perché il “folle” può essere guida, esempio da seguire, motivo di infatuazione ed orgoglio, ma solo se inserito in un contesto politico dagli obiettivi chiari e definiti.

    • MM ha detto:

      ciao!
      grazie per il bel commento. La questione che poni sul rapporto cambiamento “dall’alto/dal basso”, l’abbiamo variamente affrontata su questo blog, ad es. nei commenti a questo articolo e a quest’altro.
      Se ti va di proseguirla… 🙂