Steve Best in Italia: dalla Filosofia all’Azione
di Rita Ciatti
Dalla Filosofia all’Azione, questo il filo conduttore che lega le tre conferenze di Steve Best – ognuna dedicata a un tema specifico – organizzate dall’associazione Per Animalia Veritas; a tal proposito vorremmo esprimere i nostri ringraziamenti alla Presidentessa Barbara Balsamo e a tutti coloro che si sono dati da fare per rendere questi tre incontri quanto mai vivaci e all’insegna di un clima accogliente e caloroso. Così come ovviamente ringraziamo Steve Best per la sua immensa disponibilità ed informalità.
Professore di Filosofia presso l’Università di El Paso, attivista per una liberazione globale e radicale di tutti gli animali umani e non umani, ecologista, rigorosamente antispecista, egli promuove una rivoluzione sociale che scardini il sistema di dominio e di oppressione capitalistico; vicino alle posizioni dei movimenti per la liberazione animale, quali gli ALF e Sea Shepherd per citarne due tra i più noti, contesta e critica l’abolizionismo contemporaneo, ben rappresentato dalle posizioni del filosofo Gary Francione, cui oppone un attivismo – contestualizzato e diversificato – che non solo non scenda a compromessi con l’attuale sistema di dominio e oppressione, ma che anzi non si sottragga all’uso della forza, intesa soprattutto come disobbedienza nonviolenta (nella terza conferenza chiarisce che cosa si debba intendere per “violenza”) qualora ogni altro mezzo (educazione, dialogo ecc.) abbia fallito. Di tempo per salvare il Pianeta dalla catastrofe finale ne è rimasto davvero poco, egli dice: non è più il momento dunque di indulgere a compromessi o di restare incollati alla poltrona davanti al monitor di un computer: è giunta nuovamente l’ora di scendere in strada a fronteggiare l’oppressore e di identificare e quindi sabotare gli strumenti di Potere di cui si avvale, spesso persino con il beneplacito di quelle istituzioni e associazioni che dovrebbero invece contestarlo, con l’appoggio dei governi – che, si sa, favoriscono da sempre gli interessi degli oppressori anziché tutelare gli oppressi – e con il sostegno dei media.
Il Nuovo Abolizionismo: Liberazione Animale e Rivoluzione sociale.
Questo il titolo della prima conferenza che Steve Best ha tenuto presso il pub vegano Rewild di Roma, martedì 4 settembre 2012, in cui fa risalire l’origine dello specismo – dalla cui radice sono presto proliferati gli altri sistemi di oppressione quali la schiavitù, il sessismo ecc. – a circa diecimila anni fa, l’epoca in cui nascono le prime società stanziali dedite all’agricoltura. È in questo periodo che l’uomo, animale umano, inizia la domesticazione degli animali non umani e della natura, e inizia a percepire sé stesso come soggetto dotato di razionalità ed intelletto in opposizione al resto delle altre specie animali che, senza distinzione di sorta, definisce e bolla automaticamente, in antitesi a sé stesso, come “irrazionali.” Questo ha fatto sì che ogni qualvolta nel corso della Storia a venire, da qual momento preciso in poi, si sia reso necessario opprimere e sfruttare altri popoli per i più disparati scopi – quasi sempre di natura economica, per invaderli, colonizzarli, sottrarre loro terre e materie prime, sottometterli in schiavitù, ecc.. – sia bastato assimilarne le caratteristiche a quelle degli animali, negandone al contempo quelle convenzionalmente attribuite agli umani, così da giustificare e legittimare il loro uso e riduzione in schiavitù; esattamente come è successo al tempo della deportazione dei neri dall’Africa, trattati al pari di “bestie”, di esseri bruti dotati di solo istinto e incapaci di civilizzarsi. Quindi Best ripercorre la storia dei movimenti per l’abolizione della schiavitù sorti negli Stati Uniti, evidenziando la differenza tra quei movimenti e quelle strategie – diversificate, pluralistiche, ma coese nell’ottenimento di un fine comune – e gli attuali movimenti per la liberazione animale, i quali dovrebbero quindi trarne ispirazione. L’inizio della conferenza è infatti dedicato a sostenere la tesi che, aldilà di ogni dubbio, gli animali sono sottoposti da sempre a un regime di schiavitù non diverso dal regime cui erano sottoposti i popoli sconfitti nell’antichità e gli schiavi afroamericani nei moderni Stati Uniti.
Best a questo proposito si scaglia con veemenza contro l’attuale abolizionismo pacifista ben rappresentato da pensatori come Gary Francione che, con un efficace gioco di parole – “Pacifism=Passivism” – definisce passivo, autoreferenziale, unicamente concentrato sulla diffusione del veganismo in ambienti – le “white elite” – nei quali, peraltro, esso è già diffuso; sarcasticamente, Best definisce “facebook bullshit” l’attivismo da scrivania di molti vegani intenti a scambiarsi ricette o ad aprire blog, nell’ingenua convinzione che questo sia sufficiente per arrivare alla liberazione animale globale, come se bastasse far capire a un macellaio che ciò che fa è sbagliato per porre fine allo sterminio degli animali, mentre il sistema basato sullo sfruttamento si rafforza sempre più anche con il beneplacito di organizzazioni “collaborazioniste” quali la Peta, la Humane Society of the United States e altre. Best ci ricorda che l’Abolizionismo storico è stato tutto fuorché un movimento pacifico comunemente inteso. Al contrario, se esso è riuscito nell’intento è proprio perché ha potuto avvalersi di strategie diversificate e contestualizzate e non ha esitato a far ricorso ad una violenza di tipo difensivo per liberare gli oppressi. Ci ricorda altresì quanto oggi più che mai la filosofia della nonviolenza di Gandhi e Martin Luther King venga strumentalizzata e distorta, ridotta a citazioni di slogan svuotati del loro contenuto originale, e si diffonda il falso storico – semplicistico ed ingenuo – di un pacifismo ad oltranza assunto a mo’ di dogma religioso, tacendo invece la reale portata rivoluzionaria dei movimenti dell’epoca, portati avanti da persone e masse unite che non esitavano a scendere in strada per fronteggiare l’oppressore, opponendovi il loro stesso corpo che si faceva quindi strumento di lotta e di disubbidienza al Potere. King e Gandhi sono stati dei leader carismatici e convenzionalmenti definiti pacifisti, ma il loro pacifismo era ben distante dalla passività dei movimenti di oggi seguaci di Francione, convinti che basti parlare di veganismo per abbattere lo sfruttamento degli animali e le logiche di dominio interne al sistema capitalistico. Sul piano politico propriamente detto, Best suggerisce ai movimenti per i diritti degli animali di uscire dalla loro autoreferenzialità e di unirsi a quegli altri movimenti di protesta e di lotta contro le discriminazioni e oppressioni, pure se non direttamente coinvolti nella liberazione animale e non antispecisti. Non dice infatti di abbandonare i metodi educativi (informazione, sensibilizzazione, diffusione e promulgazione del veganismo ecc.), ma ritiene che essi da soli non possano bastare e che sia necessario quindi abbinare l’azione al pensiero. Insiste quindi sullo specismo come radice comune di tutte le altre forme di oppressione e discriminazione e sull’importanza di far comprendere agli altri movimenti che condividono la lotta contro le varie forme di discriminazione e oppressione, il nesso, lo stretto legame che esiste tra schiavitù e sfruttamento degli animali non umani e schiavitù e oppressione degli animali umani. Stessa radice, stessa necessità di estirparla attraverso strategie diversificate e contestualizzate che si avvalgono dell’educazione (teoria), attivismo e progresso legislativo volto a tutelare ogni essere vivente una volte per tutte.
Liberazione Animale e Progresso Morale: la lotta per l’evoluzione umana
Nella seconda conferenza, tenuta presso Villa Mirafiori, sede della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, mercoledì 5 settembre, Steve Best ha affrontato argomenti di natura filosofica, in particolare ha esposto una critica ben motivata e argomentata dei concetti di: razionalità e progresso, così come sono stati divulgati e recepiti nella storia dell’occidente. A una primitiva concezione ciclica dell’esistenza, con l’avvento del Cristianesimo si è imposta una visione escatologica tale da contemplare un fine ultimo raggiungibile per gradi attraverso il progresso morale dell’umanità, un’umanità dotata di raziocinio e quindi presumibilmente capace di gestire le risorse del pianeta e destinata alla salvezza ultima. Una visione rigorosamente antropocentrica votata alla crescita e al progresso, un progresso che presto però si rivela fallimentare proprio perché rivolto solo ad una parte dell’umanità, eretto sullo sfruttamento dell’altro ed incapace di farsi universale. Il disastro ecologico, economico, etico cui stiamo assistendo oggi – un mondo in cui il vivente è ridotto a cosa ed in cui migliaia di animali al giorno vengono sterminati – richiede una nuova definizione del termine progresso. La posizione di Best è molto critica anche nei confronti della filosofia marxista, che egli riconosce sempre come ciecamente limitata all’umano ed illusoria nella sua speranza di poter progressivamente educare le masse a costituire uno stato sociale egualitario e privo di distinzioni di classe. L’errore mastodontico in cui siamo caduti è non soltanto quello di considerarci esseri razionali – quando invece l’essere umano è un coacervo di pulsioni inestricabili e del tutto istintive – ma di sovrastimare il concetto di razionalità stesso, il quale, nei suoi esiti estremi e nella sua applicazione più programmatica ha invece condotto alla teorizzazione e realizzazione dei campi di concentramento e degli allevamenti intensivi: luoghi di massimizzazione razionale delle risorse al fine di ottenere il massimo profitto con il minor dispendio d’energie. Cosa c’è di più razionale infatti di un laboratorio per la sperimentazione animale? Ma questo tipo di razionalità – diretta ad un falso progresso, ad un miraggio di benessere universale – è ciò che effettivamente ha condannato, condanna e sta condannando in questo preciso istante miliardi di persone e di animali alla sofferenza, povertà, oppressione, schiavitù. Si rende quanto mai necessario quindi riformulare il concetto di progresso e rendersi conto che la sopravvalutazione della razionalià della specie umana ed il conseguente antropocentrismo (compreso quello del marxismo) ha finito per trasformare l’essere umano in una specie di predone della terra ed ha fatto sì che si arrivasse oggi al collasso delle risorse e ad un’epoca di massima barbarie nei confronti delle altre specie e di una parte sommersa dell’umanità.
Criticando l’attuale nozione di progresso – specialmente nelle sue attuali applicazioni di sofisticata tecnologia – egli non intende però rifarsi ad una visione primitivista volta a ripristinare modelli di società pre-moderne, ma soltanto riconsiderarlo come realmente inclusivo di ogni essere vivente nel rispetto del pianeta tutto. Non è possibile, dice Best, definire progresso un sistema che arreca vantaggi ad una parte soltanto dell’umanità e che erige le proprie ricchezze e privilegi sulle carcasse di miliardi di animali non umani sterminati all’interno dei più elaborati luoghi di detenzione, un progresso quindi che mentre “illumina” una parte del pianeta (egli, come Adorno, critica il concetto di Illuminismo così come si è effettivamente realizzato), fa piombare una massa di diseredati ed invisibili nell’oscurità e barbarie più totale: “chiedete agli animali cosa sia il progresso dell’umanità; vi risponderanno che per loro è la barbarie più assoluta, l’oscurantismo più nero”: certamente infatti i moderni luoghi di detenzione degli animali (stabulari, allevamenti) possono dirsi all’avanguardia nell’avvalersi delle più sofisticate tecnologie, ma tanto più esse appaiono efficaci per l’oppressore e l’aguzzino, tanto più sono macchine infernali per tutti quegli animali costretti a subirne gli effetti.
Critica altresì il concetto di crescita di un paese stabilito attraverso il PIL, in realtà affatto indicativo del reale stato di benessere dei suoi abitanti poiché termini come “felicità”, “gratificazione”, “etica” non sono conteggiabili, quindi non rilevanti economicamente.
Esprimendo una preoccupazione sempre crescente – e basata su dati certi e inconfutabili, empiricamente dimostrabili – per le sorti del pianeta, auspica una nuova politica bio-umanitaria, ossia una politica in cui ogni cittadino si trasformi dall’invasore barbaro che è, a parte di un tutto rispettoso di ogni elemento che costituisce la bio-diversità. L’epoca dell’antropocentrismo indiscusso deve finire, essa ha causato solo danni. È ora quindi di formulare un concetto di progresso realmente inclusivo di ogni vivente, in un’ottica rigorosamente antispecista capace di fondare una nuova e diversa psicologia dell’umano – e del suo ruolo nel pianeta – e una nuova e diversa strutturazione delle varie istituzioni sociali.
La Paralisi del Pacifismo: in difesa dell’azione diretta militante e della “violenza”
La terza e ultima conferenza di Steve Best organizzata da Per Animalia Veritas, tenuta presso l’ex-mattatoio di Aprilia (ora trasformato in un’ Officina culturale e ci auguriamo che venga presto il giorno in cui ogni luogo di sfruttamento, morte e oppressione si riconverta in spazio di incontro, crescita, condivisione culturale) è stata, a mio avviso, anche la più interessante e significativa, quella in cui Steve Best ha dato il meglio di sé anche sotto il profilo umano, probabilmente perché più emotivamente coinvolto. C’è stato un momento particolare, quello in cui ha raccontato la storia della scimmietta Britches liberata grazie alle azioni di alcuni attivisti, in cui si è palesemente commosso, e il pubblico con lui.
E qui veniamo al punto di cosa si debba intendere per “violenza” e di cosa Best intenda per azione diretta militante. Prendiamo proprio il caso emblematico di Britches: una scimmietta rinchiusa dentro uno dei tanti luoghi in cui avviene la sperimentazione animale (qui mi sembra opportuno ricordare che per sperimentazione animale non si intende soltanto la ricerca volta a testare nuovi farmaci, cosmetici, detersivi ecc., ma anche tutti quegli esperimenti volti ad una ricerca di tipo meramente conoscitivo, ossia diretta a produrre, raccogliere dati e statistiche sui più disparati fenomeni che si ritengano degni di studio: ad es. si uccide un ratto di fronte ai suoi simili al mero scopo di osservarne le reazioni emotive, oppure si stressa un animale privandolo del sonno, cibo ed altro così da indurlo in uno stato depressivo onde poi stabilire che costretto a nuotare dentro una tanica d’acqua per non affogare, si stanca prima dei suoi simili non stressati. Innumerevoli purtroppo sono gli esperimenti di questo tipo, dettati proprio dalla tanto decantata razionalità dell’essere umano): a Britches dunque furono cucite le palpebre affinché perdesse ogni cognizione relativa al senso della vista, e fu costretta a indossare giorno e notte delle cuffie attraverso le quali le arrivava ogni sorta di assordante rumore industriale (tutto ciò, pare, al fine di studiare le reazioni psicologiche e cognitive alla condizione di cecità). Un giorno gli attivisti irruppero nel laboratorio in cui la scimmietta era rinchiusa, rompendo qualche vetro e scardinando qualche porta e, senza ferire alcun essere vivente, finalmente la liberarono. Britches fu finalmente libera, grazie al coraggio e al buon cuore di alcuni attivisti; le furono scucite le palpebre, potè vive in spazi aperti pieni di alberi sui quali potersi arrampicare e giocare con i propri simili.
Qualcuno di voi può adesso darmi la definizione esatta di “violenza”, chiede Best al pubblico. Chi è violento? Chi cattura un essere vivente e lo tortura, o chi rompe un vetro per andare a liberarlo? Chi è violento? Chi taglia la gola a un maiale indifeso o chi fa irruzione in un macello per salvargli la vita e liberarlo dall’agonia?
Eppure per i media, per i governi, per la Polizia chi rompe un vetro per entrare in un allevamento a liberare degli innocenti è violento. Peggio, è considerato al pari di un terrorista.
Violenza, dice Best, è causare invece volontariamente un danno fisico a un essere indifeso, senza motivazione alcuna. La legittima difesa non è violenza. Difendere chi non può difendersi, non è violenza. Restare inerti, passivi, accettare che la violenza dentro i mattatoi, negli allevamenti, negli stabulari continui a perpetuarsi giorno dopo giorno è stare dalla parte di chi quella violenza la pratica. Chi si definisce pacifista, ma non fa nulla per fermare la mano che taglia la gola al maiale, finisce per rendersi egli stesso partecipe di quella violenza che spera di estirpare con il silenzio. Il silenzio favorisce il perpetuarsi della violenza, non la combatte affatto.
Best critica altresì il silenzio dei media (e lo sdegno dei pacifisti) al riguardo delle varie azioni di liberazione perché apparentemente – così almeno è quanto sostengono i pacifisti a oltranza e il governo – parlarne potrebbe allontanare i sostenitori dei diritti animali e spaventare l’opinione pubblica; in realtà, e lo abbiamo visto proprio in Italia con il caso di Green Hill, gran parte dell’opinione pubblica è favorevole alle azioni volte a liberare le vittime innocenti dalle loro gabbie. I media questo lo sanno e proprio per questo preferiscono tacere – ovviamente istruiti dalle multinazionali, governi, istituzioni varie; tacciono perché altrimenti i tanti che non hanno attualmente la minima idea di cosa avviene in certi luoghi si unirebbero alle azioni degli attivisti, creando danni ingenti alle aziende e multinazionali sotto il profilo economico e questo i governi – ricattati o coartati proprio dalle multinazionali – non possono e non vogliono permetterlo. Steve Best ci ricorda che per azione diretta non si intende solo l’apertura delle gabbie, ma anche il sabotaggio degli strumenti dell’oppressore al fine di creare ingenti danni economici. Si costruiscono laboratori per la vivisezione? Essi vanno smantellati. Verranno ricostruiti? Si rismantellano. Best sostiene che, contrariamente a quanto si crede normalmente (“ogni animale liberato viene rimpiazzato, ogni laboratorio smantellato viene ricostruito”) queste strategie di lotta siano in realtà molto efficaci perché vadano alla lunga a intaccare i profitti di chi specula sul dolore e lo sfruttamento animale. Non bisogna abbattersi, dice Best, e il suo, nonostante la crisi che attualmente sta vivendo il movimento per la liberazione animale, è comunque un messaggio di speranza, di sollecitudine, di incoraggiamento a cambiare metodo, ad agire, prendendo come esempio gli ALF (attivisti dell’Animal Liberation Front), gli unici che continuano a ottenere risultati concreti anche se i media non ne parlano (e non ne parlano, a suo parere, non per non spaventare l’opinione pubblica, ma al contrario perché ben consapevoli che buona parte di essa li appoggerebbe e imiterebbe).
Steve Best, ancora una volta quindi, critica l’attuale ideologia del Pacifismo contemporaneo attribuendole parte della responsabilità della crisi in cui sono caduti oggi i movimenti per la liberazione animale poiché essa veicola il falso assunto secondo il quale il massacro degli animali si fermerà soltanto grazie alla diffusione del veganismo e all’evoluzione morale dell’umanità. Quindi ricorda ancora una volta i vari movimenti che in passato hanno fermato l’oppressione e ottenuto vittorie sugli oppressori. I movimenti di emancipazione degli afroamericani hanno avuto successo perché sono esistiti Malcolm X e le Black Panthers e perché un giorno una donna afroamericana, Rosa Parks, si è rifiutata – e la disobbedienza nonviolenta, è sempre azione, non è pacifismo e non è passività – di sedersi nel posto riservato alla gente di colore, così come altri si sono rifiutati di non oltrepassare le barriere oltre le quali gli Afroamericani non potevano andare e questo è ciò che si chiama azione, resistenza, disobbedienza nonviolenta, che è tutto il contrario dell’ideologia pacifista oltranzista secondo la quale pure forzare una serratura per liberare un uccello in gabbia è considerato un gesto sconsiderato e inammissibile; e la guerra in Vietnam – nella quale gli Stati Uniti hanno subito una sconfitta militare pesantissima – è finita perché i contadini si sono armati e opposti all’invasore, scendendo in campo, fronteggiando l’oppressore, senza paura, con coraggio, costi quel che costi. L’India ha ottenuto l’indipendenza non certo solo grazie alle frasi di pace pronunciate da Gandhi – frasi che oggi vengono citate a memoria, ma senza mettere realmente in atto i suoi insegnamenti – ma perché egli stesso è sceso in strada alla testa di moltitudini di indiani, secondo il concetto del Satyagraha (lotta nonviolenta); a questo proposito Best ricorda la famosa “marcia del sale” che avvenne in India nel 1930, definendolo appunto un episodio di “disobbedienza civile” e di lotta nonviolenta.
Gli animali imprigionati, se potessero, reagirebbero (durante la prima conferenza Best ha citato un saggio di Jason Hribal, “Fear of the Animal Planet: The Hidden History of Animal Resistance”, “La paura del pianeta animale: la storia segreta della resistenza animale” in cui si narrano i tanti documentati casi di ribellione di animali – detenuti negli zoo, nei circhi o in altri luoghi di schiavitù e prigionia – che scientemente, consapevolmente, quindi non come mera reazione istintiva, hanno saputo cogliere il momento opportuno, attendendolo e sapendolo intelligentemente valutare, per aggredire il loro oppressore e così potersi liberare o vendicare), le loro reazioni non sarebbero quindi violenza, ma legittima difesa. Best si appella allora a quello che definisce il principio di “estensione della legittima difesa”, persuadendo coloro che realmente vogliono darsi da fare per liberare gli animali – che realmente sono interessati a realizzare una nuova società senza dominio – ad agire per fermare la violenza, anche ricorrendo alla forza o ad azioni illegali quali violare proprietà privata, sabotare le industrie dello sfruttamento, distruggere gabbie. Precisa poi che non esiste una ricetta universalmente valida, ogni caso è a sé, ogni paese ha le sue leggi e i suoi meccanismi, ogni luogo di detenzione richiede un metodo specifico per essere abbattuto. Chiaramente egli concorda nel ricorrere a mezzi più “violenti e diretti” solo quando altre opzioni non sono disponibili, solo quando non esiste altro metodo e ogni altra strada di persuasione è già stata percorsa. Contestualizzare, diversificare, non esitare a intervenire fisicamente per difendere gli innocenti indifesi da tutte le forme di dominio che l’oppressore esercita su di loro. Disobbedire, sabotare, scendere in strada, opporsi fisicamente alle logiche e al sistema del dominio, ma anche educare, sensibilizzare, informare, invadere i media ufficiali per mostrare la verità di ciò che avviene dietro le sbarre, in tutti i luoghi in cui i viventi sono sfruttati e rinchiusi.
Violento non è quindi chi cerca di combattere il meccanismo e il sistema di dominio attuale, bensì chi vi scende a compromessi percependo sé stesso come la parte sbagliata solo perché i governi e le multinazionali – che sempre sono dalla parte di chi opprime e non degli sfruttati – è così che lo fanno sentire. Best a questo proposito parla di una vera e propria “sindrome di Stoccolma” in cui sono precipitati i movimenti animalisti contemporanei, spesso addirittura gentili verso l’oppressore.
L’azione è necessaria. Non si può pensare di abbattere il sistema di sfruttamento meramente dedicandosi al proselitismo vegano, sebbene diventare vegani sia ovviamente un passo imprenscindibile per affrancarsi dalla violenza sui più deboli. Best ci ricorda inoltre che non abbiamo più tempo: gli scienziati ci fanno sapere che se non facciamo qualcosa per salvare l’ecosistema, già nel 2050 il nostro pianeta sarà irriconoscibile.
In conclusione egli torna più volte a citare gli ALF e gli ELF (Earth Liberation Front), gli unici che secondo lui sono davvero riusciti ad ottenere risultati validi. A questo proposito vorremmo ricordare che gli ALF e gli ELF, nonostante nei paesi anglosassoni siano considerati al pari di terroristi e molti di essi siano stati condannati (il leader Barry Horne è morto in carcere più di dieci anni fa in seguito all’ennesimo sciopero della fame indetto per protestare contro il governo che non aveva mantenuto la promessa di indagare sulla sperimentazione animale), non hanno mai ferito alcun essere vivente, ma solo sabotato e distrutto strutture, causando danni ingenti proprio a quelle aziende e multinazionali che sfruttano ed uccidono gli animali e il pianeta, riuscendo ad ottenere successi significativi quali far chiudere fabbriche di pellicce e simili. Questo è ciò che si chiama azione per la liberazione animale. Questo è l’attivismo secondo Steve Best.
Comments
36 Responses to “Steve Best in Italia: dalla Filosofia all’Azione”Trackbacks
Check out what others are saying...-
[…] del ciclo di conferenze da lui tenute in Italia, di cui un breve riassunto si potrà leggere qui. Poiché egli è noto soprattutto per le sue idee in merito all’attivismo, abbiamo pensato di […]
-
[…] o che si ribelli al proprio domatore. Vorrei anche segnalare questo saggio (a sua volta citato da Steve Best durante le sue recenti conferenze in Italia): Fear of the Animal Planet: the Hidden History of […]
-
[…] “Steve Best in Italy: From Philosophy to Action,” Asinus Novus. (A nice summary and heated critical discussion of some my ideas (which unfortunately are rarely represented fairly by dogmatic pacifists in the discussion following the article). […]
-
[…] ricordato anche Steve Best nel ciclo di conferenze in Italia dello scorso anno (se n’è parlato qui), il proprio corpo può divenire un efficace strumento di lotta nonviolenta, probabilmente il mezzo […]
io penso che combattere lo sfruttamento animale distruggendo un laboratorio sia come combattere il capitalismo distruggendo un bancomat
Mattia, che velocità, hai già letto tutto l’articolo? 🙂 Grazie per la tua attenzione, dunque.
Beh, ma in effetti lui dice di diversificare le azioni e di adoperare diverse strategie a seconda del contesto e sempre comunque di procedere insieme alla sensibilizzazione, teoria, educazione.
Certamente distruggere un singolo laboratorio non serve a granché, ma fallo mille volte di seguito e qualche danno economico lo arrechi; e poiché alle multinazionali che prosperano sullo sfruttamento degli animali alla fine quello che interessa davvero è il denaro, qualcosa di significativo alla fine lo smuovi.
Non sono d’accordo per alcuni motivi.
Innanzitutto mi sembra di aver capito che Steve Best intenda l’attivismo nell’accezione di “danni alle cose, ma non alle persone”.
E’ facile capire come quest’affermazione sia priva di senso, per due ragioni:
1. un danno ad una cosa è anche, praticamente sempre, un danno ad una o più persone. Un vetro rotto, una porta scardinata, un laboratorio smantellato, una pellicceria fatta esplodere avranno ripercussioni sulle persone. Se una pellicceria deve chiudere, per fare un esempio, i lavoratori verranno licenziati, il che è sicuramente un danno alle persone, e qualcuno si potrebbe suicidare, magari dopo aver fatto fuori la famiglia.
2. che vuol dire precisamente che “liberare una scimmia non è violenza, ma legittima difesa”? Domani entro di soppiatto in un laboratorio in cui c’è una scimmia violentata dagli esperimenti a cui noi tutti siamo contrari, e sono cosciente del fatto che morirebbe nel giro di poche ore se non la liberassi; purtroppo proprio mentre sto aprendo la gabbia vengo scoperto dalla guardia del laboratorio, che mi punta una pistola e sta per chiamare la polizia. Ho la possibilità di ammazzarlo o di procurargli uno svenimento a causa di una forte botta in testa, che fare? E’ violenza questa? D’altronde sto solo liberando una scimmia che altrimenti morirebbe. E se le guardie fossero due? Dovrei fare fuori 2 essere umani per liberare 1 scimmia? In questo caso l’utilitarismo ci insegna che farei meno danni lasciando la scimmia lì, e facendomi arrestare.
Con questi due esempi, uno “diretto” e uno “indiretto”, ho cercato di far capire che non è possibile “fare danni alle cose ma non alle persone”.
Ma c’è un’altra questione che secondo me vale la pena affrontare, e da diversi punti di vista : si dice che facendo saltare in aria un solo laboratorio non si conclude molto, ma facendone saltare in aria mille si crea un danno economico alle multinazionali dello sfruttamento. Ma è davvero così? Se domani nascesse un gigantesco e perfettamente organizzato esercito dell’ALF che andasse a far esplodere migliaia di laboratori in tutto il mondo, io credo che non si intaccherebbe il potere di quelle multinazionali ma, più realisticamente, si instaurerebbe soltanto una sorta di guerra civile tra le forze dell’ordine e gli “attivisti militanti”, che io non mi farei problemi a chiamare “terroristi assassini”.
Appunto, come dicevo ieri, equivale a pensare di combattere il capitalismo assaltando una o dieci o mille filiali di banche.
Se proviamo a traslare questo discorso che stiamo facendo sui diritti animali con il movimento per la tutela dei diritti delle donne ad esempio, il ragionamento che fa Steve Best equivarrebbe ad affermare che è possibile combattere in modo efficace e sensato dal punto di vista storico/politico la tratta delle donne dell’est destinate alla prostituzione in italia semplicemente assaltando i barconi che portano queste donne sulle nostre coste!! In quest’ottica, il ragionamento appare per quello che a mio parere è in realtà: follia.
E ancora, perché far esplodere un laboratorio, un macello, un allevamento di animali da pelliccia, e non una farmacia, un supermercato, un negozio di vestiti? Non sono tutti posti in cui il potere economico che giace alla base dello sfruttamento animale si sviluppa? Non si farebbe comunque un danno economico alle multinazionali dello sfruttamento facendo saltare un supermercato anziché un macello? Però anche se sembra accettabile andare ad assaltare un laboratorio, la maggior parte delle persone ragionevoli (anche tra i più attivisti dell’animalismo) considererebbero una pazzia attaccare una farmacia o un supermercato.
Ma allora dev’esserci di certo un’unità di misura, ad esempio Malvagità/Metro quadro, che una volta calcolata permette di scegliere quali sono i luoghi in cui posizionare un’abbondante dose di esplosivo al plastico!
Scherzi a parte, spero di essere riuscito a far capire come la penso.
Non si può combattere un sistema così ampio e radicato come lo sfruttamento dell’altro, attaccando i suoi simboli, e neanche fossero i suoi simboli principali, dato che sono solo una piccola parte di una mentalità (ma so che è riduttivo dire “mentalità”) molto più vasta.
Allora lasciamo tutto così com’è, così non si fa male nessuno.
Se un giorno vedo un energumeno che ti sta pestando, non intervengo, perché rischierei di fargli male.
Mattia, secondo il tuo ragionamento, per impedire che le persone che lavorano nelle pelliccerie ecc. vengano licenziate allora non dovremmo mai augurarci che queste strutture, gli allevamenti, stabulari ecc. siano smantellati. Che mi dici degli inservienti, veterinari e impiegati amministrativi che lavoravano a Green Hill? Ora hanno perso il lavoro, QUEL lavoro. Beh, io sono contenta perché più di 2000 cani invece hanno riacquistato la libertà.
Ovvio che se un domani si realizzazze il sogno antispecista e lo sfruttamento animale dovesse essere pian piano abolito ci sarà tantissima gente che perderà il lavoro (pensa solo a tutti quelli che lavorano negli allevamenti, mattatoi, concerie di pelle ecc..), ma ci sarebbe anche una riconversione dell’economia tutta.
Riguardo i danni alle strutture e rischio di ferire le persone, ti invito ad informarti meglio sulle azioni degli ALF. Sono più di vent’anni che fanno azioni di sabotaggio, in passato hanno bruciato fabbriche di pellicce e costretto alcuni stabilimenti a chiudere. Non hanno mai ferito nemmeno lievemente una persona. Fortuna? No: preparazione. Certe cose si fanno studiandoci e lavorandoci sopra, non è che ora andiamo io e te e liberiamo una scimmia dal laboratorio in pieno giorno, con tutti i medici di guardia e via. Personalmente, pure se lo vorrei tanto – liberare gli animali intendo – non ne sarei capace. L’azione più offensiva che ho fatto è stata sabotare trappole per topi. E non è certo il massimo, ma sempre meglio di niente perché magari la vita a qualche topino, evitandogli una fine atroce, l’ho salvata.
Sinceramente non ho idea di quale possa essere la soluzione migliore per attaccare il sistema, so soltanto che a forza di stare a pensarci intanto fuori gli animali continuano a morire a migliaia e quindi forse è meglio agire che scambiarci ricette vegane.
Comunque alle multinazionali interessa solo il profitto, quindi danneggiarle negli interessi sarebbe c’è qualcosa.
Gli esempi che fai sulle donne dell’est non sono pertinenti: ho già spiegato che ogni caso è a sé e che ogni azione deve essere contestualizzata. Ovvio che per quel caso specifico non funzionerebbe assaltare i barconi, ma, ripeto, diversificare e contestualizzare probabilmente aiuta a trovare le soluzioni più efficaci per ogni problema.
Quindi secondo te come si potrebbe attaccare il sistema dello sfruttamento così radicato? Con l’informazione, l’educazione, sperando in un progresso morale dell’umanità.? Abbiamo visto che non funziona. Ci sono persone che sotto quel profilo sono ineducabili, persone a cui non solo non importa della sofferenza degli animali, ma nemmeno di quella delle persone che più gli stanno accanto. Alle multinazionali importa solo del denaro, chi vi è capo non percepisce i danni e le sofferenze che procura ai viventi (cosiddetto “male freddo”, per cui non viene percepito da chi lo agisce indirettamente, a distanza). Attraverso la legislazione? Eppure Mattia dovresti sapere che i governi fanno quel che chi detiene il vero potere economico dice loro di fare. Tu pensa ad esempio all’elettorato di alcuni stati americani, ove tutti sono imprenditori, allevatori ecc.. – e credi che in quegli stati potranno mai essere fatte leggi che scontentino quel tipo di elettori?
Le varie associazioni procedono per piccoli passi, devono comunque sempre scendere a compromessi con i vari partiti (che a loro volta fanno gli interessi del loro elettorato) e con governi, multinazionali ecc.. E vogliamo parlare dei media che formano le masse? Chi paga i media? Le multinazionali.
Non so. Secondo me, e concordo con Best, non ci può essere una soluzione unica per tutto. In alcuni casi funziona la sensibilizzazione, in altri le leggi (sempre più migliorativi e a tutela degli animali), in altri ancora si deve pure agire.
Non sei contento di quello che è successo a Green Hill? Certo, una goccia nell’oceano che non ha risolto il problema alla radice, ma intanto parecchie persone sono venute a conoscenza della sua esistenza e si stanno informando.
I media tacciono al riguardo delle azioni degli ALF e tacciono proprio perché sanno che buona parte dell’opinione pubblica sarebbe con loro. Questo è indicativo.
Non serve mica impugnare armi. Basta la disobbedienza civile. Conosci l’episodio della guerra del sale in India? E quando Rose Parks si è rifiutata di sedersi nello spazio riservato ai neri? Guarda che Best ha parlato soprattutto di azione in questo senso, ossia di fronteggiare l’oppressore a testa alta, senza armi.
Lotta nonviolenta significa comunque agire. Il modello è Gandhi. Che di certo non si limitava a distribuire volantini, ma organizzava azioni. Azioni mica armate, ma decise.
Quello che volevo far intendere è che non esiste danno alle cose senza danni alle persone. Danneggiare un oggetto è già di per sé, violenza.
Ora credo che siamo arrivati ad un punto del discorso che non ci permette di andare avanti senza prima farci una domanda piuttosto famosa in etica: “quando la violenza è giustificabile?”
Perché se salvare la vita di 2000 cani vale il licenziamento di 100 persone (sto inventando i numeri), allora siamo d’accordo sul fatto che ne vale la pena. E’ piuttosto palese che sia così, e quindi non c’è grossa divergenza di opinioni tra noi sensibili all’argomento. Tuttavia, sono sicuro che sarebbe stato più difficile schierarsi da una delle due parti se negli scontri fosse morto, chessò, qualche veterinario. E questo non avrebbe intaccato la giustizia dell’azione in sé, perché comunque si sarebbe salvata la vita a 2000 cani; semplicemente il calcolo utilitaristico dei danni sarebbe diventato molto più complicato.
Io il passamontagna per andare ad assaltare un laboratorio non me lo metto.
Se domani scoppiasse una guerra, se l’Italia venisse occupata e si creasse un esercito di ribelli, io diserterei a prescindere da quanto quell’azione sia giusta.
I partigiani lavoravano per una giusta causa, ma prendendo i fucili e uccidendo i tedeschi si rendevano violenti assassini.
Fatto per l’ALF il paragone è esagerato perché non hanno mai ucciso nessuno, ma ciò non toglie che siano persone violente che fanno dei danni.
Messi a confronto un guerrigliero dell’ALF e un ricercatore che per lavoro sperimenta su animali, il violento è il primo, non il secondo.
Lo scienziato, il macellaio e il pellicciaio sono vittime del sistema, non carnefici.
Se dovessi scegliere mia moglie o la persona a cui affidare i miei figli e mi venissero proposte la proprietaria di una macelleria o un attivista dell’ALF che fino a ieri andava ad assaltare i laboratori (seppur minuziosamente preparata per non far del male a nessuna persona), non avrei alcun dubbio a scegliere la prima. E questo perché sono antiviolento per indole e le persone violente mi fanno paura. Mi fa paura il potere in ogni forma, e il potere si esprime sempre tramite la violenza.
La violenza che si attua in modo quasi “automatico” nei macelli non è la violenza del macellaio, questo dovremmo saperlo bene, ma a volte sembra che ce lo dimentichiamo…
Danneggiare oggetti, anche giuridicamente, esprime un concetto diverso di violenza rispetto a quella esercitata su persone. Qui bisogna intendersi quindi sul concetto di violenza. Se ferisci o uccidi uno commetti un determinato reato, se invece danneggi un oggetto si parla di un altro tipo di reato, meno grave. Non si possono mettere sullo stesso piano i danneggiamenti ad oggetti e la violenza inflitta ad un essere vivente.
Io ad esempio sono contraria agli atti di vandalismo tipo quelli messi in atto a Roma qualche tempo fa, ossia, trovo non abbia molto senso prendere a sassate un SUV solo perché simbolo del Capitalismo. Diverso però è violare la proprietà privata per salvare un cane. O rompere il finestrino di un auto al cui interno un cane sta morendo di caldo. O anche sabotare le trappole dei bracconieri. O anche rubare i fucili dei cacciatori.
Non concordiamo su una cosa: per me violento è il ricercatore che sperimenta sui corpicini degli animali ed anche il macellaio che spara al bovino, non l’attivista che distrugge una gabbia (l’attivista distrugge un oggetto, il ricercatore un essere vivente). So bene che il ricercatore ed il macellaio lo fanno perché ai loro occhi, all’interno di un sistema che legittima e considera accettabile l’uso e lo sfruttamento degli animali, il loro è considerato un lavoro come un altro di cui non se ne percepisce la violenza (così come chi beve il bicchiere di latte non ha la cognizione dello sfruttamento che vi è dietro), ma questo non vuol dire che la violenza non vi sia.
Ripeto, nel sistema la violenza, la morte, lo sfruttamento e l’uccisione degli animali è rimossa, edulcorata, accettata, normalizzata, ma questo non significa che non vi sia, che non sia meno significativa di quella più palese.
Io, per dire, non darei mai mio figlio in consegna ad un macellaio e questo proprio perché psicologicamente assuefatto alla violenza. L’attivista ALF invece sa bene cosa significhi opprimere e sfruttare i deboli, confido quindi che in mani sue mio figlio sarebbe al sicuro.
Dipende sempre dalla percezione che abbiamo delle cose. Ovvio che per l’opinione pubblica violento è chi sabota le strutture di detenzione, ma chi invece vi agisce indisturbato all’interno, non è per questo meno violento (inconsapevolmente violento, OK, ma sempre violento è. Oh, senti, chi prende i pulcini vivi e li getta nel tritarifiuti, ma come dovrebbe essere chiamato? OK, per lui non è violenza, non la percepisce come tale perché vi è assuefatto ed è abituato a considerare i pulcini come cose, ma l’antispecismo dovrebbe lottare proprio per ribaltare questa prospettiva che ha normalizzato la violenza).
Io comunque, e questo vorrei fosse chiaro, non me la prendo mai con il singolo, né con la persona che mangia carne, né con chi indossa pellicce, e nemmeno col vivisettore o macellaio. Però non me la sento nemmeno di negare che ciò che fa sia violento. Una violenza normalizzata ed accettata socialmente, tale da non essere più percepita come tale, ma comunque violenza.
” io diserterei a prescindere da quanto quell’azione sia giusta”
ah ah, il disertore viene fucilato immediatamente, fa parte del codice militare,
codice previsto indirettamente anche dalla Costituzione.
Quella sui partigiani assassini, poi….
conosco le idee si steve best molto vagamente, lessi solo un suo articolo tradotto in italiano qualche tempo fa, che comunque era molto indicativo del suo modo di concepire la lotta per la liberazione animale e più o meno diceva le stesse cose che ho letto qui.
Leggo in questo resoconto: “Violenza, dice Best, è causare invece volontariamente un danno fisico a un essere indifeso, senza motivazione alcuna”. Questa definizione mi sembra molto riduttiva e semplicistica. Non è forse violenza anche quella psicologica? Secondo Best allora lo stalking è ammissibile (è attivismo non-violento?): appostamenti, pedinamenti, telefonate, lettere, bigliettini, ecc, non c’è mica un danno fisico, giusto?
Poi viene citata la liberazione di green hill come evidenza che l’opinione pubblica è favorevole alle azioni di liberazione animale. Ma immaginiamoci se invece di “teneri cagnolotti beagle” si fossero liberati ratti destinati ad una importante ricerca sulla leucemia infantile. Davvero ci sarebbe stata la stessa reazione del pubblico? non credo proprio.
Io penso che le azioni dell’alf (o meglio, in stile alf) non siano da condannare del tutto, ma non debbano nemmeno essere osannate sempre e comunque. Io credo che si debbano sostenere le azioni dirette di liberazione animale quando fatte in modo intelligente, ovvero senza distruzioni improprie di proprietà, e non perchè hanno qualche effetto economico (e di ben poco impatto, rispetto a quello ottenibile con l’informazione educata di massa), ma solo perchè hanno un ben maggiore effetto simbolico, cioè liberare animali è un segno, questa volta sì non violento, di protesta contro il sistema di sfruttamento animale, e per trasmettere questo messaggio non serve dare fuoco a un allevamento di pellicce, secondo me, anzi, probabilmente si trasmette in questo caso un messaggio distorto e che in pochi sono in grado di capire, cioè solo quelli di quella che poi Best stesso chiama white elite.
complimenti comunque a Rita per l’ottimo ed esauriente resoconto!
Ciao Riccardo,
grazie per l’attenzione. 🙂
Ho visto che hai un bel sito anche tu, poi verrò a leggerti.
Ti rispondo al volo perché al momento ho poco tempo, poi semmai argomenterò meglio.
L’esempio di Green Hill devo dire che l’ho aggiunto io (ma è l’unica cosa del resoconto che ho aggiunto di mio e l’ho fatto perché in Italia se ne è parlato tanto quindi mi sembrava pertinente come esempio). Hai ragione comunque a dire che se invece di beagles fossero stati topi, non ci sarebbe stato così tanto scalpore mediatico. Purtroppo temo sia così.
Sulle azioni degli ALF, ecco condivido quanto dice pure Best, ossia, ogni caso è a sé ed andrebbe trattato in maniera isolata e contestualizzata. Lui questo l’ha specificato bene: in alcuni casi usare un metodo può funzionare, in altri, lo stesso identico metodo, può ottenere risultati del tutto inversi. Quindi, prendendo sempre il caso emblematico di Green Hill, ha funzionato l’irruzione e liberazione a volto scoperto proprio perché l’immagine di quei cuccioli che oltrepassavano il filo spinato ha intenerito e commosso tutti, ma nel caso di un altro tipo di allevamento (topi o galline per esempio) non si sarebbe ottenuto lo stesso risultato. Su questo Best è stato molto chiaro. Non si può andare a devastare strutture o a sabotare a casaccio. Le azioni vanno studiate. In alcuni casi magari basta l’educazione.
ciao Rita, in effetti credevo che fosse stato lo stesso best a parlare di green hill, dato che quella liberazione ha avuto una risonanza internazionale, comunque questo non cambia molto le cose, infatti lo stesso best a inizio della conferenza ha parlato della scimmietta britches, che non è una sitazione molto diversa. Per quello che tu dici, è proprio il fatto che best pensi che ogni caso debba essere trattato nella maniera più adeguata a spaventarmi, per questo lui ritiene legittimo in alcuni casi (probabilmente in molti casi) l’uso della violenza (ah, certo, senza fare danni fisici), vandalismo e terrorismo vario. Quando quelli dell’alf (che non liberano solo scimmiette e beagle) distruggono auto private, imbrattono muri e spaccano vetri di case private, lasciano molotov dentro casette postali private, questo è terrorismo psicologico, questa è violenza psicologica, anche se best lo nega (o non lo capisce). Best dice che molti usano le figure di gandhi, di king, a sproposito, e poi lui stesso ci viene a parlare di rosa parks, ma secondo le sue idee rosa parks non solo doveva rifiutarsi di lasciare il suo posto in autobus, ma dopo averlo fatto sarebbe dovuta scendere e dare fuoco all’autobus, questo è quello che tutti si aspetterebbero dall’alf in situazioni simili no? invece rosa parks ha fatto quello che molti di noi fanno quando vanno in un ristorante e dicono: “no grazie, io sono vegano, non mangio carne”, ovviamente lei lo ha fatto in un clima di estrema violenza e proprio per questo è diventata celebre per il suo coraggio, ma è questo quello che farebbe una rosa parks di oggi, non credo che rosa parks oggi andrebbe a distruggere auto e a far scoppiare laboratori in aria. non voglio qui aprire un dibattito su questo, ma credo sia importante sottolineare certe incoerenze (benchè molte volte il primo ad essere incoerente sia io). ciao e ancora complimenti per il resoconto
Capisco le tue perplessità, che poi del resto sono anche le mie.
Riportando sempre il discorso di Best alle conferenze, lui ha specificato che si dovrebbe ricorrere ad azioni più estreme solo in casi estremi e solo quando ogni altra strada è già stata percorsa ed ha fallito. Ovviamente ritiene che il dialogo, l’educazione, l’agire all’interno della legalità sia sempre preferibile. Non ha mai parlato di andare a buttare bombe o cose simili o di compiere atti terroristici.
Non concordo ovviamente con le azioni di intimidazione verso il singolo. Ma contro le strutture nel complesso sì. Anche andare a presidiare e a rompere le scatole di fronte ai circhi, agli acquari, ai negozi di pellicce potrebbe essere percepito, da chi all’interno di quelle sfrutture ci lavora, come intimidazione. E invece no, in questi casi siamo noi che non dobbiamo farci intimidire perché chi è terrorista non è certo chi desidera l’abolizione dei circhi o degli allevamenti di animali per pellicce, ma chi terrorizza appunto gli animali e li usa, uccide, sevizia ecc..
Ovvio che le istituzioni, le multinazionali, gli allevatori ecc.. che sulla pelle degli animali ci speculano diranno sempre che noi li intimidiamo, che gli diamo fastidio, che siamo dei pazzi estremisti, ecc., ma non capisci che questo è invece il gioco del Potere, di chi ci vorrebbe metterci a tacere?
Insomma, il mio pensiero è che un po’ di fastidio dovremmo darlo. Non basta dire “io sono vegano”. Rosa Parks ha fatto qualcosa di più. Si è imposta con la propria persona, con la propria fisicità.
Comunque ci sarà una via di mezzo tra l’andare a distruggere laboratori e il dire “io sono vegano”, no? Secondo me dovremmo riflettere e pensare a strategie nonviolente. Anche solo organizzare più presidi per contestare, per far vedere alla gente che noi ci siamo, esistiamo, vogliamo una società diversa, che certe cose non ci stanno bene.
Azioni ferme, chiare, ma senza mettere a ferro e fuoco la città. Per quanto qualche sabotaggio, contestualizzato, lo vedrei bene. Andare a togliere le trappole dei bracconieri ad esempio, cose così.
Mai nella storia dell’umanità il Potere, mai più violento di adesso con la Bomba,
era riuscito a far praticare la non violenza alle vittime di violenza.
Ah ah, anch’io inorridisco, ben addomesticato anch’io, alle parole di ‘sto Best.
Sembra di esserci stata, grazie Rita! (e direi che lo condivido in toto)
sono ovviamente d’accordo con best (e con te) quando dice che bisogna ricorrere alle azioni estreme solo in casi estremi, portare via una gallina da un allevamento è moralmente legittimo perchè la si sottrae da una vita misera e dall’uccissione certa e per fare questo posso anche rompere un vetro o forzare una serratura, non serve fare di più, mentre nella maggior parte dei casi le distruzioni di strutture, apparecchiature, beni di proprietà privati compiuti dall’alf non rientrano mai in casi simili, ma sono distruzioni fine a se stesse.
Dici che non concordi con le azioni intimidatorie verso i singoli, naturalmente, ma l’alf fa anche questo, per questo quando si dice di sostenere l’alf bisogna stare attenti, perchè significa dire che si è d’accordo pure con queste cose (e molti in effetti, a differenza di te, lo sono). L’intimidazione di cui parlano le aziende, è come ben dici tu, solo propaganda, l’intimidazione nella sfera privata del singolo è ben altra cosa (è terrorismo psicologico), per questo ovviamente credo che le proteste pacifiche siano del tutto legittime, anche se il singolo può viverle come intimidazione anche profonda, perchè qui si tratterebbe di mettere in discussione il diritto di protesta, mentre nessuno ha il diritto (giuridico o morale) di spaccare la macchina a un ricercatore o di terrorizzare la sua famiglia con scritte sui muri di casa.
per rosa parks fai bene a correggermi, in effetti il mio era un paragone fin troppo banale, mi premeva più che altro dire che il suo è stato un gesto simbolico, non violento davvero, non ha avuto bisogno di distruggere l’autobus no? non ha niente a che vedere con le azioni distruttive dell’alf, semmai possiamo vedere lo stesso gesto quando gli attivisti invadono le passerelle di moda, le arene delle corride o dei rodei, oppure quando si allucchettano davanti ai laboratori o davanti alle pelliccerie, questi secondo me sono i rosa parks di oggi.
dici che dovremmo farci vedere di più, farci sentire di più, mi pare che la vediamo allo stesso modo allora! le trappole dei bracconieri togliamole!
ciao e a presto!
PS: il commento precedente era per Rita ovviamente, sotto il suo messaggio sopra non mi compare il pulsante “replica”
riassumendo in poche parole il mio ragionamento di qualche giorno fa:
se giustifichiamo la violenza per fini utilitaristici (“vale la pena fare questo…perché in cambio si ottiene quest’altro”) allora limitarsi a “danni a cose e non a persone” non ha senso, finché aumenta l’utilità marginale allora tutto è lecito.
Del resto però, dicevo che chiunque abbia il coraggio di fare azioni di violenza (di qualsiasi genere, verso oggetti, verso persone, giustificata o no) mi fa paura, e di lui non mi fido.
Per ultimo sostenevo che la violenza incosciente (vedesi macellaio) non è violenza, altrimenti sarebbe violento il dottore vivisezionista quanto il macellaio che uccide quanto il macellaio sotto casa quanto mio padre che va al supermercato quanto tutti gli altri che “antispecismo” non sanno neanche che cosa vuol dire.
Non dovremmo confondere la politica con l’etica!
Continuo a non trovarmi d’accordo sulla tua negazione della violenza del macellaio, vivisettore, pescatore ecc.. OK che non ne sono consapevoli (così come io non ero consapevole della mia violenza e sopraffazione quando mangiavo gli animali), ma l’atto di usare un vivente, di farlo soffrire, di ucciderlo, rimane comunque un gesto violento. E poi chi lo dice che non sono consapevoli? Tanti lo sono eccome, così come chi spaccia o ruba sa benissimo che sta facendo qualcosa che non dovrebbe, ma continua a farlo per denaro o per altre motivazioni.
Comunque, lasciando perdere per un attimo il concetto di consapevolezza o meno, sparare in mezzo alla fronte ad un vitello, tirare il collo ad una gallina, prendere a randellate un pesce o un visone, provocare un tumore ad un ratto, sono atti indicibilmente violenti e prevaricatori della vita altrui.
Quello che si deve fare è cercare di abbattere la consuetudine, l’ipocrisia sociale, l’accettabilità culturale che non ce li fa percepire come tali.
La violenza incosciente, sempre violenza è. La violenza del serial killer sociopatico (completamente pazzo, quindi incapace di intendere e di volere e infatti ha attenuanti giuridiche credo, qualora si dimostri la sua patologia psichica) sempre violenza è.
Se un bambino tortura un animale perché in lui ancora non si sono strutturati determinati concetti (di empatia, rispetto dell’altro, percezione dell’altro ecc.), l’atto in sé però sempre violento rimane. Non si gli potrà fare una colpa, ma vallo a chiedere all’animale che ha subito se era violenza o meno.
Allora posso concordare su te (ma non in tutti i casi perché tante persone sono consapevoli eccome dello sfruttamento e sofferenza degli animali e però se ne fregano, per vari motivi, a vario titolo) sul fatto che di questa violenza non si può incolpare il macellaio come singolo, ma il sistema, la cultura ecc., ma non si può negare che, colpa o meno, l’atto di sventrare un maiale sia violento.
Altrimenti così potremmo arrivare a giustificare chi picchia le donne perché culturalmente, magari in un paese diverso dal nostro, dove esse non hanno diritti, non è considerata violenza colpirle perché si ha una diversa consapevolezza.
Poi volevo specificare una cosa. Quando si parla di ALF in genere si tende a credere che essi siano un gruppo compatto che condivide una medesima filosofia ed azione. Non è così, almeno non nella concezione originaria del movimento.
Io pure faccio parte degli ALF nel momento stesso in cui mi adopero per liberare un animale perché nella loro filosofia c’è proprio l’idea che degli ALF faccia parte chiunque appunto si adoperi per la liberazione animale. Mi pare fosse proprio Barry Horne che diceva: “non chiedetevi come fare ad entrare negli ALF, chiedetevi piuttosto quante volte ne avete già fatto parte”.
Ci saranno alcuni soggetti particolarmente violenti che appunto intimidiscono i singoli, o altro, ma parecchi liberano animali in maniera mirata senza nemmeno causare troppi danni. Magari distruggono le trappole dei bracconieri.
Mattia: infatti l’utilitarismo è da buttare a mare, secondo me. Se per salvare la vita di 1000 persone devo ucciderne 100, per l’utilitarismo è giusto uccidere quelle 100 persone? Se è così, è aberrante.
ps. Rosa Parks ha violato la legge sedendosi su quell’autobus
D’accordo con te Giovanna, l’utilitarismo è la filosofia peggiore che possa esistere perché allora così tutto diventa predicabile ed accettabile qualora vi sia un vantaggio (per qualcuno, pochi o tanti che siano).
Pure Regan ad esempio critica l’utilitarismo singeriano, riconoscendo invece il valore inerente della vita del singolo.
In realtà no, l’utilitarismo dice che bisogna fare un calcolo prendendo in considerazione gli interessi di tutti.
Detto in parole veramente povere, se sei costretto a scegliere tra due azioni, e una fa meno danni dell’altra, fai l’azione giusta scegliendo quella meno dannosa. E questo perché bisogna prendersi la responsabilità di tutto quello che si fa, ma anche di quello che non si fa (se lascio morire una persona che a un prezzo minore potrei salvare, sono colpevole, tanto per riprendere un famoso esempio di Singer).
Non è aberrante, è la cosa più giusta da fare. E’ per questo che lui dona sempre un quarto del suo stipendio in beneficenza, perché pensa che se facendo una certa azione l’utilità marginale aumenta, allora bisogna farla, ed è sbagliato non farla.
Poi rifacendomi a questo discorso, negli altri post io dicevo che in linea di massima uccidere 10 persone è giusto se serve a salvarne 100, ma che di certo una persona che di sua spontanea volontà (non obbligato) compie violenza pur sapendo di fare una cosa giusta, ecco quella è una persona violenta, pericolosa e di cui IO PERSONALMENTE non mi fido perché ripudio la violenza in ogni forma.
Traslando il tutto si può fare riferimento all’ALF o a qualsiasi altro argomento.
saluti!
Mattia, il marginalismo in economia ha fatto danni enormi, IMHO; figuriamoci se applicato alla morale.
Mattia, io sono sempre più incredulo nel leggere ciò che scrivi. La tua non è nonviolenza, è una sorta di integralismo della mitezza francescana da “povero di spirito” evangelico. Mi aspetto da un momento all’altro che tu mi dica “ama il tuo nemico” e “porgi l’altra guancia” – che sarebbero comunque affermazioni meno assurde della preoccupazione per la disoccupazione dei pellicciai o “chi spacca la vetrina di un MacDonald’s è violento, il macellaio che squarta il vitello no perché incosciente” (lo squarta in stato di trance sotto ipnosi?).
Ripropongo la boutade che ti ho rivolto sopra: se vedo un energumeno che ti sta pestando ed intervengo a salvarti dandogli un calcio, tu quindi poi non ti fidi più di me e anzi ti faccio paura. In fondo non ero obbligato a fermare il pestaggio, ho agito in modo violento di mia spontanea volontà.
E in quel caso il calcolo utilitaristico diventa difficile: siamo sull’1-1. Faccio male a uno per salvare un altro. Arduo. Chi scelgo? Devo fare considerazioni sul valore intrinseco della persona e dei fatti basandomi sulla mia personale scala etica.
Per non parlare se gli energumeni sono cinque: posso salvare te stendendo a bastonate loro cinque, ma in quel caso si fanno male in cinque per salvare uno solo. E qui con il calcolo utilitaristico sono cazzi. Soprattutto per te.
Dunque la cosa migliore per ottenere la tua stima è quella di fare finta di niente e lasciarti pestare dagli energumeni. O al massimo avvicinarmi pacificamente al bullo e chiedergli: “Scusi, gentilmente, potrebbe considerare la possibilità di smettere di pestare il mio amico, se ciò non le arreca particolare disturbo?” “No. Io pesto” “Ci mancherebbe, mi scusi tanto, non volevo importunarla. Continui, continui”.
In questo caso tu apprezzeresti sicuramente il mio assoluto pacifismo.
Io penso che con il tuo tipo di pacifismo ci guadagna tantissimo il guerrafondaio.
“Io penso che con il tuo tipo di pacifismo ci guadagna tantissimo il guerrafondaio.”
Che è esattamente quel che sostiene Steve Best, il motivo per cui critica il Pacifismo inteso come non agire mai. E invece tra pacifismo e non violenza c’è una differenza enorme. Non violenza è rifiuto della violenza (nello specifico quella dei macellai ecc.), un opporsi ad essa, e se c’è bisogno, anche con la forza.
La legittima difesa è violenza? No, appunto. Concetto però ben diverso dal pacifismo oltranzista.
L’utlilitarismo, lo dice il termine stesso, tiene conto solo degli utili e già quando si parla di vite in termini di utili, l’etica va a farsi fottere.
Ciao Claudio, grazie per i tuoi interventi, sono, come sempre, di una lucidità incredibile. 🙂
Non mi sono mai preoccupato per l’eventuale disoccupazione di chi ad oggi guadagna da vivere con lo sfruttamento animale! Era solo un esempio per far capire che, facendo danni alle cose (bruciare pellicceria) si hanno SEMPRE danni a persone (gente disoccupata). Certo che questo sarebbe un passo indispensabile nella trasformazione di questa società in una più giusta in cui lo sfruttamento del prossimo sia azzerato, ed ovviamente non mi opporrei perché il vantaggio sarebbe di gran lunga maggiore dello svantaggio.
Per quanto riguarda il fatto che i macellai non sono coscienti della violenza che perpetuano, non sono uno psicologo e quindi potrei sbagliare, ma mi sembra che almeno la maggior parte siano persone che non avrebbero mai il coraggio di, che ne so, fare irruzione dentro un qualsiasi stabilimento, distruggere tutto, e se serve picchiare anche qualche guardia perché comunque si stanno liberando animali quindi vuoi mettere? (faccio riferimento alle azioni del cosiddetto attivismo animalista) Per questo dicevo che mi fido di più di uno che ammazza animali convinto che sia una cosa giusta, che uno che SA cosa fare e perché, e poi le mette effettivamente in pratica attraverso azioni violente.
L’esempio che mi fai (la gente che mi picchia e tu che devi decidere se salvarmi o no) non regge perché il calcolo utilitaristico che hai fatto è superficiale: se ci fossero 5 persone a picchiarmi, dovresti fermarle perché l’utilità marginale aumenta, dato che nessuno vorrebbe vivere in una società in cui 5 persone picchiano la gente a caso, in cui i diritti personali (in quel caso i miei) sono violati, e sopratutto perché il piacere che può arrivare a loro picchiandomi non è nemmeno paragonabile all’utilità che avrei io nel non essere picchiato (se ci fai caso è lo stesso argomento che usa ogni tanto chi, quasi scherzando, dice: “il mio piacere nel mangiare carne è superiore al loro dispiacere nell’essere uccisi”).
Poi ho notato un’incoerenza nel ragionamento che fate: prima si dice che bisogna attaccare laboratori, macelli, allevamenti di pellicce perché si fa un danno economico alle multinazionali, e quando però io ho fatto notare che si farebbe un danno economico anche attaccando dei posti “di secondo livello” dove lo sfruttamento economico degli animali continua a perpetuarsi, come ad esempio le macellerie, i supermercati, i negozi di vestiti, le farmaci che vendono medicine sperimentate su animali, allora in quel caso mi si dice che sono gli atteggiamenti violenti che vanno fermati, anche usando altra violenza. Non voglio accampare ipotesi non fondate, ma la prima cosa che ho pensato è che facendo questo ragionamento si mostra come si abbia in mente l’immagine dell’aguzzino malvagio che va fermato a tutti i costi, e la realtà non è questa…
Abbiamo appurato che per te l’attivista che sfascia un laboratorio è più violento del macellaio che sgozza il vitello.
La veglia del passivismo genera paradossi.
Quindi probabilmente ti fideresti di più di un serial killer ritardato che non è consapevole delle proprie azioni che di un alunno vivace che in piena coscienza buca le gomme della macchina dell’insegnante.
E nella tua riflessione centrale sostituisci i cinque energumeni con macellai/vivisettori e te con animale lasciando invariate tutte le proposizione e avrai la risposta (es. “Se ci fossero 5 vivisettori a torturare un animale, dovresti fermarli perché…” etc.).
Sdrammaturgo for president! E aggiungo che questa forma di “pacifismo” utile ai prepotenti dovremmo sceglierla a spese degli animali per i quali il dilemma di reagire con violenza o meno non si pone proprio, visto che loro soccombono comunque. Perciò non solo facciamo il gioco dei più forti, in una sorta di complicità data dall’obbligo di rispettare leggi pur profondamente ingiuste, ma lo facciamo anche a spese di altri! Allora, Matteo, coerenza sarebbe andare in un laboratorio e immolarsi al posto delle cavie: da quella posizione solo si può predicare la non violenza passiva.
Una volta Tom Regan ha detto: “noi apriamo le gabbie, ma poi non ci sottraiamo alle conseguenze del nostro gesto, quando arriva la polzia, dentro le gabbie facciamo trovare noi stessi”.
Ecco, si può discutere anche della liberazione alla luce del giorno (ma preoccupandosi ovviamente di mettere in salvo e al sicuro gli animali), come hanno fatto a Green Hill. Se lo facessimo in mille, ci denuncerebbero tutti e mille?
Se tutti andassimo ad occupare i laboratori? Mica è violenza questa.
Allora va bene occupare le università, le fabbriche, e perché no anche i laboratori? Questa è azione non violenta. Occupiamo le strade. Questo è attivismo non violento, no?
Per dire, tante possono essere le stretegie, le più diversificate, contestualizzate, ecco. L’importante è non appoggiare l’oppressore rimanendo passivi.
Per attività dico anche lo scrivere. Ognuno come può. A me sembra sempre di fare troppo poco, ma ognuno poi deciderà cosa fare in base alle sue capacità. Ovvio che alla persona anziana non si chiederà di andare ad occupare le strade. 🙂
Hai proprio ragione Rita, e infatti io per questo credo che a Green Hill sia successo qualcosa di davvero importante, di più avanzato rispetto alle liberazioni anonime dell’Alf e anche ai riscatti aperti dei militanti di Animal Equality, che commettono un’azione illegale a viso scoperto, ma pur sempre in segreto. Quelle persone che abbiamo visto scavalcare le recinzioni alla luce del sole, e di fronte alla polizia, in tutta l’ingenuità dell’azione hanno fatto cadere l’ultimo tabù: non è chi dà la libertà che deve nascondersi. Se si diffondesse come modus operandi, quello delle liberazioni di massa a sorpresa, magari filmate e divulgate, allora sì che cominceremmo a costituire un problema grosso per il sistema. Certo non si riuscirebbe sempre a tirare fuori gli animali, certo ci sarebbe repressione, ma non potrebbero arrestarci tutti né accusarci di una violenza che non c’è, e allo stesso tempo non potrebbero più agire indisturbati.
@ Mattia
Cerchi per un attimo di ragionare con la tua sola testa abbandonando i dogmi dell’uitilitarismo? Ma perché ti sei convinto che l’utilitarismo sia giusto? E’ stato superato e criticato da un pezzo.
Leggiti i Diritti animali di Regan e vedrai come vengano smontati ogni volta i ragionamenti condotti a sostenere le tesi utilitaristiche di Singer.
Comunque sia, come fai a sostenere che il macellaio (che maneggia coltelli da mane a sera e sta immerso nel sangue fin quasi ad affogarci) non pratichi violenza e non ne sia consapevole? Lo è, solo che si giustifica dicendosi che è necessaria, che l’uomo è al vertice della catena alimentare e che la carne si è sempre mangiata e che la natura è crudele e via con questi luoghi comuni che sono proprio molto molto elementari e smontabili in due secondi. Ma lui ci guadagna con la carne, non potrà mai ammettere che quel che sta facendo sia sbagliato. Nè si augura che un giorno diventeremo tutti veg.
Quel che non capisce semmai, è che aprendo le gabbie, eliminando lo sfruttamento degli animali, solo apparentemente ci perderebbe, in realtà converebbe pure a lui perché entrerebbe a far parte di una società più giusta, in cui nessuno potrà un giorno definirlo “cane lurido” e prenderlo a calci solo perché ha la pelle di un colore diverso, o è gay o non rientra in determinati standard che fanno comodo al potere e alla normalizzazione che propaganda per determinati fini economici e politici. Finché gli animali saranno considerati esseri inferiori – e vengono considerati così perché sono sfruttati – ci sarà anche sempre qualcuno che assimilando alcuni umani agli animali troverà legititmo sfruttare anch’essi.
Per realizzare una società senza oppressi, i macellai se ne devono andare su, devono cambiare lavoro (dico i macellai, come tutte le categorie che speculano sulla vita, sia dell’animale umano che non umano).
Non c’è incoerenza nel nostro ragionamento. Quella le vedi tu perché ti dispiaci del fatto che arrecando danni a determinate strutture poi si arrechi danno anche a persone. Va bene che lo sfruttamento del prossimo debba essere azzerato, ma se per arrivarci si dovrà sacrificare il benessere economico di chi specula sulla vita di miliardi di animali, e pazienza, mica si può pensare ad una rivoluzione economica e socilae di questo tipo senza che qualcuno ci perda. Quel qualcuno che ci perde è chi è implicato oggi nella sofferenza degli animali. Ma, vorrei chiarire una cosa importante: la perdita sarebbe apparente, in realtà, come spiegato sopra, ci guadagneremmo tutti una società migliore, un vero progresso inclusivo di tutti i viventi del pianeta. Un po’ come quando diventu veg e pensi che sia una rinuncia, in realtà è una conquista. La conquista di non far più parte di un sistema di sfruttamento violento.
Poi, guarda, anche a voler fare ‘sto benedetto calcolo utilitaristico (mi domando se tu giri sempre con una calcolatrice in tasca :-D), comunque sia hai una pur vaga e sommaria idea di a quanto ammonti il numero degli animali uccisi ogni giorno? E all’anno? Capisci che dunque per evitare tutto questo massacro e sfruttamento del vivente, val bene far saltare qualche posto di lavoro, rompere qualche finestra, infastidire qualche moralista benpensante rispettoso della legge, pure se la legge è ingiusta.
Ricordiamo che anche Rosa Parks, come ha aggiunto Giovanna, ha violato la legge, ai suoi tempi.
P.S.: sempre per Mattia
Ma poi dai, che il macellaio che sgozza il maiale sia preferibile all’attivista che irrompe nei laboratori per liberare gli animali, nun se pò sentì, come dicono a Roma.
Hai visto il video della liberazione di Britches (un video che risale agli anni ottanta)?
Tu dimmi se quella scimmietta secondo te avrebbe preferito finire nelle braccia di un macellaio anziché in quella di un attivista ALF. Poi ripeto, attenzione ad usare il termine ALF, il movimento e la loro filosofia non è verticistico e non ha dogmi.
Non tutti sfasciano laboratori o incendiano fabbriche e se lo fanno è miratamente e senza violenza contro esseri viventi.
Tu mi puoi dire che una cosa così grossa come sfasciare un laboratorio non la giustifichi, non te la senti di farla, nemmeno per salvare cento topi o congili o scimmiette. OK. Legittimo che tu abbia le tue perplessità, che non voglia mettere a repentaglio la tua esistenza, preoccuparti delle conseguenze ecc., ma non mi dire che sperimentare su animali (hai una pur vaga idea di quanti tipi di esperimenti si facciano? Alcuni sono davvero infernali), sgozzare maiali, ingozzare le oche per il fois gras, bollire aragoste vive, pungolare elefanti con fruste elettriche per fargli eseguire numeri, separare vitellini appena nati dalla madre, randellare le foche, spellare i pesci vivi, tritare i pulcini e così via sia meglio e preferibile allo spaccare una finestra per salvare almeno qualche vita.
Così diventi accondiscendente verso l’oppressore. Assumi questo pacifismo oltranzista come un dogma religioso.
Problema contrario, il movimento di difesa degli animali nel suo complesso è politicamente ingenuo, single-oriented, e privo di una teoria capitalista anti-sistemica e la politica necessaria per la vera illuminazione e l’eliminazione di sfruttamento degli animali, settori in cui può un grande profitto, da discussioni con il a sinistra e progressiva dei movimenti sociali.Inoltre, gli ambientalisti non possono mai raggiungere i loro obiettivi senza affrontare la causa principale del riscaldamento globale – allevamento industriale – e di cogliere l’inquinamento delle acque, la distruzione della foresta pluviale, la desertificazione, esaurimento delle risorse e di altri problemi principali sono di forma prevalentemente o significativamente dalla produzione globale di carne e lo sfruttamento degli animali. Rivendichiamo la necessità di una visione più ampia e la politica da tutte le parti dell’equazione dell liberazione umana / animale / della Terra, e chiediamo di nuove forme di dialogo, di apprendimento, e le alleanze strategiche.