Di grandi misantropie, e misantropie molto piccole

di Serena Contardi

C’è, nelle grandi misantropie, lasciando indeciso se l’eccesso di amore sia la chiave della misantropia, una zoofilia costante, drammatica e compensativa.
(Guido Ceronetti)

Nella galleria dei poeti e dei filosofi del passato che bestemmiarono la nostra specie con un cinismo feroce e bilioso («Talvolta si vorrebbe essere cannibali, non tanto per il piacere di divorare il tale o il talaltro, quanto per quello di vomitarlo» scrive l’amato Cioran ne L’inconveniente di essere nati) si trovano senz’altro alcune fra le sensibilità che abbiamo apprezzato di più, e che riesce piuttosto difficile non ascrivere alla categoria di coloro che, «per mancanza di oggetti adatti», non seppero dare altra espressione al loro amore che non fosse l’«odio per gli inetti a riceverlo» (Adorno). Kant, in una celebre pagina della Kritik der Urteilskraft, tenta addirittura un’apologia di questo genere di misantropia, «detta così molto impropriamente», delineandola come uno stato d’animo filantropico che, per effetto di «una lunga e triste esperienza», porta a ritrarsi dagli uomini, perché «tale è l’ardente desiderio che abbiamo di vederli migliori, che per non odiarli, perché amarli non si può, pare un piccolo sacrificio la rinunzia a tutti i piaceri sociali». Giudizi tanto severi e intransigenti sarebbero dunque una forma molto peculiare di legame col mondo, la più sentita e insieme sofferta: quella della polemica.
Chissà cosa direbbe, Kant, dei sempre più numerosi misantropi odierni – pare infatti che odiare l’umanità faccia molto tendenza, di questi tempi. Li riterrebbe incapaci di vero odio, probabilmente, accorpandoli alla folta e ridicola schiera degli antropofobi: i quali gli uomini li rifuggono e li considerano nemici, senza tuttavia aver compiuto lo sforzo, devastante nei grandi misantropi, di conoscerli. E come potrebbero conoscere gli uomini, non conoscendo neppure gli animali, che pure affermano di amare tanto e più dei loro stessi simili, animali anch’essi? Caratteristica costante delle descrizioni della Natura di codesta sottospecie di misantropia è infatti, nonostante si pretendano atee, riproporre surrettiziamente il modello della Caduta: in seno ad un’animalità innocente e benigna si produrrebbe, per una sorta di fatale incidente di percorso, l’essere umano, virus e cancrena dell’intero Cosmo. È da notare che chi sostiene questa tesi contemporaneamente si batte per la liberazione animale e della Terra affermando che gli animali sono proprio come noi sotto diversi e molteplici punti di vista: essi soffrono, provano piacere ed emozioni, ci rispondono e persino amano. E allora com’è possibile, una volta che si è accettato questo indiscutibile assunto darwiniano, pensarli come sempre assolutamente immacolati e incapaci di una violenza non legata alla fame e alla pura necessità della predazione? La fumosa visione religiosa – l’Eden non esiste che nella Genesi – si tinge improvvisamente di cartesianesimo, ma solo per quanto riguarda gli aspetti, per così dire, più scomodi che la teoria evolutiva mette in luce. Quanta più onestà, a questo punto, nell’incontenibile odio di Cioran verso i primati! «Tutte queste bestie hanno un contegno decente, all’infuori delle scimmie. Si sente che l’uomo non è lontano»: se differiamo dagli altri animali per grado e non per genere, come Darwin insegna, ciò deve necessariamente riguardarli anche in quello che chiamiamo, sempre ricorrendo ad un lessico moraleggiante se non religioso, male.
Geniale poi, in termini di mero calcolo utilitaristico, la soluzione che questi pretesi misantropi prospettano e auspicano per le future sorti di Gaia: l’auto-estinzione. Raggiungibile non figliando. Ovvero gli unici soggetti che paiono preoccuparsi della sopravvivenza e del benessere delle altre specie, i quali non riescono a convincere la stragrande maggioranza della popolazione mondiale a rinunciare alla fettina, credono verranno ascoltati, se propongono di scomparire – ma cosa vuoi che sia. Un ottimo modo per trascinare con sé gli esistenti non umani che ci si prefiggeva di proteggere: estinguere il seme appena germogliato – e davvero solo quello, ché nessuno presta orecchio ai deliri di questi pazzi – di un pensiero finalmente non specista e non atropocentrico, o almeno non così esageratamente specista e non così esageratamente antropocentrico.
La mia impressione è che di odio – un sentimento che richiede un certo slancio – ce ne sia davvero poco: rimangono frustrazione e stanchezza, e una dilagante stupidità. Non tutti nascono Cioran… Nel caso fremiate dal desiderio di dar voce alla vostra titanica personalità, sola e incompresa nel mare magnum dell’irrecuperabile malvagità umana, fate come me, che annoto i miei strazianti lamenti di dolore su un diarietto Smemoranda che posseggo dall’età di 14 anni. Specialmente quando contengono sparate colossali palesemente in contrasto con l’antispecismo, presto impiegate dai tanti detrattori per dipingerci come fanatici e borderline, e rimandare sempre di nuovo una discussione all’altezza dell’immane rimozione della tragedia animale: quella sì, una cosa grave e seria.

Comments
6 Responses to “Di grandi misantropie, e misantropie molto piccole”
  1. feminoska ha detto:

    Forse un pò OT però… io non mi definirei estinzionista tout-court, però sicuramente il problema se figliare o meno in un mondo sovrappopolato me lo pongo… e di sicuro non penso, come nel ‘colpisci dove più nuoce’ di kaczynski, che figliare sia un dovere o un mezzo per chi vuole nuocere al sistema per produrre piccoli cloni di se stess* funzionali alla creazione di un’armata di piccoli sovversivi…

    • Serena ha detto:

      Ciao Feminoska,
      non ho mai detto né implicitamente inteso nulla del genere. Non esiste nessun dovere né suggerisco sia opportuno figliare, per carità: la sovrappopolazione è un problema e bello grosso. Mi limito a mettere in luce o almeno a tentare di mettere in luce che la strategia adottata dal VHEMT (e sostenuta da moltissimi animalisti) per ripristinare l’equilibrio del Pianeta fa acqua da tutte le parti. Come ho già scritto altrove (c’è una discussione qui: http://delmangiarfiori.wordpress.com/2012/10/03/di-grandi-misantropie-e-misantropie-molto-piccole/#more-2770), credere che che l’umanità possa estinguersi con un atto volontario supererogatorio e lavorare in questo senso secondo me è delirio puro. Quand’anche fosse la più saggia delle decisioni, coinvolgerebbe solo pochi individui di poche generazioni che, togliendo se stessi, toglierebbero anche la loro idea. A meno che uno non sia interessato a modellare la propria vita su un ideale astratto, accontentandosi delle sole intenzioni, è proprio un suicidio dal punto di vista tattico, ma una roba da kamikaze. Non dico: fate figli! Rabbrividisco al solo pensiero mi si possa attribuire un’idea del genere. Dico piuttosto: esortare a chiudere tube e operare vasectomie, forse, non è la via.

  2. feminoska ha detto:

    Ciao, non volevo attribuirti questo pensiero, e anche io mi sono spiegata molto poco, considerato che l’impulso a commentare in questo modo viene da più lontano (nel tempo e nei ragionamenti). Penso che le persone dovrebbero rendersi conto di quanto l’atto di riprodursi sia anche un atto politico (i governi questo lo sanno da mò), e considerarlo perciò non solo nelle sue valenze squisitamente egoistiche, ma anche a fronte di un mondo sovrappopolato (dove paradossalmente, siamo troppi ma anche molto soli dato che il modello di famiglia nucleare ha sostituito un modello di comunità dai confini più fluidi e dalla solidarietà più spiccata) e della riproduzione acritica di certi stereotipi. Da questo punto di vista gli estinzionisti, sebbene utopisti fino al midollo, mi stanno molto più simpatici di altre categorie (non tutt* sono misantrop*, anzi… e comunque anche gli animalisti/antispecisti sono una minoranza :-)). Inoltre non credo assolutamente che la trasmissione delle idee possa essere efficace solo tra membri dello stesso clan familiare, altrimenti io non sarei quella che sono (non riesco a immaginare persone più diverse da me e i miei ideali dei miei parenti/genitori). Non so se esortare a chiudere tube e operare vasectomie sia una soluzione per qualcun*, è una opzione e io conosco persone che lo hanno fatto e non se ne pentono… altre usano metodi anticoncezionali meno apparentemente estremi e irreversibili perseguendo lo stesso ragionamento, e rimettono in discussione nel proprio quotidiano/vissuto le consuete categorie di famiglia, che in ogni caso, vanno ormai un pò strette per tantissime persone. forse però non sono il tipo di persone alle quali ti riferisci nell’articolo, volevo solo intendere che non tutt* gli estinzionist* sono misantrop* inacidit*! In ogni caso vado a spulciare la discussione che mi hai linkato, e ti ringrazio della segnalazione!

    • Serena ha detto:

      Ma di che, grazie a te per essere passata e per avermi lasciato i link che ora mi guarderò. No, non penso proprio fossero le persone alle quali mi rivolgevo nell’articolo, quelle di cui parli tu, anche se c’è qualcosa nell’estinzionimo che giudico assurdo, e mi viene proprio da avversare: ma in effetti leggo anche tu li ritieni utopisti sino al midollo. Utopia per utopia, meglio una in cui ci saremo 😀 Neppure io credo assolutamente la trasmissione di idee avvenga con efficacia soltanto all’interno di un determinato nucleo familiare (Uno fra i libri preferiti di mia madre è “Non è colpa dei genitori” di Judith Rich…), però vedo ad esempio che i bambini con genitori vegan vengono lasciati liberi di coltivare un certo rapporto con gli animali e l’ambiente che negli altri non è assolutamente incoraggiato: anzi. Non ci vedo una violenza, come potrebbe essere l’imposizione, che so, di una determinata religione, e mi risulta difficile credere se ne allontaneranno con forza, una volta adulti.
      A presto!

  3. derridiilgambo ha detto:

    Nella misantropia di Cioran, come in parte in quella del primo Céline, c’era una straziata e straziante pietà per gli umani, in balia di una ottundente potenza che li danna alla meschinità e alla ripetizione dell’errore e del male. In Cioran c’è un odio verso di sé che, paradossalmente, riesce a far spazio all’altro in una pietà segretamente incondizionata. Questo significa possibilità di provare pietà per il pio cristiano che non vede il male che di continuo semina come per il più abietto dei delinquenti. In questo senso in Cioran c’è qualcosa che, (di nuovo:) paradossalmente, arriva a convertirsi in compassione universale (amore, forse?). Céline, ne La mort à credit, sembra ossessionato dall’umanità dei più cialtroni, dei più insalvabili (lo scienziato delle patate, il bambino oligofrenico che ingoia le posate, e come dimenticare il cane rognoso che lo insegue per le prime pagine del romanzo, da cui fugge per eccesso di empatia). In Nietzsche la generale misantropia ruota attorno al perno della dilezione (“amare tutti equivale a non amare nessuno” dice da qualche parte). In Baudelaire c’è almeno complicità (io lettore sono come te), e insieme resistenza a un Bene che l’Angelo vorrebbe imporre a sberle. In Sade nessuna pietà, né partecipazione, né complicità, ma almeno lotta contro la Legge del Padre (come scrive Klossovski): il Male contro il Dominio. Smascheramento della “perversità della morale kantiana” (Adorno).

    Provo pietà per gli antropofobi, perché anche loro sono dei dannati, dall’alleanza dell’odio con le convenzioni, delle frustrazioni con la superficialità a cui non hanno mai avuto una chance di sfuggire. Dannati dalle chiacchiere al bar e dai cori unanimi da cui non possono allontanarsi, pena il panico di svanire

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