La bomba e il cerino. Per chi vede le immagini e salta il testo

di Antonio Volpe

bomba_atomica-hiroshima«Va bene che non vado a mettere le bombe
va bene che non sputo sulle vostre tombe»

(Assalti Frontali, Banditi)

A seguito del mio articolo sulla liberazione delle cavie di Farmacologia, sono state pubblicate, su una pagina Facebook di attivisti pro-SA, due immagini di incendi dolosi per dimostrare che ciò che sostengo in tale articolo («in Italia non si mettono le bombe») sarebbe falso.

Parliamo prima delle immagini: la prima ritrae l’incendio di una azienda casearia. La seconda gli effetti di un incendio in un laboratorio universitario, senza altre precisazioni, se non la data del fatto.

La prima immagine si riferisce all’incendio doloso di un’azienda casearia di Montelupo Fiorentino del 31 dicembre del 2012, per il quale è stata arrestata, nella prima settimana dello scorso gennaio, una persona, mentre due complici sarebbero fuggiti all’estero prima della cattura.

I tre sono anche accusati anche del sabotaggio degli impianti di un salumificio di Monteriggioni, dell’incendio di un camion di un’autorimessa di un’azienda che lavora gli scarti della macellazione a Rignano, e di quello di un camion dei macelli comunali di San Giovanni Valdarno.

Il capo di imputazione è per tutti quello di concorso in incendio doloso, aggravato dalla finalità di terrorismo.

Sebbene fino ad ora, che io sappia, non sia ancora stata emessa alcuna sentenza, i cellulari dei tre sarebbero stati agganciati alle celle telefoniche nei pressi delle ditte colpite nell’orario degli attentati.

La seconda immagine si dovrebbe invece riferire all’incendio di un capannone di Ozzano Emilia, dove si trovano alcuni laboratori del Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna. Per questo incendio non è stato spiccato alcun capo d’imputazione e l’unica rivendicazione di cui si trova traccia è un anonimo comunicato in rete di non facile reperibilità, dove non compare la sigla di alcuna organizzazione. D’altra parte le forze dell’ordine, nei giorni seguenti all’incendio, non si sono astenute dal dichiarare che la pista principale riguarderebbe la galassia animalista.

Nei commenti di utenti Facebook sotto alle immagini si ricorda anche dell’incendio della voliera dei rapaci del parco naturale di Cumiana, nel torinese. I rapaci, al contrario di quanto si è sostenuto inizialmente, non sono morti nel rogo, ma sono stati liberati – non nel parco, ma: portati via – prima dell’incendio. Il caso, nonostante una frase lasciata sul luogo del fatto («Questo è per gli animali imprigionati») – che dalle notizie dei media non è chiaro se sia stata accompagnata dalla firma ALF – è stato archiviato. Qualche utente Facebook un po’ arrabbiato, fra quelli che mi accusano di essere male informato, ha confuso gli incendiari di Cumiana con i tre responsabili dei vari sabotaggi di cui sopra. Ma consideriamolo colore.

D’altra parte c’è chi sostiene, compreso il falconiere del parco, che i rapaci siano sicuramente morti, perché se anche liberati altrove dal Bioparco di Cumiana, non sarebbero stati in grado, essendo nati in cattività, di procacciarsi cibo. A parte il paradosso per cui le responsabilità di questo cortocircuto vengono spostate dai liberatori a chi li ha fatti crescere in gabbia, si ignora il fatto che in genere chi compie le liberazioni sia appoggia a reti di santuaries, attivisti che adottano gli animali, e anche a veterinari che potremmo chiamare “dissidenti”. Ci sono stati casi di liberazione di animali liberati e rilasciati in natura – come in un caso di qualche tempo fa di liberazione di visoni – ma, in genere, le cose non funzionano così. Tanto più che fra le linee guida dell’ALF, che non è un’organizzazione o un movimento organizzato, ma una movimento molecolare la cui sigla che può essere usata da chiunque compia azioni di liberazione – secondo la logica libertaria e antiverticistica in cui si riconoscevano i primi attivisti che compivano tali azioni – c’è il divieto di nuocere a qualsiasi senziente, non umano o umano (lo slogan dell’ALF è «Animal liberation. Human liberation»). Le azioni compiute fuori dalle linee guida di tale tradizione quarantennale (in particolare quella citata) non doverebbero essere legittimate dagli attivisti come azioni di liberazione. O quantomeno non riconosciute come azioni ALF, e considerato illegittimo l’uso della sigla.

Veniamo ora alla contestazione del passo incriminato del mio articolo. Il passo recita:

A differenza che negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, gli attivisti italiani non hanno mai avuto la sciagurata idea di usare le armi contro laboratori e macelli, né tantomeno contro le persone – in particolare ricercatori. Si tratta piuttosto, a conti fatti, di ottenere dal discorso diffuso e ormai confuso sul terrorismo il massimo possibile di criminalizzazione dell’attivismo in Italia.

Ora, mi chiedo: dove sono le armi che sarebbero state usate in tutte le azioni citate sopra? Se si conosce un po’ la storia – del movimento animalista che si ha di mira, ma potremmo dire la storia in generale – si saprebbe che il riferimento agli States e alla Gran Bretagna non è casuale. Quando parlo di bombe (armi) non parlo di cerini e benzina, ma di plastico. Negli States e in Gran Bretagna, da trent’anni, attivisti animalisti, utilizzando la sigla ALF, hanno colpito aziende, ma soprattutto ricercatori e umani coinvolti nello sfruttamento animale – e non solo – con bombe al plastico, collocate strategicamente o spedite per posta. Fece grande clamore il caso della lettera bomba inviata nel 1982 addirittura a Margaret Thatcher. I feriti di questa lunga scia di attentati sono numerosi. Ad essi vanno aggiunti le vittime degli attentati compiuto da Animal Militia, che rivendica apertamente l’uso della violenza. Gli attivisti dell’ALF che si mantengono alle linee guida del movimento si sono sempre dissociati dagli atti di violenza contro le persone, condannandole come False flags operations. Ovvero come azioni intollerabili compiute illecitamente sotto la sigla ALF.

Non conoscendo ciò di cui parlano, o fingendo di non conoscere, coloro che contestano le mie affermazioni, mistificandole, non si rendono conto della differenza fra il vivere in un paese in cui le azioni degli attivisti antispecisti sono basate su criteri di nonviolenza, e quelle degli animalisti in generale orientate per lo più in questa direzione – ho già scritto che considero le contestazioni animaliste a Ignazio Marino di un paio di settimane fa, oltre che stupide, squadriste e fascistoidi, ma certo passa un baratro fra questi fatti e inviare plastico per posta o collocare bombe nelle automobili – e il vivere sotto la minaccia della violenza fisica diretta mantenuta viva dalla possibilità costante di saltare in aria. O non si rendono conto, oppure mistificano consapevolmente la differenza cercando di schiacciare atti nonviolenti o dalla violenza limitata sui gesti di bombaroli e assassini. Stabilendo un’equivalenza strampalata, facendo di tutta l’erba un fascio, allo scopo, di nuovo, di criminalizzare – ma qui si può tranquillamente dire terroristizzare, perché di terrorismo si parla apertamente – l’attivismo in Italia.

Si faranno almeno tre obiezioni a questo discorso.

La prima è che l’aggravante d’imputazione per gli incendiari di cui sopra è proprio quella di finalità terroristica. Ma, di nuovo, codice alla mano, qui siamo davanti ad un’estensione indebita della fattispecie di reato, che in Italia fa riferimento all’eversione dell’ordine democratico. Per introdurre questa aggravante si deve fare appello ad un’eccezionalità a cui apre l’inclusione – affatto discutibile – dell’ALF nella lista delle organizzazioni terroristiche stilata dall’Unione Europea, attraverso un’interpretazione interessata e distorsiva del cosiddetto pacchetto sicurezza Pisanu. Come dicevo nel mio articolo.

Che il discorso sul terrorismo non sia arrivato a modificare la legislazione o i principi dell’ordinamento di tutti i paesi del mondo, non significa che tale discorso non si sia mondializzato, a traino dell’11 settembre e degli attentati in Spagna e Gran Bretagna che ne sono seguiti, aprendo fenditure di eccezione in ambito giuridico e nelle prassi processuali.

Ecco fatto. Già fatto, bisognerebbe dire. Se qualcuno avesse manomesso, danneggiato, incendiato, capannoni e strumenti di aziende dello sfruttamento animale con lo scopo, chessò, di fregare concorrenti di mercato, l’aggravante sarebbe stata l’indimidazione, non il terrorismo. Ma il discorso terroristizzante diffuso e mondializzato, permette ormai di fendere il nostro codice per ottenere il massimo effetto repressivo dell’opposizione all’ordine simbolico e materiale in cui siamo installati. È potenzialmente terrorista un black bloc che distrugge, in un gesto simbolico, un bancomat, senza sparare ai poliziotti – benché nessuno degli arrestati fra manifestanti di Genova 2001 sia stato accusato di reati terroristici, ma solo di devastazione e saccheggio: gli attivisti che distruggono capannoni e aziende mettono più a rischio l’ordine democratico dello Stato, evidentemente; ma si era prima dell’11 settembre. È sul limite del terrorismo chi danneggia i macchinari della Fiat per contestare la politica aziendale con un metodo, anch’esso per lo più simbolicamente finalizzato, che la tradizione sindacale conosce bene, benché l’abbia abbandonata in cambio della legittimazione da parte del potere, e trasformarsi in un apparato para-statale: il sabotaggio.

Tutti sul limite, pronti a scivolare nell’aggravante della finalità terroristica. Ma i primi ad essere colpiti, messi su un piano adiacente ai terroristi islamici, si noti di nuovo, sono gli animalisti. Se questo non è l’effetto di un’americanizzazione del diritto, pure in assenza di bombe al plastico, qualcuno ha seri problemi di vista.

La seconda obiezione immagino sarà: che differenza c’è fra un cerino e una tanica di benzina e una bomba al plastico, se si possono ottenere gli stessi effetti? Intanto una differenza è negli effetti. Dare fuoco a un capannone non è come farlo saltare in aria, per chi fosse tanto sfortunato da passarci di fianco. Un incendio non è una esplosione. Ma soprattutto chi utilizza cerini e benzina non è organizzato militarmente come chi usa il plastico. Chi mette bombe vere si è inserito in una rete che gli permette di procurarsi l’esplosivo e di imparare ad usarlo. È un salto qualitativo il suo, in direzione della militarizzazione della militanza. Non siamo di fronte allo stesso fenomeno. È assurdo comprimere un’esplosione di plastico e un incendio nella fattispecie di reato che chiamiamo terrorismo. Se durante una perquisizione salta fuori una tanica di benzina, questo sarà ben diverso del rinvenimento di bombe al plastico e kalashnikov. Se negli scontri di piazza degli anni ’70 si fossero lanciate granate e razzi invece che bombe molotov racconteremmo un’altra storia.

Se poi dalla parola armi si vuole cavare a tutti i costi la pertinenza dell’arma impropria, ci avviamo sullo stesso crinale della massimizzazione del crimine. Se cerini e benzina diventano armi, allora perché non un piede di porco, una mazza, una cesoia per penetrare in un allevamento o un laboratorio per liberare animali? Anch’essi creano danni, soprattutto permettono il danneggiamento economico delle aziende e dei laboratori. Ma allora perché non le manette, arma passiva che permette di incatenarsi a uno stabulario con lo scopo finale di liberare cavie e mescolare gli animali su cui si operano esperimenti diversi, vanificandoli?

D’altra parte i liberatori di Farmacologia di Milano sono stati già definiti teppisti, vandali, devastatori, e, ovviamente, terroristi.

L’ordine simbolico che organizza le nostre credenze, i nostri modi di pensare, i nostri discorsi, non viene meno durante l’apparentemente neutra fase inquisitoria di un processo e durante il suo svolgimento. Nessun pubblico ministero, nessun giudice è esente da questa collocazione, come se mettendo la toga potesse deporla. Neppure, le dinamiche processuali che portano al giudizio sono refrattarie a un processo interpretativo, ermeneutico, che significa fatti, prove e norme e li connette in modo diverso dalla logica formale. Ma questa complessa dinamica della produzione del giudizio, e prima, del capo d’accusa, non poggia sul nulla, o sulla volontà dei singoli. In esso gioca pesantemente il reticolo dell’ordine simbolico vigente, che eccede la mera normatività. Qui s’incuneano le credenze, le macchine di pensiero, i fasci di enunciati dei saperi-poteri che articolano l’ordine simbolico che struttura ciò che chiamiamo società, le sue regole e i suoi rapporti interni a livello morale, pre-morale, politico e pre-politico, e comunque extragiuridico.

Se l’americanizzazione della nozione di terrorismo è già penetrata così a fondo nella sfera giudiziaria da permettere di aggravare il reato di incendio doloso con la finalità terroristica, è lecito sospettare che si sia ancora ad un preludio del dispiegamento di uno spazio di eccezione nella prassi inquisitoria e processuale. Uno spazio in cui fra la bomba al plastico e le manette per incatenarsi il passo diventa breve. Mi permetto di citare un altro passaggio, forse poco compreso, del mio articolo:

[…] alla faccia delle discussioni sulla sua definizione, [terrorismo] è ormai un feticcio che definisce uno spazio para-giuridico che si colloca ai bordi intrecciati del diritto penale e militare, e ai bordi del discorso propriamente giuridico e di quello militare intrecciati a loro volta con quelli del discorso medico, morale, politico e teologico, eccedendo ognuno di questi e le loro regole e dispositivi di funzionamento. Rispetto a questi ambiti, il discorso sul e del terrorismo (è una categoria liminare a dettare qui i discorsi e a farli funzionare) mette in scacco tutti gli altri discorsi sussumendoli allo stesso tempo. Per cui ogni discorso che abbia come oggetto la categoria “terrorismo”, e si articoli secondo i suoi dispositivi, può, per così dire, rapinare tutti quegli ambiti di discorso senza dover rendere conto delle e alle regole di funzionamento interne di quei discorsi specifici e distinti. È così che il terrorista non sarà mai propriamente un criminale o un prigioniero di guerra, o un nemico interno, o un cittadino colpevole di reati specifici, o un folle, o un “malvagio”, ma tutte queste cose insieme senza che chi enuncia il discorso che lo riguarda debba obbedire e rendere conto al diritto internazionale, al diritto penale della nazione di cui il terrorista è cittadino o “ospite”, e neanche al diritto di guerra così com’è articolato nella giurisprudenza militare interna a una giurisdizione di competenza. Né, chi pronuncia tale discorso, deve mantenersi alle categorie psichiatriche così come sono fissate nei manuali e nei trattati medici, alle regole e ai termini negoziati nei dibattiti etici fra filosofi, o alle regole e termini che filosofi e teologi negoziano per parlare del “male” metafisico, della “malvagità” e della “colpa” in senso extragiuridico, ecc… Potendo, del terrorista, dire di tutto, senza vincolarsi ad alcuna regolazione (giuridica, scientifica, filosofica), si apre la possibilità di fare, al terrorista, di tutto. Benché il reato di terrorismo, negli Stati Uniti, sia definito dall’ordinamento come “l’uso illecito della forza e della violenza contro persone o beni, al fine di intimidire od influenzare i governi o la popolazione civile”, restando vago sui fini di tale uso della violenza, e facendo diretto riferimento alla proprietà, la categoria è ormai tracimata dai suoi argini, trascinata dalla potenza di un discorso che si è fatto autonomo dai suoi ambiti di riferimento. Insomma, non basta quella definizione per innestarvi reati di ogni genere, tanto più che, appunto, siamo ormai su un punto liminare del diritto, se non su un piano completamente diverso.

Infine, mi si dirà, con armi proprie o improprie, le proprietà sono state danneggiate. Certo. Ma di nuovo: il danneggiamento c’è anche durante una liberazione “convenzionale” o una improntata alla disobbedienza civile. Il punto è: in tutti questi casi non sono state usate armi. Per di più la sigla ALF, può essere usata da chiunque. Questo è il rovescio della medaglia di una concezione libertaria spinta del movimentismo. Certo fra le linee guida dell’ALF c’è anche la massimizzazione del danno per le aziende da cui si liberano animali. Ma si parla di un danno generato dalla liberazione. Insomma, è francamente dubbia le liceità dell’uso della sigla ALF nella rivendicazione di un semplice danneggiamento. Si potrebbe mettere in dubbio anche la liceità dell’appartenenza al movimento animalista di chi incendia capannoni di aziende. Si potrebbe anche far notare che i tre incendiari di cui sopra sono personaggi dell’estrema destra, quindi per definizione, quantomeno estranei all’antispecismo in senso proprio. E come tutti i destrorsi allevati nel culto dell’eroismo individuale, e anche triviale. Ma questa è materia complessa, oggetto di dibattito come è giusto che sia.

D’altra parte l’esempio che faccio nel mio articolo degli indiani adivasi, che, fedeli ai precetti della gandhiana che vieta il danneggiamento della proprietà privata del singolo insieme al danno inferto ad esseri senzienti, gettano i computer delle multinazionali dalle finestre, è un esempio di lotta nonviolenta. Qualcuno ha obiettato che gli adivasi indiani sono direttamente minacciate dalle multinazionali che costruiscono dighe: beh, è un’obiezione che non capisco. Liberare, o porre le condizioni per la liberazione di esseri senzienti destinati alla sofferenza e alla morte sarebbe meno lecito che difendere la terra che si abita dalla distruzione? Certo in una visione specista, in cui gli animali non umani sono degli umani mancati sempre soggetti a diventare proprietà degli umani, l’obiezione ha senso. Come in un regime schiavistico dove esseri umani siano proprietà di altri esseri umani. Anche gli schiavi erano umani mancati, razze inferiori e selvaggi, e già, secondo Aristotele, strumenti animati la cui condizione di proprietà avrebbe giovato ad essi stessi, incapaci di ragionare e deliberare come lo erano i padroni. Strumenti per strumenti. Una concezione non dissimile da quella coloniale moderna. E che si applica perfettamente oggi agli animali non umani, non razionali e incapaci di esprimere o negare consenso. Per natura, come gli schiavi in Aristotele, proprietà altrui.

Ed è proprio sul concetto di proprietà che dobbiamo ragionare, se vogliamo capire perché chi colpisce persone e chi colpisce proprietà dovrebbe essere posto sullo stesso piano, come terrorista. Questa, abbiamo già detto, è una concezione americana del terrorismo, poi confusa nel discorso terroristizzante globale che si è impennato dopo l’11 settembre. Perché importare quella concezione in Europa e in Italia? Perché è il capitalismo americano stesso ad averci colonizzato e ad aver colonizzato il mondo, non senza contraccolpi. I quali, però – e ci riferiamo alle potenze economiche emerse, che usando le stesse regole, o potenziandole con la pianificazione totalitaria, mettono in discussione il predominio americano – non hanno fatto che indurre quest’ultimo a massimizzare lo sforzo per autoconservarsi. Il che implica, in un regime capitalista, l’autoaccrescimento.

I danni degli animalisti che colpiscono la proprietà privata non sono solo terroristici perché avvengono nello spazio culturale-antropologico ultra-individualista in cui la proprietà è un’estensione dell’individuo stesso (le basi di questa concezione si ritrovano già negli influenti Discorsi sul governo di Locke, in cui la stessa libertà discende dalla legittimità dell’appropriazione del “comune“, che starebbe per niente e di nessuno). Ma anche e soprattutto perché mettono in discussione simbolicamente un pilastro – il sistema dello sfruttamento animale – del capitalismo americano, e da qui – simbolicamente – il capitalismo americano stesso. Nonostante la storia non sempre nonviolenta dell’attivismo animalista negli States, l’Animal Enterprise Terrorist Act del 2006, mira proprio alla sua – parossistica – protezione. Non si capirebbe altrimenti perché estendere a chi esercita lo sfruttamento animale così come alla sua proprietà un’immunità particolare ed esclusiva, che non viene estesa a nessun’altra categoria di cittadino potenzialmente in pericolo. Perché non alla comunità ebraica o quella cristiana, davanti alla minaccia del terrorismo islamico? Perché l’essere ebreo o cristiano non implica direttamente essere produttivo, trascinare l’economia nazionale. Perché non rappresenta nessun interesse economico.

Questa immunità particolare è esattamente il rovescio della sospensione dei diritti del presunto terrorista, che viene arrestato e detenuto in regime di eccezione. Una condizione che non viene riservata, che io sappia, neanche ai serial killer.

Il nostro paese, che ormai evoca il garantismo solo per gli strapotenti, e uccide irregolari durante operazioni di polizia e nei reparti di psichiatria, senza parlare di decenni di democrazia a scartamento ridotto e di assalti autoritari, a fronte dei CIE e delle rivolte civili contro i migranti, si sta dimostrando un campo fertile all’innesto di queste logiche, di questo nuovo ordine.

Comments
6 Responses to “La bomba e il cerino. Per chi vede le immagini e salta il testo”
  1. michele ha detto:

    francamente mi lascia un po’ perplesso la linea dell’articolo che sembra stare sulla difensiva, proprio quando ieri genitori di bambini nati disabili chiedevano i danni alla Bayer per esperimenti su cavie umane per il Primodos (già sperimentato dalla stessa Bayer sui detenuti nei campi nazisti); In India molti sono stati i morti per esperimenti umani negli ultimi anni, in Nigeria 8 bambini morti qualche anno fa (la Pfizer pagò un miliardo di danni, prontamente recuperati con un aumento di prezzi dei medicinali, suppongo); in Argentina 15 bambini morti e così via; nessun vivisettore è finito in galera e finirà mai in galera per violazione della legge; ogni giorno dall’America arrivano notizie di violazioni della legge sul welfare act (per es., il laboratorio di Harvard di primati è stato chiuso qualche giorno fa anche dopo la scoperta delle numerose violazioni del Welfare Act). Qualche mese fa il Dronedarone (che causa la morte di un buon 25% dei pazienti rispetto al placebo, 4%) è stato messo in commercio (corruzione? Conflitti di interessi?). La storia della medicina fino agli anni 80 in Occidente (oggi nei Paesi diciamo in via di sviluppo o sottosviluppati) ha fatto coscientemente strage di bambini, orfani, disabili, detenuti, militari, pazienti psichiatrici ecc. e dovremmo difenderci noi? Hai mai visto i vivisettori scendere in piazza contro la BigPharma che opera in modo criminale? No! Embe’? E’ anche inutile stare a discutere con loro; sono dalla parte della legalità (non della legittimità), dalla parte della violenza e del potere, e dobbiamo dire che noi non siamo terroristi? Loro uccidono, violentano la vita, torturano e dormono bene; noi non dormiamo e stiamo male per le loro nefandezze. tutt’al più gente così ci può dire – e l’hanno fatto – “ma godetevi la vita” (infatti a loro non interessa nemmeno quella dei bambini che salvano). Sono incazzati perché la gente comincia a sapere che la SA esiste e che coincide con la tortura più spietata, e questo li spaventa (nelle maratone telethon nemmeno un’immagine di topi uccisi dopo gli esperimenti). Lascia perdere, continuiamo ad informare la gente……

    • michele ha detto:

      VIOXX: 120.000 morti solo in USA, 300.000 se si calcola in tutto il mondo (sicuro ed efficace sugli animali); CLIOCHINOLO: 10.000 ciechi e paralitici in Giappone (sicuro ed efficace sugli animali); OPREN: 67 morti (sicuro ed efficace sugli animali); ISOPROTERENOL: 3.500 morti (sicuro ed efficace sugli animali); LIPOBAY: 32 morti (sicuro ed efficaCe sugli animali) e così via (la lista è molto più lunga). TRILERGAN: farmaco ritirato perché causò casi di epatite; FLAMANIL: antireumatico che eliminava i dolori solo perché causava perdita di coscienza (ritirato dal commercio); ERALDIN: betabloccante ritirato dal commercio (danni all’intestino e agli occhi e molti decessi); PHENFORMIN: ritirato dal commercio perché causava la morte di circa 1.000 pazienti all’anno (solo in Svizzera? O in tutto il mondo?) per acidosi lattica. CLOFIBRATO: anticolesterolo ritirato dal commercio (effetti colaterali gravi e maggior rischi di aumento di cancro)
      AVANDIA: 83.000 attacchi di cuore, aumenti di ictus del 23%. Ritirato in Europa ma non in USA (non sono scientifici nemmeno gli esperimenti sull’uomo? Nel 2012 Il Dipartimento di Giustizia USA fa pagare 3 miliardi di danni alla Glaxo per aver nascosto due studi sul rischio di attacco cardiaco!). RIMONABANT: anoressizzante (contro l’obesità), ritirato dal commercio – Lancet pubblica uno studio dell’Università di Copenaghen che dimostra che il 40% di chi l’assume ha gravi problemi psichiatrici compresi ideazioni suicide
      NATURE, 2006 “La vivisezione è cattiva scienza”. La rivista è a favore della vivisezione e prima di essere pubblicati, gli articoli sono sottoposti ad una commissione; BRITISH MEDICAL JOURNAL: “Non c’è nessuna prova che la vivisezione abbia fatto progredire la medicina” (anche qui il numero di Proff. universitari, scienziati anti-vivisezione e ricercatori è lunga).
      NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE: 100.000/200.000 americani muoiono all’anno per effetti collaterali gravi dei farmaci (mezzo milione o meno se si considera l’Europa e milioni se si considera il mondo intero).
      INDIA: 1700 morti per esperimenti sull’uomo (dati del Ministero della Sanità)
      ARGENTINA: 15 bambini uccisi dalla Glaxo (appartenenti a famiglie povere)
      NIGERIA: la Pfizer uccide 6 bambini e ne rende disabili circa 200 a vita.
      Questi esperimenti risalgono a qualche anno fa, non a decenni.
      La storia della medicina è piena di esempi di esperimenti fatti su cavie umane in Occidente, il vero motivo del progresso della scienza. Oggi la coscienza morale non li accetta più e le aziende della Bigpharma le fanno nel Terzo Mondo, in genere su famiglie povere ed ignoranti.
      Sims, padre della ginecologia moderna, fa esperimenti con il punteruolo su ragazze nere gravide senza anestesia, con morte per infezione; Salk prova l’antipolio su bambini disabili: una strage e molti disabili a vita. Jenner prova il suo antivaiolo su contadini inconsapevoli (anche qui la lista di esperimenti su uomini è infinita). Bambini poveri, orfani, disabili, malati di mente, soldati ed emarginati di ogni tipo sono stati oggetto degli esperimenti più crudeli in Occidente (oggi si effettuano nel Terzo Mondo). Se la vivisezione funziona, perché si fanno esperimenti sull’uomo rischiando carcere (si fa per dire) e multe salatissime (si fa per dire)?
      INGHILTERRA: 2006 dopo i soliti test sicuri ed efficaci sugli animali, 6 ragazzi “volontari” (cioè disoccupati e morti di fame) finiscono in coma. (test clinici sull’anticorpo monoclonale); questo è solo ciò che emerge, figuratevi ciò che è nascosto.
      Una ricerca ha dimostrato che la metà dei farmaci commercializzati viene ritirata dal commercio (perché uccide o ha gravi effetti collaterali) o viene rietichettata; un’altra ricerca dimostra che i risultati degli esperimenti variano non solo a seconda della specie e dei diversi laboratori, ma a secondo del ricercatore nello stesso laboratorio.
      Sabin: “la scoperta del vaccino antipolio è stata ritardata di 30 anni a causa degli esperimenti sulle scimmie”; Fleming e Florey affermarono che la penicillina fu commercializzata per puro caso, perché sui ratti (credo) era altamente tossica e nel laboratorio erano rimasti solo topi.
      Non continuo perché so già la risposta dei vivisettori “Non è vero” “Decontestualizzi” “Noi amiamo i bambini poveri e voi no” 🙂

  2. derridiilgambo ha detto:

    So tutto, e hai già postato questo elenco. Per me non è solo una questione di vivisettori, ma di repressione in generale, e mi interessa analizzare le sue dinamiche.

    Ti dirò la verità: che già parlare di SA in modo ristretto, e non di antispecismo, lo trovo un po’ irritante, perché elude il problema dell’antropocentrismo in generale e ne tiene in piedi la baracca, sfruttamento umano compreso.

    Comunque aspetta la seconda parte del mio articolo precedente.

    • michele ha detto:

      Io trovo condivisibile il tuo articolo, ed è per me un piacere leggere te e gli altri; mi riferivo alla vivisezione solo perché il problema era nato dalla liberazione delle cavie a Milano; sulll’antispecismo ci sarebbero da fare grandi discussioni, non tanto e non solo sull’aspetto teorico, ma sulle conseguenze pratiche e strategiche. Sono vegan, antispecista filosoficamente ma prescindo dalla teoria quando faccio l’attivista (non voglio dilungarmi). Insisto sugli aspetti scientifici della vivisezione perché credo sia importante rispondere in modo adeguato all’obiezione che fanno tutti “E allora dovresti buttare la tessera sanitaria nel cesso”. Credo l’unico modo sensato per rispondere sia che anche chi è favorevole alla vivisezione dovrebbe buttare la tessera sanitaria nel cesso, dato che la medicina ha storicamente fatto progressi (e continua a farli) sulla pelle degli umani che non hanno voce (in senso politico e sociale). Tutto qui. Aspetto la seconda parte dell’articolo. Buona giornata.
      p.s. ovviamente ho ripostato le mie osservazioni non perché credessi che tu non fossi aggiornato sulle questioni, ma per metterle a disposizione di tutti, dato che se ne parla davvero poco in giro (spesso nemmeno i ricercatori lo sanno, come ho avuto modo di constatare sui siti Pro-test…..
      grazie e buon lavoro
      michele

  3. Maria Antonietta ha detto:

    Ho letto il lungo scritto introduttivo.
    Interessante.
    Se dibatto “la problematica” dell’antispecismo, non sono di frequente così paziente!
    Mi rivolgo ai carnibali, mangiatori di animali:
    “Il cappuccino è buono. La carne arrosto è buona. La mangiai. Ero deficiente ma, forse, non del tutto! Volli accertare ciò che stavo mangiando……e smisi di mangiarla. Non ero del tutto deficiente! Posso tirare un sospiro di sollievo.
    Mi rivolgo ad alcune ragazze che non intendono metterla da parte per timore di portare danno alla cosiddetta salute. Avete bisogno di quelle famose vitamine, giusto?
    Se temete ciò, perché mangiate altre schifezze? Un esempio faceto (ieri una ragazza coi tacchi a spillo è caduta in strada): donne, per quale ragione vi vedo ondeggiare sui tacchi a spillo ammettendo che stancano il corpo e che, alla fine della serata, non vedete l’ora di tornare a casa per calzare scarpe comode? Devo elencare altro, che danneggia la salute?
    Mi rivolgo ai cani bassotti: forse sorridete, delizie, quando vedete noi esseri umani donne sui tacchi a spillo, giusto? Beh, noi umane facciamo anche questo! L’ho fatto anch’io!! Non sono alta: lo ripeto: anch’io sono stata deficiente.
    Mi scuso con asinus novus per questo scritto faceto:
    proseguite…. La Vita è dalla vostra parte….. Vedrete spuntare dal nulla circostanze favorevoli…..

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