Che fine ha fatto la dignità?

di Donatella Serio
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La sezione italiana del CIWF (Compassion in World Farming) ha lanciato il 30 maggio scorso una campagna dal titolo “Sonodegno” al fine di richiamare l’attenzione dei consumatori sulle orribili privazioni subite dagli animali da reddito – nello specifico i suini – all’interno degli allevamenti intensivi, e con l’intento di denunciare “le inutili crudeltà a cui sono sottoposti a milioni ogni anno”.
Gli argomenti su cui si fa leva ruotano attorno al riconoscimento di tali animali quali esseri senzienti, dotati di una propria individualità e di una propria dignità intrinseca, e si articolano mediante l’istituzione di un parallelo con i cosiddetti “animali da affezione” e mediante la rivalutazione di alcune caratteristiche loro connaturate quali intelligenza, socievolezza ed istinto materno.
Riporto alcuni estratti dal sito della campagna:“Un maiale – cucciolo o adulto – non è diverso, dal punto di vista dell’intelligenza e della capacità di sentire, da un cane o da un gatto. La differenza è solo nello sguardo di chi lo osserva. Al pari degli animali da compagnia, anche quelli da allevamento sono creature intelligenti e individui unici. Eppure, persino in aree del mondo come la nostra che vantano una cultura cosiddetta evoluta, è tollerato che milioni di animali siano trattati in una maniera in cui non ci sogneremmo mai di trattare i nostri cani o i nostri gatti.”E ancora:

“La scrofa è una madre amorevole. In natura, prima di partorire, cerca materiali come foglie o rami per costruire un nido sicuro per i suoi piccoli. Il suo istinto materno è così forte che lo prepara anche quando dispone già di lettiera di paglia. […] Prima di sdraiarsi esplora con il muso tutto lo spazio circostante, per assicurarsi che non vi sia nessuno dei suoi piccoli. Se per caso un cucciolo rimane sotto di lei, al primo richiamo la scrofa si rialza immediatamente, e controlla che non gli sia successo nulla.

Mi risulta piuttosto difficile credere che nello sguardo di chi sostine che “la differenza è solo nello sguardo di chi lo osserva” non continui a riprodursi, di fatto, tale stessa differenziazione. E questo perché il parallelo istituito con gli animali da affezione non ha affatto l’intento di disincentivare il consumatore esortandolo a non fare distinzioni e a riservare ai suini lo stesso identico trattamento riservato a cani e gatti; l’intento della campagna, in realtà, è quello, ancora una volta, di indirizzarlo verso un consumo consapevole, compassionevole e volto, paradossalmente, al rispetto della propria merce di consumo (vedasi la sezione dal titolo “Le alternative”). L’accento è posto sulla considerazione marginale che milioni di animali sono trattati in un modo in cui non ci sogneremmo mai di trattare il nostro cane e il nostro gatto, ma sorvola elegantemente sulla questione fondamentale, e cioè che in realtà non ci sogneremmo mai neanche di allevare il nostro cane o il nostro gatto a fini alimentari o per qualunque altro fine che non sia una convivenza basata sullo scambio tra due individui che vivono per se stessi e non l’uno come merce per i fini dell’altro.

L’interessamento alle condizioni degli animali considerati res all’interno delle società umane è da considerarsi senza dubbio apprezzabile, salvo la contraddizione fin troppo manifesta su cui qualunque campagna welfarista si struttura. Il riferimento al “benessere” e alle cinque libertà di cui l’animale non umano avrebbe il diritto di godere è altamente incompatibile con il ruolo che egli stesso ricopre all’interno del sistema produttivo, ancor più nel momento in cui si fa esplicito riferimento alla sua individualità. Parlare di individualità, proponendo dunque la sostituzione della concezione dell’animale quale merce rinnovabile con una nuova concezione che tenga conto delle sue esigenze in quanto individuo unico, ha delle conseguenze enormi che non possono in alcun modo venire ignorate come di fatto ripetutamente accade. Si tratta, in primis, di stabilire se l’animale sia un oggetto o un individuo, e ciascuna delle due alternative comporta delle differenze sostanziali nel modo di pensarlo e di trattarlo. Un individuo non necessita di leggi per la regolamentarizzazione del suo sfruttamento, in quanto è la legittimità stessa dello sfruttamento a crollare dinnanzi alla sua incompatibilità con il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’individuo. Un oggetto, se di un oggetto si tratta, può essere invece liberamente utilizzato e sfruttato a seconda di quanto le esigenze lo richiedano.
La contraddizione insita nell’approccio welfarista e, nel caso specifico, nella campagna “Sonodegno”, ricalca quella che è la grandissima contraddizione legislativa al riguardo della tutela degli animali. L’art. 544-bis del codice penale recita che “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni“, lì dove, in merito alla definizione di “crudeltà”, la Corte di Cassazione stabilisce che “la crudeltà è di per sé caratterizzata dalla spinta di un motivo abbietto o futile. Rientrano nella fattispecie le condotte che si rivelino espressione di particolare compiacimento o di insensibilità con atti concreti di crudeltà, ossia l’inflizione di gravi sofferenze fisiche senza giustificato motivo“. La norma nasce dall’esigenza “di tutelare l’esistenza in vita di qualsiasi animale domestico, selvatico o addomesticato, ponendolo al riparo da atti di crudeltà o non necessari“. Particolare attenzione merita la definizione del concetto di assenza di necessità, che per la Corte di Cassazione identifica, oltre alla legittima difesa, “ogni altra situazione che induce all’uccisione o al danneggiamento dell’animale per evitare un pericolo imminente o un danno giuridicamente apprezzabile“.

Ora, alla luce del fatto che quello di necessità dovrebbe essere un concetto ben definibile, facilmente individuabile lì dove non esiste un’alternativa (nonostante poi gli venga attribuito un significato del tutto arbitrario) e alla luce del fatto che è stato ampiamente dimostrato che il consumo di animali e loro derivati NON è affatto necessario (divenendo quindi una questione di comodità, di gusto, e quindi uno tra i motivi più futili), la legge dovrebbe quanto meno rivedere le proprie formulazioni e prendere atto delle conseguenze che dette formulazioni comportano. È piuttosto deviante e ingannevole parlare di “benessere” e di norme contro il maltrattamento all’interno di un contesto che può in tutto e per tutto, in virtù dell’assenza di necessità, considerarsi esso stesso una forma di maltrattamento e – volendo essere ancora più precisi – la forma più alta di maltrattamento concepibile, in quanto privazione dell’individuo del diritto fondamentale alla vita. Campagne volte alla promozione del benessere degli animali da reddito, nonostante dichiarino di avere seriamente a cuore la cura dell’animale non umano, non tengono in realtà minimamente conto di una possibile alternativa; se l’obiettivo fosse quello di essere realmente compassionevoli, probabilmente si orienterebbero verso la promozione di una concezione nuova, volta seriamente al riconoscimento della sua individualità e all’abbandono, semmai graduale, di una visione che lo condanna ad oggetto di proprietà di cui disporre. Ma l’obiettivo, fin troppo visibile, non è affatto “essere” compassionevoli, bensì “mostrarsi” tali, al fine di tacitare il senso di colpa del consumatore – che tra l’altro si deresponsabilizza ulteriormente imputando la colpa delle sofferenze all’allevatore “cattivo” – e di continuare a promuovere il consumo di “prodotti animali” (che nel frattempo, per loro bocca, sono diventati paradossalmente individui), assicurandosi che non vi sia un calo dovuto all’emergere di una nuova consapevolezza. Già il ricorso al concetto di compassione dovrebbe quanto meno renderci scettici: l’animale non umano non è un nostro pari, con uguali dignità e diritti, ma qualcuno (o qualcosa) da guardare dall’alto al basso, a cui si può scegliere di riservare un trattamento tutto sommato migliore e a cui rivolgere un pensiero mentre facciamo la spesa, informandoci magari di quale sia stata la sua storia prima di finire a pezzi nel nostro carrello.

È d’obbligo, inoltre, precisare quanto un tale approccio non solo sia inaccettabile da un punto di vista etico per gli evidenti motivi di cui sopra, ma anche incurante della sua irrealizzabilità da un punto di vista pratico. In un mondo sempre più in crisi a causa dello scarseggiare delle risorse e in cui una particolare attenzione è rivolta alla questione della sostenibilità, si rende necessario riflettere un attimo e focalizzarsi sul perché della nascita dell’allevamento intensivo. Questo tipo di allevamento nasce da un’esigenza di ottimizzazione delle risorse, concepito in maniera tale da fornire una risposta adeguata e funzionale alla crescente richiesta del mercato. La logica che lo guida è la massima quantità di prodotto al minimo costo e utilizzando il minimo spazio. L’allevamento intensivo, e con esso le privazioni che gli animali in quanto prodotti sono costretti a subire, è l’inevitabile conseguenza di una richiesta elevata. Orientare tale richiesta verso altre forme di produzione, senza portare avanti un serio impegno che miri alla disincentivazione, è inattuabile in termini pratici e di profitto, salvo trasformare il “rispettoso” allevamento biologico – in cui comunque non mi risulta che gli animali si intrattengano spontaneamente e che muoiano di morte naturale come per un individuo ci si potrebbe auspicare – nel nuovo allevamento intensivo del futuro, destinato a mutarsi per far fronte ad una richiesta non più ristretta ma su scala globale.

Le immense contraddizioni insite in tale approccio poggiano sempre su di una visione dell’animale non umano che non riesce a collocarsi in un punto ben preciso, destinata a permanere in un limbo in cui, volontariamente e funzionalmente, individualità e mercificazione si sovrappongono e confondono fino a creare un tutt’uno indistinto in cui non esistono diversificazioni di sorta. È importante, invece, esigere una risposta chiara, nonché il riconoscimento e l’applicazione di ciò che consegue a tale risposta: se l’animale non umano è un oggetto, come tali campagne lasciano ancora supporre invitando il consumatore a non abbandonarne l’uso (che sia compassionevole o meno è davvero cosa di poco conto), il suo utilizzo a livello intensivo è pienamente giustificato, proprio in quanto oggetto di proprietà da sfruttare a seconda delle esigenze di chi lo detiene appositamente a tal fine; il perseguimento del suo benessere in quanto merce non potrà mai tramutarsi in un sacrificio della logica del profitto e delle esigenze – se pur futili – del consumatore umano. Se invece gli si attribuisce lo status ontologico di individuo, come tuttavia “Sonodegno” sembra voler fare, dovrebbe essere il concetto di proprietà stesso a crollare, e con esso quello della legittimità delle pratiche non solo di sfruttamento, ma anche di utilizzo; appare evidente, allora, come l’allevamento biologico cessi seduta stante di configurarsi come un’alternativa possibile.

Ricapitolando. “Sonodegno”.
Sono degno di cosa, esattamente?

Senza ombra di dubbio c’è un estremo bisogno di campagne; ma non di campagne rivolte al riconoscimento della dignità dei suini o di qualsiasi altro animale da reddito, bensì intente nell’accurata ed incessante ricerca del significato ormai perduto del concetto stesso di dignità.

Comments
9 Responses to “Che fine ha fatto la dignità?”
  1. michele ha detto:

    Totalmente d’accordo sulle contraddizioni dell’approccio welfarista; resta da vedere se l’associazione in questione è welfarista o abolizionista; se è abolizionista, allora la campagna è tattica: purtroppo alla gente piace mangiare il maiale e allo stato attuale dell’arte, meglio liberi i maiali che in gabbia. Poi si penserà alla liberazione. Sono vegan ma salterei di gioia all’idea che tutti gli animali fossero da domani liberi di pascolare in giro, se non è possibile fare altro, ovviamente

  2. Riccardo ha detto:

    ciao Michele, non credo proprio che ci siano intenzioni abolizioniste in questa associazione, infatti nella sezione “chi siamo” si legge: “CIWF (Compassion in World Farming), fondata nel 1967 da un allevatore britannico che scelse di opporsi ai metodi di allevamento intensivo, ha una missione precisa: promuovere pratiche di allevamento rispettose del benessere degli animali e proporre alternative percorribili e durature all’allevamento intensivo.” Volevo capire effettivamente chi c’era dietro questa associazione, ma non mi pare dica altro, forse si tratta di un gruppo di allevatori, ma potrei anche sbagliarmi.
    (Personalmente comunque sono per l’abolizionismo chiaro e diretto e onesto verso il consumatore.)

  3. Elia Magrinelli ha detto:

    Tutte le volte che sento parlare di incofutabilità etica e animali so già che il contenuto di quanto sto per leggere o vedere sarà assai discutibile. Sulla base di cosa date così scontata la maggior importanza sul piano di vista etico della vita di un animale rispetto a quella di un mollusco, un insetto una pianta o di un batterio, gruppi viventi che sono ben più dominanti nel nostro mondo? Voi e molti altri basate il vostro concetto di intelligenza, sensibilità su canoni assolutamente umani, ma che non corrispondono in alcun modo a quanto avviene sul nostro pianeta per la maggior parte delle specie, specie che raggiungono spesso risultati di adattamento alla vita ben più alti dei nostri. Pensate a piante che vivono anche centinaia di anni e pesano tonnellate, si riproducono con un numero di progenie assurdamente alto rispetto ai nostri canoni, pensate a batteri, organismi semplicissimi e che sopravvivono proprio per la loro essenzialità e capacità di evolvere a velocità assurde. Pensate a quanto siamo lontani noi con il nostro secolo scarso di vita, il nostro quintale scarso di peso e la nostra media di 1/2 figli per generazione. Come fate a paragonare la complessità nostra con quella di tali organismi. Impossibile farlo con i nostri canoni, eppure è su questi canoni che voi eleggete animali simili a noi ad un piano superiore del diritto etico. Il sistema etico è completamente discutibile, il discorso che invece resiste è quello ecologico. Perchè? Perchè noi siamo l’unico animale che può coscientemente, scegliendo e non agendo solamente per proprio programma genetico, modificare l’ambiente attorno a suo ed a vantaggio di altre specie. In questo contesto, l’utilizzo di animali da prodotto nell’allevamento ha un ruolo essenziale per quanto riguarda il ciclo dei campi da coltivazione, col tempo un campo che non viene arricchito dagli scarti digestivi degli animali con tutti i batteri al loro interno, essenziali per l’arricchimento di materiali azotati, arriva a desertificarsi. Welfare ed ecologia sono le motivazioni che devono spingere la nostra specie a modificare l’ambiente a favore non solo nostro, ma di molte più specie possibile, lasciare gli animali dove sono in agricoltura diventerebbe controproducente.

    • Donatella ha detto:

      Ciao Michele, come ben evidenziano Riccardo e Marco, non credo sia possibile rintracciare alcuna istanza abolizionista nel modo di procedere del CIWF. Non si limitano a denunciare gli orrori degli allevamenti intensivi, cosa su cui forse potrei anche non aver nulla da ridire, o per lo meno non nel modo in cui l’ho fatto. Ciò che mi ha lasciato alquanto perplessa è ovviamente il loro invito a orientarsi verso un consumo consapevole, come fosse la naturale conseguenza del considerare questi animali degli individui e dell’equipararli agli animali da affezione. Ritengo invece, probabilmente a torto, non lo so, che attribuire lo status di individuo sfoci in delle conseguenze che non possono essere in alcun modo quelle a cui loro giungono. Sostanzialmente è come dire “si, riconosco la tua individualità, la tua dignità, ma questo non è sufficiente a mettere in discussione le pratiche attraverso cui ti oggettifico”. Viene semplicemente dato per scontato che il loro ruolo sia quello, quindi non vedo il punto del battere sul loro essere individui. Cosa cambia? Ovviamente gli intenti sono ben altri che la loro liberazione, e sarebbe stato evidente anche non fosse stato esplicitato.

      Scusami Elia ma non riesco a comprendere bene cosa mi imputi nel tuo commento. Purtroppo non ho abbastanza tempo in questo momento per addentrarmi in discorsi sull’etica o su come io la intenda, ma ci sono alcuni punti che mi piacerebbe tu mi chiarissi. Da cosa deduci che io faccia distinzioni, ad esempio, tra un maiale e un insetto? O un mollusco? O che io attribuisca all’uno maggiore importanza che all’altro? Il mio articolo non fa alcun riferimento a distinzioni di questo genere e non le lascia neanche sottintendere. Inoltre, accennando al relativismo dell’etica, che mi sembri sostenere, potrei domandare a te sulla base di cosa stabilisci che la vita di un animale umano sia più importante rispetto a quella di un animale non umano. Qui mi riaggancio ad un altro dei punti che mi hanno incuriosito: “Voi e molti altri basate il vostro concetto di intelligenza, sensibilità su canoni assolutamente umani”. Anche a questo riguardo, non mi sembra di aver fatto alcun accenno. Ti riferisci forse alle doti di intelligenza e di socievolezza attribuite al maiale? Innanzi tutto mi son limitata a commentare quanto non è stato affermato da me in prima in persona. Per quanto mi riguarda, il rispetto dell’altro si configura come rispetto dell’alterità, indipendentemente da quanto mi sia lontano o vicino, simile o dissimile. Non rispetto il maiale in quanto intelligente o socievole; lo rispetterei anche fosse la creatura più stupida sulla faccia della terra. Ma il punto della questione è.. siamo sicuri che tu non mi stia imputando qualcosa che in realtà stai facendo tu? Scrivi “Come fate a paragonare la complessità nostra con quella di tali organismi. Impossibile farlo con i nostri canoni, eppure è su questi canoni che voi eleggete animali simili a noi ad un piano superiore del diritto etico.” Io non mi baso su questi canoni, e non mi baso sulla complessità a cui tu fai riferimento e su cui forse sei tu a basarti per legittimare lo sfruttamento animale. Forse in un ulteriore commento potrai darmi maggiori spiegazioni su cosa intendi contestare.
      Prima di concludere mi soffermo un attimo sull’accenno alle piante. Sono domande che ci si pone, così come anche io ho fatto. Come tu lasci intendere, se ci basiamo sulla presenza di “vita” dovrebbe uscirne fuori che sia sbagliato anche utilizzare le piante e che, nel momento in cui lo facciamo, sia lecito farlo anche con gli animali non umani. In primo luogo non credo si tratti di un reale interessamento alle piante, quanto di un espediente per disinteressarsi tanto degli uni che degli altri. In secondo luogo non starò qui a trattare l’argomento trito e ritrito del sistema nervoso centrale e della capacità di soffrire (cosa che comunque è ciò che li distingue, in realtà), bensì desidero rivolgere a te una domanda. Per quale motivo in questo discorso dovremmo lasciar sempre fuori gli animali umani? Voglio dire, accomuniamo animali e piante, ma non uomini e piante, o uomini e animali, ad esempio. Ammesso che l’etica possa essere una questione di gusti, se utilizziamo le piante, possiamo farlo con gli animali, se utilizziamo gli animali e le piante.. lascio a te la continuazione, ma quando si arriva a questo punto mi sembra che l’etica inizi a farsi un tantino più oggettiva.. o forse sbaglio? Di certo il rifiuto di estendere un tale discorso agli animali umani non può, come tu mi suggerisci, risiedere in una constatazione della loro maggiore complessità, o intelligenza, o qualunque altra dote. Perchè significherebbe, come già detto sopra, rovesciare ciò che tu mi contesti nel tuo stesso punto di vista, e cioè valutare l’altro e decidere di lui sulla base di parametri umani assunti come metro di giudizio e quindi fuor di ogni discussione e contestazione.

      Mi scuso se magari quello che ho scritto non c’entra nulla con il tuo commento, ma ho cercato di interpretare e capire come meglio ho potuto 🙂

      • Elia Magrinelli ha detto:

        Nessun motivo di scusarsi il primo a non scrivere in modo chiarissimo sono io, non è una mia abitudine scrivere (in italiano soprattutto) e l’ho fatto in poco tempo. Il mio mettere in evidenza trattamenti diversi verso animali mammiferi (come i maiali in tale contesto) ed altri organismi riguarda questo. Secondo quanto dici animali come i maiali non dovrebbero essere usati come risorsa, eppure di qualche organismo dobbiamo vivere, in tal caso (per farla molto semplice) si propone di utilizzare le piante come nutrimento, come risorsa, come oggetto. Ma questo è per l’appunto fare una distinzione basata sul possedere o meno un sistema nervoso, invenzione recentissima nel panorama della vita sulla terra e (a mio parere) non utilizzabile come elemento nobilitante e tale da mettere un distinguo simile. Il trattare tutto in modo equo non vuol dire, come hai commentato, fregarsene sia di piante che di animali perchè tanto sono comunque vita, ma di cercare di trattare tutte le specie in un equilibrio di ecologia, che deve essere per l’appunto un equilibrio. Per me l’uomo è un animale come tanti, ma ha imparato solo meglio ad utilizzare ciò che trova ed a modificare l’ambiente. In questo contesto, visto che a differenza di altri animali od organismi possiamo consciamente operare sulla natura, deve essere nostro obiettivo acquisire le conoscenze necessarie per operare in modo ecologico, favorendo un equilibrio tra le specie che vi abitano. L’unico motivo per il quale dovremmo fare ciò (disntinguendoci se così la vuoi vedere, dagli altri organismi) è semplicemente perchè noi possiamo farlo (oggettivamente e tecnicamente)

      • sdrammaturgo ha detto:

        E guarda caso l’equilibrio ecologico prevede il pollo arrosto.

      • Elia Magrinelli ha detto:

        Forse non il pollo arrosto, ma sicuramente che un campo usato per la coltivazione di una qualsiasi piantagione, metti le pannocchie, pianta più largamente coltivata al mondo ed usate in una grandissima parte non per il cibo, necessità il passaggio di animali e collegati escrementi, resti e batteri per poter chiudere più cicli di elementi essenziali come la sintesi dell’azoto e la trasformazione del metano.

      • sdrammaturgo ha detto:

        Capisci che ogni tua argomentazione ha l’unico scopo di difendere le tue ricette preferite?
        Non c’è bisogno di sofismi ed elucubrazioni: ti basta dire “a me me piace la mortadella e me la magno”, lo apprezzo di più e la trovo l’unica argomentazione onesta.

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