Tra il dire e il fare, ci siamo in mezzo tutti
di Rita Ciatti
La nostra vita non è nostra, da grembo a tomba, siamo legati ad altri, passati e presenti, e da ogni crimine e ogni gentilezza generiamo il nostro futuro (Cloud Atlas – Lana and Andy Wachowski, Tom Tykwer)
L’animalista, di questi tempi, conduce una vita tutt’altro che semplice.
Osteggiato dalla pressoché totale maggioranza degli specisti – ossia le persone indifferenti allo sfruttamento e sofferenza degli animali – ritratto caricaturalmente come quel fannullone svitato che non ha nulla di meglio da fare se non occuparsi delle sorti di cani, gatti, mucche ecc., in aggiunta deve anche subire lo sprezzo e la denigrazione di alcuni antispecisti: i quali avrebbero in mente un archetipo dell’animalista che di fatto non esiste – applicabile al massimo solo a pochi elementi – o che, nella migliore delle ipotesi, non corrisponde nemmeno minimamente all’evoluzione di cui il variegato movimento per la liberazione animale è stato protagonista negli ultimi anni.
Spazziamo via subito alcuni fraintendimenti: per animalista qui si intende colui che realmente si impegna per porre fine allo sfruttamento degli animali, nonché colui che lotta contro la discriminazione morale di specie. Non chi vezzeggia il proprio cagnolino, ma poi indossa la pelliccia. Inoltre, poiché l’animalista si impegna a eliminare anche proprio la discriminazione morale di specie, va da sé che è anche, tautologicamente, antispecista, intendendo tale termine nella sua accezione etimologica originaria, la stessa poi divulgata dai padri dell’antispecismo stesso, ossia Peter Singer e Tom Regan. Le volontarie e i volontari dei canili, le gattare e i gattari – i quali, per inciso, hanno tutto il mio rispetto, trattandosi sovente di persone che destinano quasi l’intero loro stipendio o pensione, nonché buona parte del tempo libero a nutrire e curare colonie createsi a causa dell’indifferenza e inciviltà di altri – che però discriminano, con i loro comportamenti e scelte, le altre specie animali, non sono animalisti, ma semplici zoofili (provano cioè una passione smodata per gli animali, o per alcune specie animali; questo non significa che tale passione non possa un giorno evolversi in qualcosa di più compiuto e consapevole, come appunto l’animalismo).
Trovo quindi veramente ingeneroso il tentativo di spacciare l’animalista per una versione meno raffinata, quindi più gretta e meno evoluta, dell’antispecista, così come trovo supponente il volerlo dipingere con i tratti di un ingenuotto incapace di comprendere le complesse dinamiche di sistema.
Inoltre, così come, riprendendo Jacques Derrida, è molto riduttivo appiattire sotto il termine “animale” le molteplici varietà di specie – ognuna delle quali comprendente miliardi di individui dotati di caratteristiche caratteriali, espressive ecc. proprie – trovo che sia altresì fuorviante riferirsi a un presunto archetipo dell’animalista, che appunto non esiste se non nella testa di chi ne compie una banale semplificazione o, peggio, caricatura. Mi pare ovvio che anche sotto la specie homo sapiens siano compresi miliardi di individui, ognuno con un proprio vissuto e una propria, guarda caso, individualità. Il fatto che alcuni di questi abbiano deciso di abbracciare una causa, non significa che automaticamente assumano caratteristiche identiche. A meno che non ci si voglia soffermare all’apparenza.
Non vi sembra che già dire “l’animalista” sia abbastanza uno schiacciare sotto un rullo compressore una moltitudine di persone proveniente da esperienze e percorsi diversi e approdata a un sentire verso gli altri animali non necessariamente coniugabile in una medesima forma, contenuto e strategia d’azione? Detto in altre parole, come si può pensare di racchiudere sotto quest’unica parola – animalista – diverse teste pensanti, tante quanti siamo noi che ogni giorno lottiamo per la liberazione animale, quale sia la maniera di intenderla? E perché questo sprezzo? Non lo capisco. Io anche critico alcune maniere di fare di diversi animalisti, ma non mi sognerei mai di parlarne come se fossero, fossimo, una massa di ingenui sprovveduti veramente incapaci di comprendere le dinamiche di sistema come credono alcuni. Ora, al di là delle divergenze di idee, quello che veramente io contesto è questa ormai diffusa convinzione che mentre l’antispecista politico contemplerebbe strategie tese a scardinare il sistema alla radice, il povero sciocco animalista si ostinerebbe invece ad andare a bussare porta a porta per fare proselitismo vegano.
Avete mai visto voi un animalista che va a bussare a casa delle persone puntando loro il dito contro e dicendogli: “diventa vegano, altrimenti sarai punito e finirai all’inferno?”.
Io, sinceramente, no.
Ho visto invece migliaia di persone che si danno molto da fare per informare e sensibilizzare su quella che è la tragedia dello sfruttamento degli animali; ho visto persone che ogni giorno raccolgono animali feriti e ammalati, quale sia la specie di appartenenza, curandoli, dandosi da fare per farli adottare, per toglierli da situazioni di pericolo; ho visto persone che occupano laboratori a volto scoperto, sapendo bene a cosa vanno incontro e persone che scavalcano cancelli per andare a liberare dei cani altrimenti destinati alla vivisezione; ho visto persone che cercano sempre e comunque di incidere sul sistema – ben consapevoli che le maglie dello sfruttamento sono tenute insieme da fili manovrati da apparati e istituzioni potenti – mai diretti quindi a colpevolizzare il singolo che mangia carne, ma semmai a volerlo responsabilizzare su quei meccanismi di cui anch’egli è vittima perché, altrimenti, come si penserà di liberare anche gli animali umani se non proprio facendo rinascere in chi dovrebbe liberarli il palpito di una capacità di incidere pure grazie al loro contributo? Responsabilizzare non è colpevolizzare, non è additare un presunto nemico in chi mangia carne, ma è guarire da quell’apatia, frustrazione e rassegnazione che il crederci sempre e solo vittime del sistema indurrebbe altrimenti a provare.
Deresponsabilizzare, come scrive Annamaria Manzoni in Noi abbiamo un sogno, sortisce proprio quel tipo di atteggiamento “che rende ogni giorno possibili guerre, stragi e violenze gratuite di ogni tipo: necessario sarebbe invece tornare a riflettere sul fatto che ognuno è responsabile delle proprie azioni, che dovrebbero essere riferite a un personale codice morale: in assenza di questo, tutto diventa tragicamente possibile; se l’etica è sostituita dall’interesse, non ci sarà più limite al dilagare del sopruso e della violenza.“
E questo insistere degli animalisti sulla responsabilizzazione si prospetta come atto politico a tutti gli effetti, se la politica, il fare politica significa proprio ridare agli individui quello spazio per agire che gli è stato tolto; significa altresì svelare la violenza istituzionalizzata e normalizzata di cui, involontariamente e inconsapevolmente, si rendono complici. Significa appunto, rendere consapevoli della menzogna che è stata raccontata loro per tanto, troppo tempo. Responsabilizzare, per usare un’ormai nota metafora, significa mandare giù la famosa pillola rossa (da Matrix) e permettere che la realtà dello sfruttamento animale venga finalmente alla luce.
E non è vero che le persone, di fronte a certe verità – quale quella del dolore animale – rimangono indifferenti; forse una parte – esiste di fatto una parte di esse che è desensibilizzata poiché il cervello è plastico e la continua esposizione a fatti di violenza ne ha modificato la capacità di provare empatia – ma la maggior parte delle persone semplicemente non vede perché non si fa abbastanza per smantellare tutti quei meccanismi di autodifesa che vengono messi in atto inconsciamente.
E non lo si fa abbastanza perché è opinione comune credere che il mondo non cambi, che il sistema sia più forte e che il singolo non conti (ma chi lo dice che il singolo non conta?).
Non lo si fa perché si continua a ricondurre sempre tutto a questo fantomatico sistema come se fosse un ente metafisico inscalfibile.
Nessun animalista dice che non si debba lavorare di fino per smantellare la società, solo che intende cominciare proprio dalle fondamenta che sorreggono l’intera società del dominio, da quelle cantine del famoso grattacielo in cui gli animali crepano a migliaia. E questo perché l’animalista non perde di vista le radici del movimento per la liberazione animale e continua a rivendicarne la specificità.
Quale sia questa specificità l’ho detto in altri scritti, ma lo ribadisco in sintesi: sfruttamento animale e sfruttamento umano sono correlati sì, ma diversi poiché mentre tutti sono disposti a riconoscere lo strazio di un corpo umano offeso, pochissimi scorgono quello del corpo dell’animale fatto a pezzi e esposto sui banconi delle macellerie. Noi questo dolore intendiamo metterlo al centro di ogni nostro discorso. Farne l’asse portante della nostra battaglia. Dunque non è vero che l’animalista sarebbe una persona involuta incapace di comprendere le complesse dinamiche del sistema, bensì è colui che cerca di incidere in prima persona su quel sistema e cerca di far crescere – numericamente e per quel che concerne la consapevolezza – il movimento per la liberazione animale. Perché solo quando avremo raggiunto una massa consistente di persone, potremo pensare di andare a scalfire questo sistema in profondità.
A tal proposito ho, ancora, visto persone impegnarsi nel tenere dibattiti, nel favorire incontri, nell’organizzare conferenze dirette soprattutto a chi ancora è ignaro della sofferenza degli animali; ho visto persone mettere in discussione la cultura in cui lo specismo ha avuto modo di perpetuarsi e rafforzarsi, con azioni e impegno di vario tipo. E queste persone altro non erano che gli svariati rappresentanti della galassia animalista, irriducibile a un’unica maniera di essere e di fare. Del resto moltissime sono le associazioni animaliste e racchiuderle sotto un’unica etichetta a me pare, sinceramente, lo ripeto, una vera semplificazione e riduzione.
Parliamo dell’attivismo.
Non mi pare che vi sia poi tutta questa differenza, a livello sostanziale, tra l’attivismo dell’antispecismo politico e quello dell’attivista animalista (a meno che, come scritto sopra, davvero non si abbia in mente il falso stereotipo dell’animalista che andrebbe soltanto a fare proselitismo vegano bussando porta a porta). Mi pare quindi che questa differenza sia solo una dichiarazione d’intenti, nulla più.
Voi avete visto antispecisti politici intenti a prendere a picconate il sistema con mezzi e metodi diversi da quelli degli attivisti animalisti? Io ancora no. Quando scorgerò azioni diverse che saranno rivendicate dall’antispecismo politico e che avranno ottenuto risultati maggiori e diversi rispetto a quelli ottenuti dagli animalisti fino ad oggi, mi ricrederò. Finora sento solo un gran parlare in astratto di abbattere questo sistema, ma mi pare che a livello di azioni e attivismo non si veda tutta questa differenza. E ovvio che non si può vedere, il sistema non si può abbattere solo con una dichiarazione di intenti. E state pur sicuri che l’animalista mai si tirerà indietro di fronte ad azioni e strategie davvero valide. A meno che, ripeto, non si intendano tutti gli animalisti al pari di un’unica testa su un unico corpo.
In sintesi mi pare che lo sprezzo rivolto contro il presunto archetipo dell’animalista abbia piuttosto origine in un’idea ben distante dalla realtà del vero attivismo animalista e che sia nata piuttosto da un’analisi di facciata di una piccola parte dell’attività degli animalisti, ossia quella che si può riscontrare sui social network, in particolare su Facebook. È vero infatti che su FB si leggono sempre i soliti slogan in cui si esorta a divenire vegani o le solite frasi, e spesso commenti venati da misantropia o verbalmente violenti, ma essi non rappresentano l’intero panorama animalista, che è assai più variegato e complesso. E nei fatti, in strada, di violenza animalista l’ho vista davvero poca (riconducibile a singoli o gruppetti ben precisi, che però non sono appunto rappresentativi di TUTTI gli animalisti).
Infine, io stessa, che orgogliosamente mi definisco animalista, spesso ho criticato e redarguito i miei compagni di lotta per l’aver assunto determinati comportamenti e per essersi lasciati andare alla violenza verbale, ma credo di averlo fatto sempre con garbo e comunque viva partecipazione, sentendomi appunto parte di questo bel movimento e mai giudicandolo dall’alto di un atteggiamento supponente e sprezzante. Scrissi infatti questa lettera (sottoscritta e firmata dall’intera redazione di Asinus Novus) tempo addietro e credo che nessuno abbia difficoltà nel riconoscervi un tono costruttivo e non accusatorio, tantomeno di dileggio, come invece mi è capitato di leggere negli ultimi tempi.
Si accuserebbe poi il movimento animalista di essere identitario e autoreferenziale. Beh, a me sembra che l’identitarismo sia proprio quello di chi ci tiene tanto a tracciare queste differenze tra animalismo e antispecismo e autoreferenziale sia non chi si rivolge sempre alle persone comuni, facendo attivismo da strada, bensì chi si considera parte di un’élite che avrebbe capito quanto è complessa la realtà, mentre i poveri animalisti non avrebbero capito nulla. Per inciso, qui non si intende esprimere un’allergia per la teoria, per l’amore per lo studio e per il sapere, bensì si intende rifiutare lo sprezzo che, nemmeno tanto camuffato o celato, manifesta chi ridicolizza e stereotipizza tutti coloro che mossi da una sincera empatia per gli animali, osano soffermarsi sullo sguardo del maiale anziché stare a ripetere sempre la solita tiritera del sistema colpevole.
Le critiche sono doverose, lo sprezzo, le offese, le ridicolizzazioni invece rimangono gesti gratuiti di pura insofferenza verso un movimento, di cui, evidentemente, non ci si è mai sentiti veramente parte.
Gli animalisti con cui mi confronto io ogni giorno sono invero decisamente molto inclusivi, felici di accogliere persone che si stanno avvicinando al movimento.
Sembra inoltre, con questo continuo rimarcare una distinzione tra animalisti e antispecisti, che i primi siano il braccio e i secondi la mente. I primi la forza bruta del movimento, i secondi i teorici.
Questo non è vero in quanto tra gli animalisti che si danno da fare per dissetare la gola arsa dei maiali rinchiusi nei tir destinati ai macelli (vedasi foto, per fare un esempio tra tanti) magari ci sono persone che si dedicano all’una e all’altro, magari ci sono fior di laureati; così come esistono filosofi delle barricate, come Steve Best e Oscar Horta, che si dedicano tanto all’attivismo, quanto alla teoria.
Pare che ci sia un certo gusto a criticare le immagini che scorrono su FB, ritenuti inutili, anzi, peggio, buone solo a dare sfogo a un certo autocompiacimento; così come si prendono in giro coloro che pubblicano foto di animaletti teneri e graziosi e che manifestano il proprio sentimento.
Si accusa gli animalisti di essere sentimentali.
Io rivendico il sentimento. Rivendico quella capacità immediata di arrivare lì dove non serve capire, non serve spiegare, non serve ragionare, ma è sufficiente, appunto, sentire.
L’intelletto enuncia, ma la vera comprensione arriva dopo, con il sentire.
Le immagini e video degli animaletti graziosi non sono il frutto dell’autocompiacimento zoofilo, sono invece necessarie a rendere giustizia delle loro tante caratteristiche, della loro vita interiore e intelligenza, a spazzar via tutto l’immane racconto di quella falsificazione sui loro attributi che è in atto da millenni. Le foto che tanti animalisti pubblicano per rendere visibili quei luoghi dello sfruttamento cui altrimenti nessuno avrebbe accesso vanno ad agire su un’area del cervello diversa da quella in cui viene elaborato il testo scritto (il verbo) contribuendo a modificare quella cornice cognitiva entro cui lo specismo è reso accettabile. Le arti figurative, quindi anche le foto, la poesia, l’allegoria, tutto ciò che è visuale agisce e lavora su altri livelli della nostra coscienza. Per questo anche la semplice condivisione di immagini su FB ha comunque una sua importanza, così come ce l’hanno i cartelloni, i manifesti affissi sulle strade, i volantini ecc.. Inoltre il creare immagini richiede precise capacità di analisi ed elaborazione del reale – che deve essere poi codificato in una certa maniera per essere recepito – lavoro non da meno di quello dei teorici.
E ancora ho letto cose che definire ingiuste è poco. Addirittura critiche perché, a detta di alcune, gli animalisti insisterebbero un po’ troppo sul dolore degli animali e quindi farebbero dell’inutile retorica del dolore. Possibile che non venga mente che non di retorica si tratta, ma di necessaria elaborazione di un dolore che è costante e che richiede di essere costantemente superato per poterci convivere?
Per ultimo, ci terrei a ricordare che chi ha fatto chiudere Green Hill e chi ha portato il dibattito sulla vivisezione in Italia a livelli mai raggiunti – tanto che se n’è parlato su tutti i media, anche i cosiddetti ufficiali quali tv e giornali a tiratura nazionale – sono stati proprio gli animalisti. Lo dobbiamo alle lotte animaliste se oggi persino sulle tv di stato si vedono spot informativi sull’orrore degli zoomarine e altre strutture detentive, se è possibile affiggere manifesti di importanti campagne nazionali, se sempre più persone sono disposte a scendere in piazza per liberare gli animali. Lo dobbiamo a tutti gli animalisti che agiscono col cuore e con la pancia, così tanto bistrattati proprio perché agiscono con cuore e con la pancia, se oggi tutti noi siamo qui a discutere di queste tematiche.
Quanti di noi, infine, sarebbero oggi impegnati in questa battaglia se non ci fosse stato il movimento animalista a dare origine alla stessa?
Siamo tutti animalisti, tutti abbiamo un cuore animalista.
E infine, l’animalista, non può che essere antispecista, nell’accezione etimologica del termine.
E politica è ogni azione tesa ad abolire la realtà dello sfruttamento animale (sia dell’animale umano, che non umano) perché tutto produce degli effetti, che ci piaccia o no. Non esistono azioni inutili, non esiste un animalista che non sia in qualche modo utile alla causa.
(Ringrazio Massimo Viggiani per i preziosi suggerimenti)
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[…] qui molto brevemente rispondere all’articolo di Rita Ciatti Tra il dire e il fare ci siamo in mezzo tutti facendo innanzitutto appello al significato della parola animalismo così come lo si può leggere […]
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[…] qui molto brevemente rispondere all’articolo di Rita Ciatti Tra il dire e il fare ci siamo in mezzo tutti facendo innanzitutto appello al significato della parola animalismo così come lo si può leggere […]
Stupendo articolo Rita. La voce della pancia mi mancava.
Adesso voglio ascoltare la voce degli altri attivisti, perchè mi sa tanto che dovete ficcarvi in testa che siamo tutti attivisti, tutti animalisti, tutti politici e tutti (spero) con lo stesso scopo liberazionista.
Sopratutto abbiamo bisogno l’uno dell’altro anche portando avanti strategie di lotta diversa, ma all’occasione, identica.
Ce la facciamo?
Grazie Roberto.
“Sopratutto abbiamo bisogno l’uno dell’altro anche portando avanti strategie di lotta diversa, ma all’occasione, identica.
Ce la facciamo?”
Io dico di sì, che possiamo farcela, che dobbiamo farcela. 😉
Io sono inclusiva, dici bene, possiamo portare avanti strategie di lotta diversa, ma all’occasione, identica.
la prima cosa che mi viene in mente è un’altra parafrasi del famoso proverbio del titolo: TRA IL DIRE IL FARE C’E’ DI MEZZO… IL COMINCIARE! che in questo ambito significa molte cose: cominciare a impegnarsi in concreto e nelle nostre giornate ad aiutare gli animali, tanto per partire ‘sul semplice’ 🙂 non è tutto, né è perfetto, ma può diventare qualcosa che tira dietro altre azioni, ulteriori consapevolezze. perciò l’articolo mi piace e mi avvince molto: non esiste una sola strada per raggiungere questo risultato così desiderabile che è la libertà degli altri animali, e una persona sola può nella sua vita provarne più di uno, contemporaneamente o successivamente.
Quel che li può e li deve accomunare, è la passione, è la gioia pura e la commozione quando si tocca con mano anche una ‘piccola’ vittoria (che significa l’affrancamento da dolore, prigionia, angoscia, morte, per qualche altranimale). Personalmente, se pure sono volontairo nei rifugi per cani e gatti, e sono vegano, da qualche anno divoro in modo onnivoro tutto quello che riesco a raggiungere a proposito di pensiero e filosofia su/per/pro/con gli (altri) animali: questo perché sono affascinato da questi pensieri, che già hanno cambiato il mio modo di concepire la realtà, e perché sono convinto che la consapevolezza passi (anche) dallo studio, ma MOLTO dalla pratica, ma le due cose non possono e non devono rimanere separate -per quanto possibile.
Mente aperta, allora,e mani volenterose: per accudire un cane anziano o dipingere un un’opera ispirata agli animali; per ripensare gli altri animali o per imparare nuovi modi per curare un animale bisognoso, ecc ecc 🙂
“e perché sono convinto che la consapevolezza passi (anche) dallo studio, ma MOLTO dalla pratica, ma le due cose non possono e non devono rimanere separate -per quanto possibile.”
Infatti quello che io volevo smontare è il falso mito che gli animalisti non vorrebbero interessarsi alla teoria e che si disinteressino alle dinamiche sociali.
🙂
col mio passato universitario di scienze politiche e sociologia, non posso non essere interessato alle dinamiche sociali, e per mia indole sono inclusivo: credo che ciascuno abbia molto da dare alla causa degli animali, e ciascuno ha abilità singolari: sono queste che deve mettere in gioco, incastandole nelle volontà e capacità altrui. 🙂
Rita, il tuo articolo è in parecchie parti anche condivisibile, solo che, nel giochino delle stereotipizzazioni sono finiti anche parecchi degli animalisti che tu difendi. Vogliamo smetterla, per esempio, di tacciare di “intellettualismo”, “vaghezza”, “autocompiacimento parolaio”, “autoreferenzialità da salotto”, ecc.ecc. con malcelato disprezzo chiunque (e sono per ora una sparuta minoranza!) osi avanzare l’idea che tutto ciò non basti per giungere alla liberazione animale e che sarebbe necessario che UNA PARTE del tempo fosse dedicata anche all’elaborazione di strategie di più ampio respiro?
E poi, vogliamo smetterla di riferirci al “sistema” come a un ente metafisico e quindi inesisitente, una specie di chimera inventata dagli “intellettualoidi” di cui sopra per avere la scusa buona per non agire? Lo volete un esempio molto concreto, vivido e comprensibile a chiunque di cosa si intenda per “sistema” (esempio che racconta solo una piccola, piccolissima parte di esso?) Guardatevi il documentario “Inside Job”, che racconta la genesi dell’attuale crisi economica e finanziaria, e poi ditemi cosa ci trovate di tanto metafisico.
Veramente Giovanna è dicendo che il singolo non conti e che sia sbagliato responsabilizzarlo, a rafforzare il falso mito del sistema come ente astratto, irraggiungibile ecc..
E l’ho anche spiegato benino (o almeno mi sono sforzata di farlo) perché sia controproducente deresponsabilizzare.
Non direi, Rita. Questo sistema va innanzitutto compreso e poi spiegato e allora diventa meno astratto e più reale. Se non lo si comprende almeno un po’ non lo si può spiegare. In secondo luogo, spiegami come il singolo, solo in virtù delle sue pratiche quotidiane e senza un’azione collettiva ragionata di un qualche tipo, può scardinare un sistema come quello. Il punto, come dicevo, non è non responsabilizzare il singolo. Il punto è responsabilizzarlo a fare cosa.
Ma non è vero che gli animalisti non comprenderebbero il sistema. E questa è una cosa di cui vi siete, a torto, convinti tu e qualche altro.
Chi lo dice che gli animalisti non pianifichino azioni collettive e non sappiano dove e contro cosa si debba agire? Le strategie di cui parlate tu e Barbara (andare contro le lobbies, lottare per avere un’informazione veramente trasparente ecc. sono tutte cose di cui si è consapevoli). E chi ti dice che anche le pratiche quotidiane non sortiscano, a tempo debito, i loro effetti?
Il sistema lo si comprende anche un po’ per volta (come scrissi nel pezzo sul circolo ermeneutico applicato all’animalismo).
scardinando se stesso, giovanna 🙂
Scusa? Ti puoi spiegare meglio? 🙂
Giovanna e Rita non dovete condividere tutto. Non è necessario e credo sia anche controproducente. Perchè combattere insieme ai “decrescenti” ed agli ecologisti ma non agli “animalisti” veri (non quelli 100%). Come fai a dibattere senza arricchirti?
Chi sta deresponsabilizzando è chi viceversa? Su quanti fronti possiamo attaccare il sistema?
Infatti Roberto, hai perfettamente ragione.
Perché combattere insieme agli altri movimenti di critica del sociale, ma avere in spegio gli animalisti?
Io questo non lo capisco.
Il sistema va attaccato su più fronti possibili, non c’è un’unica via e invece qui pare che ci debba essere il “pensiero unico”.
Roberto, scusa ma io con gli animalisti ci parlo eccome. Mi ci trovo in mezzo dalla mattina alla sera, ci parlo ogni volta che è possibile, vado alle manifestazioni, e molto altro. Naturalmente parlo anche con gli altri, certo. E credo che il dialogo con gli ecologisti sia possibile perché credo che chi ha già fatto molti passi in avanti nel comprendere la necessità di un cambio di paradigma sia facilitato a fare i passi successivi. In genere, almeno. Poi ci saranno singoli che quei passi ulteriori non vorranno compierli, ma questo accade anche, e a maggior ragione, con la cosiddetta “gente comune”.
non ho capito bene la domanda, ma che forse sorge perché non ho scritto bene il mio commento
qui ci vorrebbe una bella ricerca sociologica, sulle (auto)rappresentazioni del movimento animalista e cercando di creare una griglia conoscitiva per trovarne delle tipologie, sia di individui partecipanti che di entità più aggreganti e collettivie. qualcosa, di sicuro, qualcuno lo ha già fatto.. quel che voglio qui raccontare brevemente e schematicamente è solo quel che ho potuto vedere io: giusto per portare un esempio, ci sono animalisti generosissimi verso gli animali, ma che letteralmente si rifiutano di anche solo informarsi che esistono TEORIE nuove sull’intera caleidoscopica e cruciale questione. Non ne aggiungo altre, di possibilità di esempio, perché sarebbero approssimative, anedottiche, episodiche. Non credo però che siano questi gli aninalisti che nemmeno Rita si augura. Nella mia esperienza personale, ho constatato come gli animalisti (altrimenti noti come volontari nella percezione comune), che più e meglio hanno saputo creare buoine pratiche quotidiane e soprattutto continuative e capaci di incrementarsi e allargarsi, sono quelli che hanno speso tempo anche a leggere, studiare, porsi dubbi e problemi, e mantenere cuore e mente aperti, come scrivevo più o meno anche sopra 🙂
Ma certo.
E poi ho ribadito che anche io critico alcune forme di animalismo e alcune peculiari maniere di fare. Lo scrissi anche nella famosa lettera aperta agli animalisti (di cui ho rimesso il link).
Ma le mie critiche sono comunque costruttive e aggiungo affettuose, invece spesso leggo parole di scherno e sfottò nei loro confronti che non li aiutano certo a crescere, anzi, li allontanano. Alla faccia dell’inclusività.
come direbbe Robin Williams da l’Attimo Fuggente: “ridiamo CON te, non DI te”. anche pedagogicamente parlando, tutte le critiche dovrebbero sempre essere affettuose, nel senso di empatiche, costruttive; non c’è modo più efficace di spezzare l’autostima di un individuo che cresce e impara (e può farlo, come animalista, anche a 20,30,40 o perché no? oltr-ANTA anni), che una critica di scherno e dall’alto. Sotto il sole animalista c’è grande confusione, ma anche grandi potenzialità, non tutte, non sempre e non ancora (bene) espresse
a questo punto: alzi la mano chi è (o si sente) animalista 😀 (qualunque cosa voglia dire) (per me, vuol dire attenzione e rispetto per gli altrianimali, e attenzione verso loro come singoli individui)
Beh, io l’ho detto che mi sento animalista. 🙂
Orgogliosa di esserlo, oltretutto. 😉
Rita, quello che ti sfugge, è che la prima istanza “metafisica” qui è proprio l’individuo. Non tanto perché esso non esista, benché la presunzione di razionalità e capacità di deliberazione che esso di autoattribuisce è effettivamente per lo più fantasmatica. Ma perché esso è esattamente il cardine di quella “metafisica della soggettività”, che, attraverso una serie di operazioni, dispiega la volontà di potenza di una collettività senza volto che fa da mano d’opera alla macchinazione totale del mondo e del vivente. E’ proprio la determinazione dell’individuo come entità atomica razionale, che autopone la propria libertà e consapevolezza (come il Barone di Munchausen che pretende di sollevarsi da terra per il codino) a permettere la sua incorporazione in una comunità organica che ha come oggetto sé stessa nel modo del biopotere, cioè del controllo totale e capillare della vita (e che io interpreto come un’altro modo di dire la macchinazione totale).
Porre l’individuo come cardine per il mutamento di questo paradigma, appellarsi alla sua volontà per il cambiamento delle strutture in cui siamo collocati, significa in realtà un altro giro di vite alla stabilizzazione e al potenziamento di queste stesse strutture.
E’ solo con la messa in arresto di tutti i dispositivi concettuali che le reggono che possiamo aprire alla possibilità di un cambiamento, cioè alla possibilità della riapertura della possibilità, al di là della sua cristallizzazione in realtà stabile e immutabile.
“Responsabilizzare l’individuo” è perciò quanto di più irresponsabile si possa fare, chiedere, in questo momento.
Al contrario andrebbe ripensata la singolarità come anomalia senza norma di riferimento sempre e da sempre in relazione con altri nel loro libero gioco di esposizione, senza fondamento, senza inizio né fine (né origine né compimento), senza causa né effetto (quindi senza produzione di un proprio, di un fondamento comune) e liberare questo gioco per l’apparizione di un futuro inaudito e improgrammabile.
Fuori da questo arrischiamento c’è solo il lavoro inesausto del potere che non fa che attuare la – una – potenza (intesa come possibilità) verso la ripetizione della cristallizzazione della realtà. E poco importa sostituire una morale dei vincitori con un altra. Per definizione non avremmo una liberazione.
E’ questa a mio parere la vera distinzione fra animalismo e antispecismo. Il che non significa che l’antispecista non “lotti” sul campo. Ma lotta per una messa in arresto delle strutture senza lavorare a costruirne altre, lavora alla de-fondazione e non a una nuova fondazione. Agisce per smagliare l’ordine simbolico lasciandolo smagliato, non per tesserne un’altro, in una ripetizione senza fine.
E non è un caso che tu descriva in termini così bonari gli animalisti. No, mi spiace, la maggior parte di quelli che si autonominano animalisti, che rifiutano esplicitamente le pratiche e l’azzardo di pensiero dell’antispecismo, sono proprio quelli che puntano il dito, che moralizzano, che criminalizzano – soprattutto i singoli, e a volte fino alla gogna, se non alla forca. La loro è esattamente quella che Nietzsche chiamerebbe “l’orgia della volontà”. Non è un caso che disprezzino la politica (e non intendo quella istituzionale) e la pazienza del pensiero e del dialogo (interno ed esterno) e puntino tutto sull’azione diretta senza riflettere sui significati che essa, in termini di obiettivo e metodo, significano e simbolizzano.
(Personalmente, davanti ad essi, preferisco protezionisti e conservazionisti, che almeno lavorano sul concreto senza fare troppi danni).
Quello che tenti qui è una compressione e una con-fusione fra due componenti del movimento che, certo, non sono due blocchi impermeabili e mostrano anzi fra di loro una gradualità innegabile, ma che restano per lo più distinti. Non separati, ma distinti e distinguibili.
Cos’è la macchinazione totale del mondo e del vivente? La metafisica della soggettività? Il succo del tuo discorso è che non dobbiamo pensarci come individui? e come si arrestano i dispositivi concettuali ( e cosa sono? )? Dunque l’antispecista non vuole un ordine simbolico ( cosa sarebbe poi? ).
Non sono domande provocatorie, è che è quanto di più oscuro mi sia capitato di leggere.
Eraclito, l’oscuro, parla ancora oggi,
Cartesio, chiaro e distinto, non sa più cosa dire.
ci mancherebbe altro che voglia mettere a tacere Eraclito, però a meno che non vogliamo aspettare millanta anni per capire…
Il guaio dei filosofi oscuri è che alcuni sono melmosi, altri profondi.
Sta al lettore fornirsi di stivaloni o affondare. 😉
ok, però battute a parte ( per quanto ne capisco il senso al di là della freddura ( parafrasando oltre la mezzanotte )), tu un vago significato l’hai colto o ti è tutto chiaro?
per niente, Matteo, neanche io ci ho capito molto, ma in molti scritti di questo Derridiilgambo ci sono lampi notturni che illuminano paesaggi impensati…, scusami la vena misticheggiante 😉
Scusa, in un commento non trovo spazio e tempo per evidenziare tutti i passaggi ed esplicitare interamente il significato dei termini.
Ma non è uno stimolo a curiosare, anche? 🙂
ok, curioserò
Ripeto quanto scritto: l’animalista che descrivi tu (forcaiolo, moralisteggiante ecc.) corrisponde a uno stereotipo che nella realtà non esiste.
Tra animalismo (inteso come lotta per liberazione animale) e antispecismo (inteso come lotta per la liberazione animale, ossia lotta per abbattere il pregiudizio di specie, quale indica esattamente l’etimologia del termine) non c’è nessuna differenza.
Quello cui fai accenno tu è una teorizzazione dell’antispecismo diversa, ma non è questo l’oggetto del mio post.
“Ma lotta per una messa in arresto delle strutture senza lavorare a costruirne altre, lavora alla de-fondazione e non a una nuova fondazione. Agisce per smagliare l’ordine simbolico lasciandolo smagliato, non per tesserne un’altro, in una ripetizione senza fine. ”
E chi ti dice che gli animalisti non vadano anch’essi in questa direzione?
Osservo il movimento da anni. Conosco la sua storia, i suoi slogan, le sue bandiere. Sono stato co-fondatore e promotore di una campagna durata due anni, che certo non coinvolgeva, fuori e dentro, solo antispecisti. Conosco quasi tutte le realtà del movimento che ci sono in Italia. Ho avuto discussioni infinite con estinzionisti, primitivisti e animalisti che si rivendicavano apertamente NON antispecisti. Sul tema ho discusso all’infinito con tutti i “blocchi antispecisti” e con un’infinità di persone. Ci ho scritto su diversi articoli, generalmente apprezzati.
E’ una generalizzazione, la mia, che però al 90% ci azzecca, Poi come ogni generalizzazione, fallisce (per fortuna!) la totalità.
Non è affatto uno stereotipo. Potrei raccontare decine di vicende e centinaia (migliaia se la mia memoria funzionasse meglio) di aneddoti, ormai, che dimostrano la realtà tangibile di un animalismo colpevolizzante e forcaiolo (a volte al limite o al di là dell’apologia di reato, o del reato stesso) che spesso sfocia nello squadrismo fascistoide (ci cade qualche autodefinentesi antispecista, ci mancherebbe).
I miei articoli sono tutti lì, consultabili.
Qui su Asinus, su Anet e su Liberazioni.
Diciamo che vi ho dedicato un voluminoso lavoro d’indagine e riflessione.
Tu qui cerchi di operare attraverso un avvicinamento fra l’antispecismo “debole” (che io considero in realtà una forma di animalismo, ma sui generis) e l’animalismo classico, una confusione totale fra antispecismo e animalismo.
Compi un’operazione pericolosa e non te ne rendi conto, perché non conosci il lato, diciamo, poco per bene, del movimento. Che è prevalente, ma lontano da noi, quindi occultato (dalle nostre festicciole per bene?)
Il rischio è, dopo aver giustificato la separazione fra liberazione animale e liberazione umana, roba su cui gli animalisti fanno festa, giustificare, anche, a occhi bendati, la bontà dei loro metodi di lotta.
Indirettamente e inconsapevolmente, ripeto. Non credo tu saresti d’accordo col festeggiare, p es, il linciaggio fisico, reale (l’uccisione, per esser più chiari), di un maltrattatore di animali.
Ma se convochi a unità tutti sotto la bandiera dell’animalismo, senza conoscerlo concretamente, giustifichi quelle pratiche senza rendertene conto.
E’ questa la ricezione, questo l’effetto.
Ripeto, preferisco molti semplici zoofili, volontari di canili.
Preferisco il conservazionismo di Sea Sheperd, anche se Paul Watson è un cripto-fascista e quando apre la bocca viene da pregare dio di fargli perdere la facoltà della parola (è una battuta, per chi non non afferrasse in prima istanza).
Preferisco la Fiom, ovviamente.
Costui s’è dimenticato dell’undicesima:
11) Dividili in -isti e i loro movimenti in -ismi, e li annienterai.
Una ventina d’anni fa strappai una chiocciola dalle mani di un bambino, che come tutti i bambini, si sa, usano gli animali come giocattoli.
Mentre la madre mi assaliva con insulti e improperi, il padre l’allontanò dicendo:
«Lascialo perdere, è solo un povero animalista».
“Vai per salvare un animale e ti danno dell’animalista”.
derridiilgambo….affermando: ” No, mi spiace, la maggior parte di quelli che si autonominano animalisti, che rifiutano esplicitamente le pratiche e l’azzardo di pensiero dell’antispecismo, sono proprio quelli che puntano il dito, che moralizzano, che criminalizzano – soprattutto i singoli, e a volte fino alla gogna, se non alla forca”… dimostra, senza ombra di dubbio, di non essere al corrente di particolari accadimenti. Soprattutto dimostra che non era presente a certi fatti, perché accade l’esatto opposto. Sono proprio gli antispecisti politici (non tutti per fortuna) estremisti e, è il caso di dirlo persino arroganti, che mettono alla gogna, offendono e accusano, senza conoscere minimamente le persone oggetto dei loro attacchi. Violenza psicologica ben peggiore di quella fisica, con l’unico esito di generare forte disagio. Molte delle persone “escluse a prescindere” hanno cercato in tutti i modi possibili un dialogo, si sono attivati per possibili incontri…hanno trovato solo muri di granito. Rita, ti ringrazio per questo preziosissimo messaggio, una vera boccata d’ossigeno in tempi in cui c’è chi si arroga il diritto di vietare la possibilità di “respirare” la stessa aria. Al punto che mi viene da pensare: ma chi sono i veri razzisti e xenofobi?
Ecco, appunto.
I comportamenti escludenti, elitari e supponenti li ho sempre e solo visti da parte di alcuni antispecisti. Cosa tipicamente italiana peraltro.
E poi forcaioli sarebbero gli animalisti? Forcaioli perché dicono che i vivisettori sono degli assassini? Certo, tecnicamente lo sono eccome.
Solo che, a differenza di quanto fanno questi ultimi, cioè i vivisettori, che uccidono materialmente gli animali, non mi pare che ad alcun vivisettore sia mai stato torto un capello.
Grazie Stefania. 🙂
quando tutto era più semplice e logico, cioè quando ero bambino, decisi di smettere di mangiar carne perché avevo visto un filmato dove macellavano gli agnelliini; poco cresciutello, mi immaginai e pensai come ‘animalista’. la gente ‘comune’, quando sente come penso e cosa faccio, dice subito: ah! quindi sei un animalista?!
sì 🙂
mah, io preferirei che mi dicessero:
ah, quindi sei un animale?!
sì 😀
😉
infatti ho parlato di gente comune, ed è già molto così! a volte, se meritano, che sono un animale lo aggiungo e preciso io 😉 😀
Parliamo sempre di “scardinare il sistema”. I singoli, quando liberano se stessi, allora sono pronti a riconoscere che esiste un sistema. E qui c’entra anche tutta la questione se diventare vegano e’ sufficiente a riconoscere che esiste un’oppressione globale. Mediamente 1) il vegano se e’ arrivato al punto di liberarsi da una cosa cosi’ radicata quale l’onnivorismo ha probabilmente gia’ eliminato altre illlusioni;
2) se non l’ha ancora fatto, ”aver abbandonato una credenza cosi’ forte quale l’onnivorismo lo puo’ mettere in grado di immaginare che altri lacci possano essere sciolti o che altre mistificazini possano essere svelate
3) dire “si’, ma come scardiniamo il sistema?” e’ una frase giusta ma in fondo anche un po’ inefficace dato che il sistema lo conosciamo bene e il sistema non lo scardiniamo da un giorno all’altro e con un solo tipo di approccio. Magari sarebbe ben che alcuni antispecisti si “scardinassero” dalla convinzione secondo cui ottenere che un sempre maggior numero di individui scelga di diventare vegano non sia possibile.
e questa te la rubo Massimo… 🙂
E chi l’ha detto che non sia possibile? Ma se anche fosse, che ce ne frega a noi di avere a che fare con 100.000 vegani specisti?
Le critiche mi pare che sono state mosse verso gli animalisti intesi come autodefinisti NON antispecisti.
Poi ognuno è libero di scegliere i propri metodi di lotta ma non si può pretendere che una persona che lotta per la liberazione animale ed umana possa condividere il linciaggio di un addetto al macello.
Siccome però, non tutti gli animalisti sono “forcaioli”, il dibattito è sempre plausibile ed auspicabile.
Però sforziamoci di essere un tantino elastici nella lettura del termine “animalista” che vuol dire tante cose ma anche nessuna cosa 🙂
Roberto, tu hai mai visto un animalista procedere al linciaggio di un macellaio?
E comunque ogni animalista che lotta contro lo sfruttamento degli animali è, di default, antispecista. Il termine antispecismo viene divulgato per la prima volta grazie a Animal Liberation di Peter Singer ed è inteso come lotta contro il pregiudizio morale di specie che giustifica lo sfruttamento degli animali.
Poi gli studi e teorie degli antispecisti politici ne hanno fatto qualcosa di molto più complesso, di cui personalmente tengo anche conto.
Ciò che io contesto è la liberazione umana come conditio sine qua non di quella animale.
mi piacerebbe leggere gli articoli di derrida, dove li trovo? ci sarebbero dei link? ( tra l’altro, derrida è pseudonimo per…?). scusate l’ignoranza e grazie per le indicazioni. nel prossimo post proverò a nuttar lì ancor qualche altro pensiero 🙂
Antonio Volpe.
https://asinusnovus.wordpress.com/author/derridiilgambo/
una segnalazione particolare:
https://asinusnovus.wordpress.com/2012/05/29/davanti-a-caino-gli-animalisti-e-la-forca/
simulAcro
Mi pare che si abbia la pretesa, come ho scritto nell’articolo, di voler definire ancora una volta l’archetipo animalista, che è ciò che proprio, guarda caso, io contesto. 😀
Gli animalisti e la forca, come se tutti gli animalisti, tutti tutti, invocassero la forca. E ditemi, su, quanti animalisti hanno mai linciato mangiatori di bistecche, pelliccia e sfruttatori di animali?
Appiattire sotto un’etichetta un movimento variegato e composito, questo sì è atto di vera violenza.
@rita
Il lungo articolo di ‘derridiilgambo’ a cui (se non ho capito male) ti stai riferendo nella risposta, mi pare vada molto oltre rispetto a una presunta prestesa “di voler definire ancora una volta l’archetipo animalista”.
L’articolo tratta infatti di spoliticizzazione e rimozione della politica fino alla sua interdizione in chiave antipolitica, compiendo anche un ampio excursus storico su tutto questo processo; ma se anche, nel testo, gli spunti polemici (a iniziare dal titolo) sono spesso rivolti all’animalismo “a-politico” (e non a un generico “archetipo animalista”) tutta la trattazione si può tranquillamente trasporre a altri movimenti diversi da quello animalista (per esempio – dico io – a SNOQ). Passa poi a discutere, in modo abbastanza approfindito e articolato, dei diversi approcci e delle diverse posizioni entro la “piramide libertaria” che ricomprende “tutti noi, antispecisti e animalisti in generale” (antispecisti politici più o meno “radicali”, antispecisti iniziatici, animalisti a-politici, animalisti non antispecisti ecc.).
Dunque, nell’articolo in questione (che peraltro, personalmente, non necessariamente condivido in toto), proprio non riesco a vedere né la volontà di definire un “archetipo animalista”, né l’appiattimento del movimento amimalista/antispecista sotto alcuna etichetta. E vale anche per il titolo dell’articolo (“Davanti a Caino: gli animalisti e la forca”) che è, appunto, un titolo: basta leggere il testo perché sia evidente come non vi si etichetti e appiattisca alcuno… e come non vi sia alcuna violenza, ma piuttosto una analisi estesa – anche critica e polemica – di processi, di approcci e posizioni.
Ultima cosa, sulla violenza: come chiamiamo l’atto di ridurre un testo al solo titolo, “rimuovendone” tutto il contenuto per sostituirlo con una interpretazione dello stesso titolo sulla base della quale bollarlo, infine, come “atto di violenza”?
@ Antonio
Non mi pare che alcun animalista abbia mai linciato uno che maltratta gli animali. Dunque, di che stiamo parlando? Non giustifico proprio nulla e comunque mai la violenza reale. Ho anche altresì spiegato che alcune critiche al movimento gliele faccio anche io.
Giusto ieri sera sono stata a vedere la proiezione del documentario di Piercarlo Paderno sulla liberazione di Green Hill e beh, come ha detto anche lui, quel processo di liberazione si è messo in moto dal basso e di certo il movimento che ha ingrossato quelle fila era composito.
E io, sì, come sai rivendico la specificità della liberazione animale perché lo sfruttamento degli animali ha peculiarità del tutto diverse da quello umano.
A me, sinceramente, pare invero molto pericoloso confondere le due forme di lotta perché il rischio, come ho scritto tante volte, è quello di schiacciare ancora una volta la specificità del dolore animale sotto problematiche solo umane; il rischio è quello di sentire l’esigenza di dover mettere un cappello umanitario alla lotta per la liberazione animale come se, essa, da sola, non fosse sufficiente a pretendere la discesa in campo di tutti noi.
E poi fammi capire, dunque di tutte questi animalisti che disprezzi e ti fanno quasi paura, che dovremmo fare? Non dovrebbero partecipare alla liberazione animale?
Gli ecologisti che approvano la pesca sostenibile sì e persone seriamente determinate a combattere lo sfruttamento degli animali, no?
Beh. Non è la mia posizione.
Comunque ti ringrazio per aver speso del tempo a scrivere commenti così approfonditi.
Io ho parlato di festeggiamenti per un linciaggio:
http://www.antispecismo.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=49:linciaggi-felici
Poi c’è il caso Tinkebell e quello del giornalaio di Via Solari a Milano, che discuto in Mostri Animalisti (dove i mostri morali sono quelli creati dagli animalisti, a loro volta descritti come tali dai rappresentanti dello sfruttamento animale, chiudendo il cerchio della messa in stato di eccezione di tutti gli umani) su Liberazioni.
Poi se vuoi ti racconto dell’ultima di Viterbo, degli sputi sul negozio di pellicceria a Montichiari con tanto di litigio in piazza e minacce di morte, delle pubblicazioni di tutti nomi gli sperimentatori di Milano, della bella pratica di pubblicare le foto dei parlamentari contrari all’emendamento 14 (una roba da Libero o il Giornale). E di ogni “lo voglio morto” per ogni maltrattatore, cacciatore, sperimentatore, che appare ogni 5 minuti su fb (io non so che guardi tu sul SN in questione, o da che pianeta).
Gogne pubbliche e mediatiche, linciaggi simbolici, azioni squadriste, minacce. Questa è la gran parte del movimento, che non fa che collaborare ad una spirale di violenza senza fine. La galera, la galera! Ma qualcuno di questi fascisti per bene ci è mai stato in un carcere? Sa che senza la cosiddetta “riabilitazione” (che non c’è quasi da nessuna parte), si esce più incazzati di prima e si fa peggio di prima? E’ questo il modo di difendere gli animali dalla violenza? Oppure pensate di comminare ergastoli a raffica in un sistema specista (roba che renderebbe un sistema anti, o aspecista un incubo poliziesco)?
Se in Italia non si ammazzano gli sperimentatori come in Messico è perché qui c’è la paura di una polizia che funziona, almeno finché non sarò sostituita da quella animalista.
Per me facciano quello che vogliono, gli “animalisti” che si rifiutano all’antispecismo (di quelli parlo), a me resta almeno la libertà di criticarli o devo temere di trovarmeli sotto casa (metafora e iperbole)?
Non è un affare di paura, è l’osservazione di un movimento in disfacimento.
Prima di Regan e Singer, il motto della Band of Mercy e poi dell’ALF era Animal Liberation – Human Liberation.
Poi le condizioni politiche son cambiate, ovvero è stata fatta a pezzi la politica.
Senza contare che la storia del movimento italiano è completamente diversa, e per certi versi più triste.
Grazie a te di questi preziosi contributi alla chiarezza e alla consapevolezza politica.
Firmato L’ANIMALE che dunque sono
Dunque ora sarei diventata una che anziché fare chiarezza porta confusione e annulla la consapevolezza poltica? Sono stanca di queste offese continue, hai passato il limite.
Ma chi ti ha detto che io voglia sdoganare la violenza? Ma cosa ci hai visto in questo mio pezzo?
E comunque i nomi degli sperimentatori di Milano sono stati diffusi attraverso la condivisione di un dossier PUBBLICO e dunque, dimmi, se gli sperimentatori fanno un lavoro legale, perché dovrebbero nascondere i loro nomi? Tanto più se comunque compaiono nei dossier pubblici?
Ovvio che ci sono le frange più violente, come ci sono in ogni movimento, anche in quello antispecista che dovrebbe essere consapevolmente politico e che invece, guarda caso, si è spesso adoperato in linciaggi mediatici (e non solo) contro il presunto fascista di turno. O ti devo ricordare che a Correzzana alcuni antispecisti hanno inneggiato alle foibe e creato mostri in maniera artificiosa?
Dunque la violenza (sia verbale, che fisica) esiste tanto nell’antispecismo, che nell’animalismo, NON è solo appannaggio dell’animalismo. Come non lo è l’ingenuità o l’inconsapevolezza politica.
Rita, sai bene quanto io disapprovi e combatta il settarismo violento di un *certo* antispecismo antifascista “militante” (quello che vede fascisti ovunque, anche dove non ce n’è traccia, per intenderci) E mi sento di ritenere che derridilgambo lo combatta tanto quanto noi. Ma qui si sta parlando d’altro, e quelle frange sono comunque minoritarie all’interno dell’antispecismo. Tu sostieni che *chiunque* combatta per la liberazione animale è un antispecista ipso facto. Chiunque? Anche un estinzionista violento o un nazista dichiarato? Ti sentiresti perfettamente a tuo agio marciando accanto a qualcuno che orgogliosamente esibisce una svastica in nome della liberazione animale? E con l’obiettivo di *quale* società diversa costruire, tu e il nazista insieme appassionatamente “per gli animali”? Non è una domanda polemica. E poi, di nuovo, l’antispecismo politico non consiste nel voler mettere un “cappello umanitario” alla lotta per la liberazione animale. Questa è la lettura fuorviante dell’AP che compare nel libro di Leonardo e alla quale mi sembra molti abbiano già risposto molto meglio di quanto potrei fare io (Giovanna)
Mi pare una domanda pretestuosa perché sai bene che quando parlo di animalisti non dico che non ce ne siano diversi esenti da critiche e con i quali non farei nulla insieme. Ma trovo che quando si parli di animalisti con tono sprezzante purtroppo si tenda a fare di tutta l’erba un fascio e così tutti finiscono per essere forcaioli, violenti ecc..
In questo articolo ho voluto semplicemente dire che non esiste uno stereotipo animalista riconducibile alla violenza, all’ingenuità ecc., ma che appunto esiste un panorama variegato di tantissimi individui. La maggioranza è gente che si fa un culo così da mane a sera per salvare gli animali e queste persone io le difenderò e appoggerò fino alla morte.
Guardati, quando ne avrai l’occasione, il documentario sulla liberazione di Green Hill, ebbene, quelli erano animalisti, soprattutto, persone che si sono unite in un movimento nato dal basso. Perché qualche volta può capitare che sia la prassi a delineare la teoria e non viceversa.
Cosa c’entra il nazista? Ovvio che col nazista non ci vado manco a prendere un caffè, ma non perché è animalista, semplicemente perché è nazista. Altrimenti si fa come quelli che disprezzano i vegetariani perché anche Hitler era vegetariano (che non è vero, peraltro, ma vabbè).
Curioso comunque come il solo termine “animalista” ad alcuni faccia drizzare i capelli in testa, sarete mica (non dico te, ma in generale chi li disprezza) animalistafobici?
Rita, non mi fa scrivere sotto la tua risposta quindi replico qui.
No! non ho mai visto un’animalista procedere al linciaggio. Ne ho visti e letti moltissimi gridare “Bastardi”, “Troia assassina”, “Dimmi come ti chiami e ti vengo a trovare a casa”, “Ti spacco la faccia Assassino”, “Ti ammazzo i figli così capisci cosa vuol dire” Ecc. ecc.
Non mi piace generalizzare ma sono realista ed anche se questi non rappresentano la maggioranza, sono un buona percentuale. Un’altra percentuale, ancor maggiore, si definisce autonomamente non antispecista, anzi, se pur con toni più moderati dichiara apertamente che andrebbero portate avanti azioni più incisive verso i vivisettori, i circensi, e gli allevatori stessi. Come se si potesse risolvere il problema liberando una giraffa oppure dando fuoco ad una stalla dopo aver sciolto le mucche. Chissene frega delle famiglie dei circensi e degli allevatori (che non sono neanche famiglie agiate)
Davanti allo zoomarine una signora gridava “Chiudiamo quasto schifo!” e poi guardandomi “mi dispiace per i ragazzi che ci lavorano dentro, ma è necessario, vuol dire che si troveranno un’altro lavoro”. Ecco! Forse questo è un’animalista degna della qualifica.
Conosco un’altra buona parte di animalisti che, come me e te, aborrono la violenza e si trovano a disagio semplicemente a manifestare insieme a questa gente.
Ma se anche fossimo tutti daccordo sul portare avanti un’azione più incisiva del semplice banchetto informativo o del flash mod o manifestazione silente, e si decidesse di replicare l’esperienza di Green hill o di Milano anche sugli allevamenti, sono proprio curioso di sapere da che parte si schiererebbe l’opinione pubblica. Laboratori e circhi sono una cosa, ma le stalle o i porcili sono altre.
Tu ci parli con la gente e sai benissimo che puoi trovare qualcuno sensibile alla vivisezione (qualcuno!) ma sono rari coloro che sono sensibili al maiale del quale tutti i giorni si cibano e che è ben esposto in pezzi sanguinanti sui banconi del supemercato.
Io ci sono nato e cresciuto in campagna, tra animali vivi ed ammazzati. Ne ho ammazzati con queste mani talmente tanti che ancora non riesco ad impressionarmi davanti un video di you tube.
Sai cosa mi ha acceso la scintilla? Una conferenza sull’ecologia dove si parlava dell’impatto ambientale della carne. Mi sono sentito talmente preso per il culo dal sistema che ho seguito mia moglie nella sua scelta vegana (che è partita a sua volta da un discorso salutistico). La consapevolezza della sofferenza animale è venuta in seguito e molto probabilmente non è ancora completa.
Come ogni onnivoro, ero abituato a non considerare la sofferenza degli animali d’allevamento se non in un’ottica di “gabbie più larghe” e “morte veloce”.
Riguardo la “liberazione umana come conditio sine qua non di quella animale”, malgrado sia stato spiegato ormai innumerevoli volte, tanto che l’ha capito anche un ignorante come me, dove e come questa impedisce di agire ANCHE subito e solo per loro? Dove questi loro lo stesso Caffo ha descritto come “gli animali che tutti siamo”.
Non ne sei convinta? Bene! Perchè allora non tentare e vedere cosa accade? Visto che c’e’ anche solo una possibilità che sia la strada giusta e che non comporta distrazioni. Male che vada tentando entrambe le strade (visto che una non esclude l’altra), se non avremo la liberazione animale, avremo una società migliore e qualche bambino potrebbe ringraziarci per la sua vita.
Ma se ritieni che la liberazione umana sia di qualche impedimento per la liberazione animale mi piacerebbe conoscerne i motivi.
Per me sarebbe utile poterci riflettere sopra.
Ed infine, sempre per riflettere, mi fai qualche esempio di azione che tu ritieni sia importante portare avanti “solo per loro”?
Guarda i motivi per cui non mi piace la cosiddetta “conditio sine qua non” è che io evidentemente avverto un’urgenza nel liberare gli animali che forse altri non sentono. Tu scrivi: ” Male che vada tentando entrambe le strade (visto che una non esclude l’altra), se non avremo la liberazione animale, avremo una società migliore e qualche bambino potrebbe ringraziarci per la sua vita.”
Beh, a me questo discorso non piace. Per me una società senza liberazione animale semplicemente non sarebbe una società migliore. Se anche venissero abolite tutte le sperequazioni sociali, non ci fosse più miseria, né dominio di uomini su altri uomini e però si continuasse lo stesso a sfruttare gli animali (cosa molto probabile se prima non si lavorerà a una cultura in cui non solo si smantellerà la società del dominio, ma verrà meno anche la sola idea di poter pensare di sfruttare impunemente gli animali e in cui si riconoscerà il diritto alla vita degli altri animali A PRESCINDERE dalle implicazioni che la fine del loro sfruttamento avrebbe o non avrebbe sugli umani), per me non si potrebbe affatto parlare di una società migliore.
Di esempi di azione importanti soltanto per “loro” (ma comunque in questi “loro” Caffo, visto che citi il titolo di un suo libro, ha sempre inteso alla fine ricondurci pure gli umani e lo spiega pure nel suo ultimo video) potrei fartene a migliaia: le liberazioni per esempio. I casi di Green Hill e l’occupazione dello stabulario di Milano sono state azioni volte a liberare gli animali e soltanto per loro (visto che a nessun umano gliene è tornato in tasca qualcosa); la seconda anche per portare il dibattito sulla SA a livello pubblico, ma sempre in un’ottica etica, ossia perché si ritiene che la vivisezione sia orribile a prescindere e non anche perché, come sostengono gli antivivisezionisti scientifici, sarebbe falsa scienza (ossia, non fraintendermi, non sto dicendo che gli antivisezionisti scientifici non debbano fare il loro lavoro, dico però che l’azione di Milano è stata compiuta per motivi etici e non scientifici e solo per gli animali).
Infine, non dico che la liberazione umana sia d’impedimento per quella animale, dico che appunto, come spiegato sopra, potrebbe semplicemente significare voler creare una società più equa per gli umani, ma ugualmente infernale per gli animali. E dunque ce la sentiamo di prenderci questo rischio? Io allora, scusami sai, ma nel frattempo continuo a seguire la strada che mi sembra più sicura, più diretta, più ovvia e lo farò con l’aiuto di tutti gli animalisti (tranne quelli davvero violenti perché sono convinta che siano i mezzi ad indicare il fine e non viceversa).
E non si pensi che comunque a me non interessino gli umani.
Quello che rivendico, sostanzialmente, è la specificità della liberazione animale, che richiede strategie di approccio diverse e contestualizzate poiché diverse sono le due forme di sfruttamento. Gli animali non sono semplicemente schiavizzati e sfruttati, ma sono fatti a pezzi, bolliti vivi, vivisezionati, considerati esseri inferiori, stupidi, sporchi, irrazionali. E, ripeto, per la centesima volta, mentre la maggior parte di noi non avrà difficoltà a riconoscere il corpo straziato della bambina morta in guerra, pochissimi invece osano soffermarsi con dolore sul maiale incellophanato nel supermercato. Questo esige due forme di lotta diverse, magari parallele, ma diverse.
Il fatto che le due forme di sfruttamento siano nate insieme (forse) non significa che anche la loro soluzione debba avvenire insieme perché nel frattempo ci sono state concatenazioni di causa-effetto che hanno praticamente creato abissi ontologici tra l’umano e l’animale. Se non prima non lavoreremo a colmare questo abisso, il pregiudizio sugli animali rimarrà invariato.
Inoltre “soltanto per loro” per me non significa appunto attivarmi solo ed unicamente per gli animali, ma anche rifiutare gli argomenti indiretti. Non mangio gli animali non perché la loro carne è piena di ormoni, ma perché li rispetto in quanto esseri senzienti. Gli argomenti indiretti (la carne inquina ecc.) lasciano il tempo che trovano, tanto è vero che si sta progettando l’enviropig.
Ultima cosa: non trovo nulla in contrario nel mettere i bastoni tra le ruote ai circensi o nel distruggere luoghi di prigionia e sfruttamento. Avresti trovato qualcosa in contrario nel distruggere i lager nazisti?
Dalla prospettiva animale (dell’animale imprigionato), un laboratorio è un lager.
Anche gli schiavisti o coloro che trafficavano con la schiavitù hanno perso il lavoro, ma, come dice Tom Regan, dovremmo preoccuparci delle persone che perdono un lavoro che NON è etico? Dovrei preoccuparmi per i dipendenti di Green Hill che hanno perso il lavoro? Me ne preoccupo umanamente e spero vivamente che trovino un’altra occupazione, ma ovviamente non posso che gioire per la chiusura e l’abbattimento di ogni luogo di prigionia.
Questo per me significa lottare per la liberazione animale. Altrimenti è altro.
E, come dice Caffo, dobbiamo metterci in testa che infatti la liberazione animale non è per umani, ma appunto per gli animali e che potremmo anche perdere alcuni privilegi. Altrimenti non è liberazione degli animali, ma altro.
@ simulAcro
Guarda che io quell’articolo l’avevo già letto e l’ho anche riletto. Quindi non lo riduco affatto al solo titolo. Ne condivido alcune parti. Ma mi pare che veramente ci si riferisca sempre a un archetipo dell’animalista.
Dell’intero articolo di Rita, che mi piace, che ha molta passione – carburante irrinunciabile nell’attività di battersi/impegnarsi/lavorare/pensare/assistere/pensare (con/pro/per) gli animali (altranimali), che è attività logorante e a rischio burn out, come immagino TUTTI quelli che hanno scritto commenti in calce all’articolo, sappiano molto bene. Dell’articolo, nel mare dei commenti che hanno virato su analisi e dibattito di impronta socio-filosofico-politica (in senso lato), vorrei ora riportare un brano che mi ha molto impressionato, e che mi sembra – nel dibattito – sia andato perso di vista:
“Le immagini e video degli animaletti graziosi non sono il frutto dell’autocompiacimento zoofilo, sono invece necessarie a rendere giustizia delle loro tante caratteristiche, della loro vita interiore e intelligenza, a spazzar via tutto l’immane racconto di quella falsificazione sui loro attributi che è in atto da millenni. Le foto che tanti animalisti pubblicano per rendere visibili quei luoghi dello sfruttamento cui altrimenti nessuno avrebbe accesso vanno ad agire su un’area del cervello diversa da quella in cui viene elaborato il testo scritto (il verbo) contribuendo a modificare quella cornice cognitiva entro cui lo specismo è reso accettabile. Le arti figurative, quindi anche le foto, la poesia, l’allegoria, tutto ciò che è visuale agisce e lavora su altri livelli della nostra coscienza. Per questo anche la semplice condivisione di immagini su FB ha comunque una sua importanza, così come ce l’hanno i cartelloni, i manifesti affissi sulle strade, i volantini ecc.. Inoltre il creare immagini richiede precise capacità di analisi ed elaborazione del reale – che deve essere poi codificato in una certa maniera per essere recepito – lavoro non da meno di quello dei teorici.”.
Come più sopra ho scritto – e mi riferivo anche a questo brano – ci sono animalisti e antispecisti (domanda: in cosa si assomigliano? credo, e spero, che le cose condivise siano di più e più importanti di quelle non(con)divise … altrimenti, poveri (altri)animali!) che si battono e impegnano ciascuno con diverse risorse, tipicamente individuali (è l’uomo, non l’Uomo indivisibile, a cui antonio, mi pare, contrappone l’Animale, due moloch che si battono come nei manga di mazinga Z,) ma tutti con la consapevolezza e la focalizzazione pro la liberazione animale. I termini, ormai, si sono incrostati e sedimentati di significati e sfumature – e ciò può essere anche salutare, nella misura in cui la discussione dei distinguo rimane un mezzo e non un fine – per l’espressione che ho poco fa usato vorrei che fosse intesa nel modo più lato e lineare, direi infantile, possibile.
Credo, insomma, che a Rita premesse (ri)portare in luce un certo discorso di altro impegno, fatto riflessioni e uso delle immagini, dell’arte e della poesia, che sono – appunto – un’altra freccia al ‘nostro’ arco, una risorsa in più anziché una distrazione da ignorare. E che molti individui impegnati tutti i giorni verso gli animali, provano a usare e pensare, intuendone l’attrattiva.
Immagino, poi, che anche Rita, che ‘studia’ da attivista non-violenta (e sul cui esempio ho ripreso a rileggere per riportare alla mia consapevolezza, Gandhi), sia a disagio, o meglio, provi insofferenza, nei confronti di ‘animalisti’ violenti nei gesti, nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, svelti ad alzare le mani, a erigere forche a formare plotoni di esecuzione, a raccogliere pietre per linciaggi. Faccio fatica a pensarli davvero empatici verso i più esposti tra gli esposti, gli animali (questa frase, implicitamente, raccoglie e ricorda e pensa anche ai ‘diversamente umani’, a vario titolo).
Il futuro che mi piace auspicare non è quello in cui la violenza non si pratica perché la polizia è efficiente (quindi più violenta o più veloce nell’applicare il monopolio politico arendtiano della violenza), ma in cui la violenza è bandita e nemmeno pensata, perché i convinti, gli innamorati di un certo orizzonte di possibilità più di cura invece che dominio, hanno guadagnato il coraggio del ‘combattente non violento’.
Conosco – e sto conoscendo – anche io moltissimi animalisti che per fortuna applicano la loro sensibilità e intelligenza a scoprire i molti modi e risorse per difendere e curare e minimizzare la violenza, e si riesce a distinguerli molto bene dai volenti che – più spesso di quel che mi piacerebbe – sono magari pronti a usare una ‘bandiera animalista’ per riverniciare la loro violenza sempre vecchia e sempre la stessa.
“è l’uomo, non l’Uomo indivisibile, a cui antonio, mi pare, contrappone l’Animale, due moloch che si battono come nei manga di mazinga Z” Giovanni, mi sa che hai equivocato di brutto, Antonio critica proprio la demarcazione netta umano/animale che altri stanno riportando pesantemente in auge e che invece sarebbe proprio compito dell’antispecismo contribuire a smontare (Giovanna)
“I tagli dell’umano e delle specie ruotano attorno a quel macrotaglio netto fra Uomo e Animale che induce in errore perfino la logica, costringendola a utilizzare un termine particolare (uomo, una delle miliardi di specie che popolano questo pianeta) come se fosse un termine generale (L’Uomo come altro dall’Animale, dall’immensità delle specie viventi), e ipostatizza l’Animale come una sostanza collettiva che inerirebbe a tutte le specie non umane, dallo scimpanzé alla tenia saginata.”
Avevo in mente questo brano letto in “Terrorismo e Umanismo [… ] seconda parte”, di A.V. e ne ho ben capito il senso. Non ho quindi equivocato, ma semmai lasciato nel non scritto una parte di frase, che potrebbe suonare come “…Uomo… con cui antonio presenta la contrapposizione con l’Animale…”; il che significherebbe solamente descrivere che questa contrapposizione viene presentata, descritta e esaminata, NOn che antonio la appoggia. in effetti, è tutto il contrario. errata corrige mio, ma non madornale equivoco: quando mi appassiono a scrivere, tendo a velocizzare certi passaggi. ripeto: svista mia.. mi fa paicere cogliere l’occasione per poter affinare l’espressione e riportare la rotta nella sua iniziale (sottintesa) direzione.
Con cio? Non mi dispiace essere percepito come animalista da chi animalista non è, conosco e condivido l’antispecismo; e mi dispiacciono tutte le forme di violenza, che, stanno avendo come risultato anche quello di rendere difficile la comprensione tra persone che in teoria dovrebbero condividere un terreno e una sensibilità comune
Grazie Giovanni.
Sono felice che almeno qualcuno abbia capito il senso del mio articolo, che non era certo quello di sdoganare gli animalisti violenti, nazisti ecc., bensì di rendere giustizia alle tante e variegate attività portate avanti con passione da una miriade di teste che si trova riunita sotto una stessa battaglia, quella per la liberazione animale e che a torto viene definita ingenuotta, semplice, incapace di comprendere le dinamiche di sistema ecc..; quindi sbeffeggiata, descritta sovente con toni sarcastici e guardata dall’alto in basso (ma dall’alto di che?).
Il resto, tutto il discorso sull’antispecismo politico, sugli animalisti violenti e forcaiolo ce lo hanno voluto mettere altri, ovviamente al solo scopo di continuare a denigrare un movimento che, seppure non esente da critiche, è comunque bellissimo e in crescita.
Qui non ho voluto difendere chi è concretamente violento e in quanto alla violenza verbale ho invece già detto cosa ne penso nella famosa lettera aperta agli animalisti, di cui ho messo il link.
E mi pare che io abbia scritto e ribadito più volte che credo nella nonviolenza, quindi… veramente non capisco cosa alcuni commenti abbiano voluto dire.
Una volta di più, poiché sono un balbettante bambino nella filosofia animalista-antispecista-post-umanista (aneddoto: vorrei i poster di Singer e Regan, di Derrida e Marchesini, nella mia cameretta; un autogfrafo di Caffo sul suo libro, o di Devetag, o di Maurizi sulle loro pubblicazioni, sarebbero per me motivo di gioia, perché mi ricorderebbero che ‘anche io c’ero, e mi facevo strada nel mondo alternativo degli animali liberati, dove solamente mi sento nel mio posto giusto, e sul quale cerco di assorbire tutte le informazioni e riflessioni, ben conscio che la realtà che ci contrappone è dura e corazzata e pervasiva) – posso solo riferire a grandi linee esperienze mie personali. Ho in odio la violenza, anche quella verbale: sono d’accordo con chi condanna, stigmatizza, indica, si dissocia, disapprova e smonta, tutte le moltissime tirate verbali incredibilmente violente che spesso si leggono su fb. Sono tristi, avvilenti, e squallide, fanno presto dimenticare il perché si è per esempio aperta una certa immagine, che era quella , magari, di conoscere una storia, con un singolo individuo animale come protagonista. Portano a svalutazione (esterna e forse persino interna) di tutti gli animalisti, considerati da chi non li conosce come un blocco compatto di poveri fanatici, senza vita sociale (per di più), e chissà che altro. Conosco persone animaliste sensibilissime e acute, attente e attive coi cuccioli di uomo (ad esempio, in ambito pedagogico), aperte alla cultura e al sapere umano, che sono state attaccate e offese in modo schiacciante sul piano personale da cosiddetti animalisti ad alta percentuale (per usare una parafrasi), il che, mi ha reso ancor più guardingo nei confronti di questi personaggi, che non dovrebbero avere posto in una battaglia e in un impegno così cruciale come quello per gli altranimali.
Rita, ripeto anche io per la duecentesima volta: in che modo “liberare” gli umani ad esempio combattendo lo strapotere delle lobbies dell’informazione, delle multinazionali dell’industria zootecnica e delle case farmaceutiche danneggerebbe la lotta per la liberazione animale anziché RENDERLA PIU’ CONCRETAMENTE POSSIBILE E PIU’ VICINA NEL TEMPO? Tu continui a ripetere lo stesso errore logico fin dall’inizio. Non si sta dicendo che una società liberata sia di per sé *sufficiente* per liberare gli animali (perché qui, al limite, il controesempio del mondo possibile di Caffo potrebbe avere un senso), si sta dicendo che sia *necessaria*. Per motivi che dovrebbero essere evidenti a chiunque. A meno che per “liberazione umana” non si continui a intendere, abbastanza caricaturalmente, che gli antispecisti dovrebbero andare al Gay Pride (Giovanna)
Ma anche gli animalisti sono d’accordo nel combattere lo strapotere delle lobbies dell’informazione, delle multinazionali dell’industria zootecnica e delle case farmaceutiche quindi, appunto, il senso del mio articolo era, se anche gli animalisti vogliono fare questo – e perché non sono così ingenui come li si pensa – perché continuare a dipingerli come dei sempliciotti incapaci di comprendere le dinamiche di sistema?
Poi non dico che non si debba lavorare contestualmente nel liberare la società, dico che se però insieme non lavoreremo per costruire un’etica animalista (cosa che gli animalisti sanno fare abbastanza bene) allora liberare gli umani non sarà servito a niente, ossia non sarà servito per gli animali.
E comunque stiamo andando fuori tema… no problem, ma penso che ormai il mio pensiero tu lo conosca a menadito.
E come si fa, di grazia, a combattere lo strapotere dell’industria zootecnica globale se non si può nemmeno parlare, tanto per fare un esempio, del fatto che la zootecnia ci sta portando alla catastrofe ecologica e a un futuro molto prossimo di guerre per il cibo? Dimmi, tu hai mai sentito qualche volontario che lotta sul campo contro lo sterminio per fame affermare che sia eticamente sbagliato dire che la zootecnia inquina il pianeta perché trattasi di argomento indiretto che offende il bambino africano che muore? E non venirmi a dire che il bambino africano a differenza dell’animale è già oggetto di attenzione morale perché è evidentissimo che nella pratica a nessuno importa nulla (Giovanna)
Rita, scusa eh? Tu hai scritto (testuale): “E comunque ogni animalista che lotta contro lo sfruttamento degli animali è, di default, antispecista.”
La mia domanda sul nazista era relativa a questa tua affermazione, alla quale tu mi rispondi: “e che c’entra il nazista?” Come che c’entra? Capisci che le due frasi non possono stare insieme? O correggi l’affermazione di prima, cioè la specifichi meglio, oppure per te anche il nazista che lotta contro lo sfruttamento degli animali è un antispecista, nel senso che evidentemente la tua definizione di antispecismo (non di animalismo) è tale da farci rientrare anche un nazista, fintanto che vuole combattere lo sfruttamento degli animali non umani (avendo ben altri progetti in testa relativamente a quello umano). Ma non eri tu che dicevi sempre che un antispecista dovrebbe essere di default antirazzista, antisessista, ecc.? (Giovanna)
Antispecista inteso nella sua accezione etimologica, ossia come colui che lotta contro il pregiudizio morale di specie.
Ma l’ho spiegato, anche in più passaggi.
E ho detto sempre che io, in quanto antispecista, sono anche di default antirazzista, antisessista ecc.. perché questa è la mia maniera di intendere l’antispecismo; però etimologicamente antispecismo significa proprio essere contro lo specismo, e lo specismo descritto dai padri fondatori dell’antispecismo, appunto Singer e Regan, è tutto ciò che giustifica e legittima lo sfruttamento e la violenza istituzionalizzata sugli animali; quindi la nostra cultura, le nostre leggi, le nostre tradizioni ecc..
No, ma mi pare che qui si sia venuto a creare un fraintendimento gravissimo e per questo vi pregherei di rileggere il mio pezzo.
Io NON ho mai inteso dire che approvo TUTTI gli animalisti, ovvio che i violenti, razzisti, omofobi ecc., non mi interessa difenderli.
Ho solo detto che NON tutti gli animalisti sono appunto come li si dipinge, ossia ingenui, sprovveduti, ignari delle dinamiche del sistema ecc.. Ma è così difficile da capire? E che quindi NON esiste uno stereotipo dell’animalismo.
Che c’entra che ora mi parlate dei violenti, nazisti ecc.?