Chi è il “padre” dell’antispecismo politico?
di Marco Maurizi
Ovviamente nessuno, perché come detto più volte “antispecismo politico” è un’espressione che di per sè non significa niente, non indica niente e nessuno ma serve semplicemente a mascherare la violenta omologazione e cancellazione di una serie di autori e percorsi diversi che hanno problematizzato alcuni degli assunti dei primi teorici accademici dell’antispecismo (soprattutto Singer e Regan). Dell’intenso lavoro svolto da innumerevoli pensatori in Italia e all’estero non si dice più nulla coprendosi con la scusa di dover creare un “modello” in grado di spiegare ciò che questi non sarebbero in grado di spiegare e dimenticando che anche la poca “chiarezza”, ammesso che ci sia, va argomentata e dimostrata, non presupposta.
Ma di questa opera di semplificazione che permette di saltare a pie’ pari un serio confronto si è già detto in altra sede e quindi non è il caso di tornarci. Ciò che vorrei aggiungere qui è dare un’ulteriore prova di come tutta questa operazione sia stata creata ad arte per risparmiarsi un’analisi teorica che, evidentemente non si aveva tempo o voglia di fare, con risultati che lasciano stupefatti per l’approssimazione non solo teorica ma anche storica.
Da un po’ di tempo, infatti, ha inizato a circolare la palla secondo cui l’antispecismo politico, pur non esistendo, avrebbe un precursore e costui sarebbe David Nibert autore del saggio Animal Rights/human Rights: Entanglements of Oppression and Liberation (2002). La filogenitura è traballante già da un punto di vista teorico: se per qualificare l’antispecismo “politico” si va alla ricerca di chi pensa che la liberazione umana sia connessa ad una critica dell’antropocentrismo e dello sfruttamento del non-umano si potrebbe tornare indietro come minimo, che so, ad Adorno e a Lévi-Strauss. Ma questi due mangiavano le bistecche e probabilmente ciò viene considerato un argomento sufficiente per non prendere in considerazione le loro opere.
Ma se allora teniamo conto di pensatori vegetariani in senso stretto vedremo che le cose vanno anche peggio perché a parlare dello stretto legame tra liberazione umana e liberazione animale è addirittura uno dei primi teorici animalisti: Henry Salt autore del saggio Animals’ Rights: Considered in Relation to Social Progress (1894).
Ciò che tuttavia è sconcertante, scientificamente sconcertante, non è solo che questo “modello” non regge da un punto di vista teorico, ma che anche la sua presentazione storica è raffazzonata. Nibert viene citato come rappresentante primo e principale di questa pseudo-corrente dell’antispecismo per darsi un lustro accademico fondato sul niente. Il primo pensatore che ha proposto un’analisi e una soluzione sociale del fenomeno dello specismo all’interno del dibattito aperto da Singer e Regan non è Nibert, è Ted Benton in una serie di articoli pubblicati alla fine degli anni ’80 su riviste socialiste, cui seguì un vivace scambio polemico con Paul Burkett. Benton pubblicò il risultato delle sue ricerche in un volume intitolato Natural Relations: Ecology, Animal Rights and Social Justice (1993). Quasi dieci anni prima di David Nibert. Non a caso, gli autori dell’importante libro “politico” curato da John Sanbonmatsu, Critical theory and animal liberation (2011), hanno come punto di riferimento le opere di Benton (nonché l’opera seminale di Barbara Noske Humans and other animals. Beyond the Boundaries of Anthropology del 1989 e l’esperienza dell’ecofemminismo…chissà perché anch’esse spazzate via nel silenzio).
Se proprio si vuole continuare a parlare di “antispecismo politico” forse una maggiore attenzione alla letteratura che si intende criticare non guasterebbe.