Per una liberazione animale e umana oltre la natura
Di Leonora Pigliucci
Recensione di Al di là della natura di Marco Maurizi apparsa sul numero di aprile 2012 de “Lo Straniero“, mensile di arte cultura scienza società
Esiste una forma di progresso che non sia sfruttamento di esseri viventi? Cosa contraddistingue effettivamente le civiltà umane da quando hanno compiuto un balzo fuori dalla dinamica binaria che contrappone predatori e prede?
Con riferimenti all’archeologia e all’antropologia, in Al di là della natura. Gli animali, il capitale e la libertà (Novalogos, pp. 240, euro 22), Marco Maurizi indica la domesticazione (e la contemporanea reificazione) di animali e piante come fattore scatenante della cosidetta rivoluzione neolitica che segnò il passaggio dalla comunità di cacciatori del paleolitico alla primitiva società gerarchica che fu poi la base dello stato. C’è da chiedersi cosa resti, di quell’atto di sopraffazione verso la natura, nella nostra moderna civiltà fondata sul diritto. Possiamo dire concluso il tempo della nostra lotta per la sopravvivenza e guardare a un futuro di sviluppo sostenibile o invece, come ha affermato qualcuno, il neolitico (con la connotazione di dominio) non è ancora finito?
Attraverso una lettura storica rigorosamente materialista, che prende le mosse dalla considerazione dello stato di natura come regno della necessità elaborata da Marx e Engels, e si snoda attraverso la critica marxista di sinistra della scuola di Francoforte, Maurizi rappresenta la storia della civiltà come racconto della prevaricazione che oggettivamente avviene nella cultura umana dell’animale “fuori di sé” (lo sfruttamento degli animali negli allevamenti di vario genere e i laboratori di vivisezione costituiscono anche oggi la base economica della società), che si pone in un significativo parallelo, e anzi ne costituisce il presupposto, con la dominazione dell’animale umano che, per divenire parte di un sistema sociale via via più centralizzato e gerarchico, ha interiorizzato e riprodotto un dispositivo di potere che rende gli individui strumenti economici funzionali all’espansione della società, e che forma (in quanto essa si costituisce socialmente) la struttura della coscienza e dell’ agire dell’uomo.
Adorno e Horkheimer, per primi, hanno indagato come la coscienza umana sia sorta per negazione, dal suo distinguersi dalla primitiva coscienza animale: in un processo dialettico l’uomo genera il sé a partire dalla negazione dell’altro-da-sé e, al contempo, il dominio della natura esterna determina il controllo della natura interna dell’uomo, ovvero fa sorgere un’istanza di controllo degli istinti e dei moti interiori. Quando ebbe inizio il vero e proprio predominio dell’uomo sulla natura però, e la conferma vieni da studi archeologici, non ci fu un aumento di benessere generalizzato, come la prevalente ottica progressista tende a far credere. Il surplus di risorse derivante da agricoltura e allevamento fu invece, da subito, funzionale al vantaggio quasi esclusivo delle classi privilegiate, che amministravano un potere che si reggeva sull’accettazione da parte dei membri della società di un ordine gerarchico basato sulla divisione in classi e la schiavitù.
Contro un’ideologia del progresso che giustifica filosoficamente il dominio attraverso una lettura storica in cui il tempo è orientato in direzione di un “meglio” di sapore metafisico, come fosse un percorso lineare, Maurizi, in accordo con i pensatori della scuola di Francoforte, attribuisce invece alla cifra ricorrente dal neolitico ad oggi i tratti della circolarità: identiche strutture di potere che costituiscono l’innervatura di tutte le società umane classiste e speciste garantiscono l’espansione della società attraverso l’imposizione della forza.
Proprio la natura, oscurata dall’affermarsi della cultura, è il luogo in cui si rivela però la bestialità da cui solo illusoriamente l’essere umano si è emancipato: sono lo spietato asservimento degli animali e l’indifferenza verso l’immane sofferenza che viene loro inflitta, che, costituendo le fondamenta della nostra società civile, svelano il carattere contraddittorio della razionalità intesa sino ad oggi. Il fallimento delle istanze originarie della ragione emerge del resto dalla massima espressione di quello che fino ad oggi è stato definito progresso: la “catastrofe permanente” in cui l’umanità vive dopo l’olocausto, nelle parole di Adorno, e il disastro ecologico, fanno stonare irrimediabilmente la visione della storia umana come sviluppo razionale.
Ipotizzare la liberazione animale e della natura, come fanno i movimenti animalisti ed ecologisti radicali sorti a partire dagli anni 70, ha perciò un potenziale esplosivo che va al cuore della nostra civilità, di cui però non è ancora stata compresa a pieno la portata nemmeno da coloro che, nel non saper analizzare efficacemente le origini e la natura dell’antropocentrismo che combattono, non sono in grado di agire politicamente e risolvono la propria lotta nelle scelte etiche individuali di consumo e di alimentazione.
Ciò che interessa l’autore è invece riflettere sulla possibilità di spezzare la circolarità del dominio e, con Marcuse, ne individua la possibilità in un duplice riconoscimento: di una soggettività vitale nella natura e della naturalità nell’uomo.
Solo così si potrà infrangere il cortocircuito. Se il percorso storico è stato oblìo della natura, il riconoscimento della bestialità umana occultata, ma fondante, della civiltà, svela l’essenza del presunto progresso umano come esasperazione di quell’egoismo animale che contraddistinge lo stato di natura.
La via di uscita indicata dall’autore è opposta, allora, rispetto a quelle del primitivismo e della decrescita, che auspicano una negazione dalla modernità per tornare a un’età dell’oro precedente la civiltà che invece, secondo l’autore, non è mai esistita. Per Maurizi non va rinnegata, al contrario, l’emancipazione dalla natura, bensì portata a compimento fino alle sue conseguenze più estreme.
La Ragione, intesa come il luogo nel quale la natura si fa autocoscienza (l’uomo è natura a tutti gli effetti e non può essere considerato creatura contrapposta ad essa, l’autocoscienza umana è autocoscienza della natura) è la prerogativa che – con un atto inedito di solidarietà verso gli altri esseri viventi, che fuori dall’illusione spirituale di una coscienza umana “superiore” si mostrano finalmente come soggetti stretti dalla contingenza di una comune dimensione fisica – spezza la necessità della sopraffazione che da sempre contrappone le specie viventi nella lotta per la sopravvivenza, aprendo la possibilità di un salto di qualità dal regno della necessità al regno della libertà. Impossibile delineare, oggi, i tratti di un cambiamento del genere, ma è certo che in quest’ottica liberazione umana e animale sono imprescindibilmente legate una all’altra, la seconda presuppone la prima.
L’antispecismo svela così un potenziale di trasformazione inedito: esso offre alla sinistra antiautoritaria il quid necessario per il completamento teorico di un’alternativa coerente e totale al sistema di potere dominante, rivelando, e delegittimandone, il meccanismo con radicalità finora inedita.
commozione 🙂
figata!
onorata dal trasporto 🙂