“Perchè sono vegetariana”, di Margherita Hack

di Emilio Sanfilippo


La caratteristica principale di Perché sono vegetariana, di Margherita Hack, pubblicato dall’Edizioni dell’Altana (2011), non mi pare né la difesa etica del vegetarianesimo, né la forza delle sue argomentazioni sul problema considerato. Piuttosto, il volumetto della Hack mescola in appena 121 pagine astrofisica e filosofia, in un approccio olistico verso la realtà che non lascia di trascurare spesso e volentieri aneddoti di vita propria riguardanti l’esperienza diretta vissuta con il mondo animale.

Il libro della Hack non è particolarmente interessante in termini di difesa del vegetarianesimo e di fatti non offre alcun contributo specifico al problema etico del trattamento animale. Tanto per fare un esempio, per circa cinque pagine del capitolo iniziale, la Hack non fa che riportare una lettera ricevuta via posta elettronica (“Gente senza cuore”) invitando a riflettere sul dolore animale con frasi del tipo: “Nella speranza di un cuore umano più giusto e sensibile sta il segreto del bene e della pace nel mondo” (p.16). A parte l’emotività, più o meno condivisibile, la Hack ricorda come “gli animali da allevamento” patiscano atroci torture durante i loro pochi mesi di vita e alla fine del processo di allevamento siano confezionati in scatole di plastica luccicanti, dalle quali è difficile immaginarsi il rapporto tra l’animale stesso e quanto è riposto in quel frigo. Margherita Hack mette in risalto la scelta strategica e ipocrita di mantenere nelle città moderne i macelli ben lontani dai centri abitati e dunque dagli occhi umani. Dopotutto, è meglio lasciar fare il lavoro sporco ad altri e occuparsi della parte più interessante solo a lavoro finito: una bella bistecca cotta a puntino. In ogni caso, la fisica italiana richiama gli argomenti tipici della letteratura animalista senza preoccuparsi di argomentare la difesa del vegetarianesimo. A tal punto mi pare lecito richiamare almeno due esempi, quello di Peter Singer e di Jonathan Safran Foer, che attraverso le loro opere hanno portato contributi notevoli nella difesa del mondo animale. Sotto il profilo dell’argomentazione Perché sono vegetariana è più un resoconto della propria esperienza personale che un’indagine critica sul rapporto tra umani e animali non umani.

Probabilmente, però, è proprio qui che sta la chiave di lettura del libro, chiave che lo rende particolarmente diverso da altri testi: la Hack non è un filosofo1 impegnato nella difesa della propria visione del mondo (non ha scritto un saggio di etica sul vegetarianesimo), né tanto meno prova a convincere qualcuno che la propria sia la migliore posizione etica in commercio. La trama della sua argomentazione è tessuta di filosofia e senso comune, astrofisica e biologia in un libro non soltanto agile ma anche divertente da leggere. E in tutto ciò la Hack ne approfitta anche per spiegare qualcosa sull’universo, riguardo quelle che lei ritiene siano le premesse fisiche fondamentali perché si possa parlare di una teoria dell’evoluzione in termini darwiniani. Gran parte del testo, infatti, fa una sorta di storia fisica dell’universo e un capitolo è dedicato perfino ad una breve ma interessante discussione sulla differenza tra la panspermia e l’abiogenesi, due teorie che tentano di spiegare come sia stato possibile il passaggio dal non-vivente al vivente.

La Hack ricorda che, nonostante non ci siano ancora certezze sullo sviluppo della vita terrestre, l’astrofisica ci permette di ricostruire l’origine e l’evoluzione del cosmo a partire dal Big Bang. L’universo avrebbe avuto origini dall’energia prodottasi dall’annichilirsi di quelle particelle che formavano il brodo primordiale con le loro rispettive antiparticelle. Da un casuale minimo eccesso di particelle su queste ultime, forse dovuto all’asimmetria tra una particella elementare instabile, il caone, e la sua antiparticella, l’anticaone, ne è venuto fuori un universo fatto non soltanto di energia ma anche di materia. In altre parole, è proprio “a questa asimmetria [che] dobbiamo la nostra esistenza e quella di tutti i viventi, un’esistenza che sarebbe stata impossibile in un universo di pura energia, vuoto di materia” (p.76).

Ci si potrebbe chiedere che cosa abbia a che fare una storia fisica dell’universo con un libro sul vegetarianesimo, eppure il valore dell’argomentazione sta proprio nel dare una certa importanza all’idea delle origini comuni dell’intero universo per un’azione di risposta etica. Infatti, partendo da tali presupposti scientifici la Hack invita a riflettere sul rapporto con il mondo animale non umano, oltre a quello umano ovviamente. In tale visione delle cose, non c’è luogo per un antropocentrismo metafisico, come per esempio nelle religioni rivelate2, che pone l’uomo al di sopra di ogni altra specie, dato che tutto ha avuto le stesse identiche origini. Non c’è un uomo al vertice della scala dei viventi, proprio perché non c’è alcuna scala gerarchica tra le cose che esistono e se così si continua a credere è probabilmente per causa di determinate tendenze culturali, che vedono nella nostra specie il compimento di ogni cosa nel progetto di qualche mente assoluta a spasso per l’universo.

Dal punto di vista della scelta personale di mantenere un’alimentazione priva di carne e pesce, contro il senso comune che associa la salute fisica dell’organismo ad un’alimentazione a base di carne e pesce, la Hack ricorda di essere stata sempre una sportiva e da scienziato tiene a precisare che un’alimentazione priva di carne è perfino più salutare.

Il punto di vista della Hack mi sembra in tal senso “olistico”, dato che il rispetto per la vita non umana, il suo vegetarianesimo, trova origini nell’adesione dei suoi genitori alla teosofia, una filosofia di origine indiana fondamentalmente votata al rispetto di tutte le forme viventi, e vede nelle teorie fisiche sull’origine del cosmo un motivo in più per tale etica del rispetto. Per la Hack le cose ubbidiscono a specifiche leggi di natura e le scienze umane (scienze naturali o filosofiche ha poca differenza qui) non fanno altro che indagare l’armonia e l’ordine dell’universo. Il rispetto per il mondo animale è in un certo senso la visione dell’universo come un tutt’uno, in cui né l’uomo né altre specie giocano un ruolo di primo piano a discapito delle altre. Per dirla con Platone, “la natura tutta è imparentata con se stessa” (cfr. p.20 del testo).

Resta da dire che anche se la fisica stesse prendendo un abbaglio sulle origini dell’universo, il vegetarianesimo per questo non troverebbe un argomento contrario. Ancora una volta (almeno dal mio punto di vista) esso è un ripensare se stessi, quella rottura dell’abitudine con il mondo esterno, che ci fa più desiderare di vedere un animale girovagare libero per un prato rispetto al desiderio di condirne le carni con oli prelibati.

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1 Tanto per precisare, intendo dire che Margherita Hack non è un filosofo per professione, il che non rende le sue argomentazioni meno filosofiche di tante altre. Inoltre, in questa sede “filosofo” significa anche “filosofa” .

2 La Hack ricorda che il Concilio di Braga del 567 stabilì l’accusa di anatema per coloro che si astenevano dal mangiar carne. Si dichiarò infatti che “se qualcuno, perché giudica immonde le carni che Dio ha donato all’uomo per nutrirsi, e non perché desidera mortificarsi, si astiene dal mangiare queste carni, su di lui anatema” (cfr. p.21 del testo).

Comments
8 Responses to ““Perchè sono vegetariana”, di Margherita Hack”
  1. marcomaurizi74 ha detto:

    Grazie Emilio, mi sembra un’ottima sintesi che permette di cogliere il senso, il valore e i limiti della posizione della Hack senza le solite inutili polemiche.

  2. despin ha detto:

    Io vorrei chiedere alla Hack, e senza polemica, come faccia a non essere vegana. Porta in questo suo libro degli argomenti a riguardo?

  3. sintesy ha detto:

    Ciao ragazzi, grazie per il vostro interesse nei riguardi della recensione. Mi pare che la Hack non porti degli argomenti sul rapporto vegetarianismo-veganismo. Ma del resto, il loro rapporto non è nuovo alla discussione: ci sono alcuni che decidono di non consumare carni animali per evitare la sofferenza animale; altri che si rifiutano anche di consumare prodotti animali. Più che costruire delle opposizioni ideologiche persino tra chi non mangia carne, non bisognerebbe piuttosto riconoscere il valore della posizione altrui pur nelle notevoli differenze?

    • L. C. ha detto:

      ciao caro.

      secondo me la questione teorica interessante sta nel comprendere se sia possibile (secondo me no) essere antispecisti e contemporaneamente sostenere vegetarismo e non veganismo.

      La Hack non dice niente di speciale, e non ha senso discuterne a partire dal suo testo, di presenza le abbiamo chiesto delucidazioni e ci ha detto che basta ridurre e mangiare roba biologica.

      Ma, davvero, non credo sia particolarmente “eccitante” discutere dello stile alimentare della Hack, quanto comprendere se la coppia “antispecismo – vegetarismo” genera o no delle contraddizioni.

      Io ritengo di si, se “antispecismo” è opposizione allo sfruttamento e morte animale.

      L’unico modo coerente che conosco per essere liberazionisti e vegetariani, rinnegando il veganismo, è quello del filosofo Tzachi Zamir che infatti argomenta, in modo inedito, in favore di una liberazione animale SPECISTA: http://kazez.blogspot.it/2010/05/interview-with-tzachi-zamir.html

      leggetevi l’intervista magari, da questa può davvero partire una discussione proficua a tal proposito.

  4. sintesy ha detto:

    credo tu abbia ragione. Valutare il rapporto tra l’antispecismo e il vegetarismo-veganismo (mi sbaglio sempre a scriverli!) mi sembra la cosa più opportuna. Il testo della Hack, come ho cercato di scrivere in questa recensione, è il resoconto della sua esperienza personale, dunque certe questioni sono del tutto messe da parte.

    Grazie per la segnalazione di quest’intervista!

  5. jinnydalloway ha detto:

    Forse un po’ OFF TOPIC…

    Ho iniziato a interessarmi da poco di antispecismo e leggo ora questa recensione. E’ una delle mie prime visite su Asinus Novus.

    Trovo deludente che chi scrive di questioni antispeciste mostri di essere ancorato ad una concezione pericolosamente tradizionalista e maschilista del sapere e della filosofia. Come se le questioni di filosofia di genere, i gender studies, la critica postmoderna femminista del soggetto universale maschile (che poi è quello carnivoro!) fossero invisibili o irrilevanti.
    E’ pur vero che lo sono nella maggioranza delle retrograde università italiane dove si insegna “Filosofia”… Da lungo tempo in altri paesi, soprattutto anglofoni, si sono svelati gli intrecci tra specismo e patriarcato, tra cultura sessista e cultura carnivora, come peraltro si accenna anche in alcuni post in questo stesso sito.

    In questo testo ci si riferisce ingenuamente a Hack con l’obsoleto articolo femminile (“la Hack”), quindi la si definisce “scienziato” e in nota si chiarisce addirittura che in questa sede “filosofo” significa “anche filosofa”.

    Col massimo rispetto verso l’autore, che ringrazio comunque per l’interessante recensione, io credo che questa visione di mondo e il relativo linguaggio vadano svecchiati, soprattutto proprio da chi si impegna in riflessioni animaliste, antispeciste e… filosofiche.

    PS Consiglio la lettura di testi base come Luce Irigaray, “Speculum” e Adriana Cavarero, “Nonostante Platone”.

  6. sintesy ha detto:

    grazie per il commento. Ad ogni modo, non ero intenzionato ad offendere nessuno, né tanto meno a sperimentare/trovare/sostenere “intrecci tra specismo e patriarcato, tra cultura sessista e cultura carnivora”. Questo post è solo una recensione al libro di Margherita Hack. Il linguaggio tende tranelli, ma questa non è una grossa novità.

    Forse uso un linguaggio fuori moda, ma devo ancora capire quale sia la moda del momento.

    Grazie per le letture consigliate.

    saluti

  7. jinnydalloway ha detto:

    Ma per carità, non si tratta di “offendere”! 🙂
    Il linguaggio, più che tendere tranelli, è una manifestazione della visione di mondo di chi scrive. Usare o meno la parola “filosofa” non ha a che fare con le “mode”, ma con il “modo” di pensare.

    Capisco che questa è “solo” la recensione di un libro, ma come cercavo di fare notare, è problematico parlare di questioni antispeciste mantenendo (inconsapevolmente, s’intende) una forma mentis che poi, in altri campi, avalla la cultura dominante.

    Per esempio, nel commento che fai sul libro in questione dicendo che esso “è più un resoconto della propria esperienza personale che un’indagine critica sul rapporto tra umani e animali non umani”, intravedo una concezione ben precisa, la dicotomia tra ciò che si apprezza come “indagine critica” e ciò che si svaluta come “esperienza personale”. Sarebbe interessante invece, sencondo me, tenere presente che il “personale è politico”, come affermavano le pensatrici femministe già negli anni ’70. Poi il libro di Hack non l’ho letto e può darsi che non piaccia molto neanche a me.

    Grazie mille per la pronta risposta e perdonate l’off topic.