Io sono vegano
di Leonardo Caffo
Non è che io mi diverta ad andare contro un certo modo di intendere l’animalismo, è che sono abituato troppo bene (o troppo male) da una filosofia che giustifica i suoi assunti di base. Ho letto l’articolo di David Cain, pubblicato qui su Asinus Novus, e dissento fortemente dalla carrellata di opinioni che fornisce, e che io procederò a confutare o, più umilmente, a mettere in discussione. Vado a cena con chiunque, vegani e non, dunque lasciamo perdere questo punto – che in realtà riprenderò implicitamente a breve. Ho già argomentato in passato – si veda “Il movimento animalista e la prova del cuoco” – contro un movimento che si appiattisce sulle scelte alimentari: “animalista = vegano”. Non va bene, penalizza il messaggio, e depotenzia le istanze di liberazione di un movimento profondamente altruista.
Tuttavia, come spesso capita, ideali buoni diventano false ideologie. Dire che gli animalisti non sono essenzialmente vegani, ovvero non sono un movimento per la condotta alimentare, si trasforma in un pensiero, abbastanza pericoloso, che depotenzia completamente il valore simbolico, reale, e decisivo della questione vegana.
Io sono un vegano.
David Cain fornisce due punti che hanno “rivoluzionato” il suo vivere da vegano, e non da “vegano” (siano maledette le virgolette postmoderne), su cui vale la pena soffermarsi.
- “Sto attento a non mostrare o esplicitare disgusto per il cibo non-vegano” – nulla da ridire, fin qui. Nel senso che uno può provare disgusto per quello che gli pare, come gli pare, e quanto gli pare, non bisogna stare attenti né a mostrarlo né a non mostrarlo: se la merda mi fa schifo, ho una reazione immediata. Allo stesso modo, se la morte mi paralizza, il corpo di un maiale cucinato mi inorridisce. Tuttavia, Cain non è scemo, e sostiene che dovremmo frenare il disgusto per questioni “strategiche” – cito – “vedo questo disgusto come un ostacolo alla diffusione di una vita priva di sofferenza animale”. Falso. Ma non falso perché in sé sia una boiata l’argomento di Cain, ma perché il disgusto è il motore di ogni rivoluzione. Non concordo con la maggior parte delle cose scritte a proposito di Nazismo e Animalismo – e non perché credo che il confronto sia sbagliato – ma perché credo che la Shoah sia una bazzecola rispetto alla questione degli animali. Inorriditivi pure, ma continuate a leggere. Facciamo pure, per bontà d’animo e limiti di spazio, che io prenda per buono il confronto tra olocausto e mattatoio – mi pare ovvio che il disgusto nei confronti dei Nazisti abbia giocato un ruolo essenziale per lo sviluppo delle istanze ebree. I mangiatori di carne non sono Nazisti, non mi permetterei MAI, sono persone che vivono durante il Nazismo Democratico – ne constatano i limiti – ma continuano a vivere nella contraddizione. Non mangiar carne non produce nessun effetto pratico, lo sappiamo – fu Tom Regan, nel 1985, ad obiettare riguardo i problemi di un utilitarismo delle preferenze dinnanzi all’effetto soglia: il coltello dalla parte del manico, e rivolto alla pancetta, è dei carnivori. Non dobbiamo far sentire i carnivori delle “merde”, o guardarli con schifo, per carità. Ma senz’altro non dobbiamo bloccare i nostri sentimenti nei confronti della malvagità del banale che si chiama “macello”. Possiamo tollerare quanto vogliamo persone che vivono nel male istituzionalizzato e si cullano sulla legalità del male, ma mi permetto di dissentire ancora con Cain: io ho scelto di cambiare perché, come disse Thoreau, in Disobbedienza Civile, «questa è, di fatto, la definizione di una rivoluzione pacifica, se una simile rivoluzione è possibile. Se l’esattore delle tasse, od ogni altro pubblico ufficiale, mi chiede, come uno ha fatto, “Ma cosa devo fare?” la mia risposta è, “Se vuoi davvero fare qualcosa, rassegna le dimissioni”. Quando il suddito si è rifiutato di obbedire, e l’ufficiale ha rassegnato le proprie dimissioni dall’incarico, allora la rivoluzione è compiuta». Io mi sono rifiutato di obbedire, e provo pena per chi paga quella tassa che si chiama omicidio indiretto.
Io sono un vegano.
- “Faccio occasionali eccezioni quando si tratta di cibo e non lo nascondo agli onnivori che incontro” – questa è la cosa più grave e orrenda dell’articolo di Cain. In pratica, serve solo a sollevare le coscienze di chi non riesce ad essere coerente. Lo so anche io, cosa credete, che vegani puri non si è mai. Che ci sono i diserbanti e le colture intensive: ma il valore simbolico di obliterare un corpo animale, e poi cagarlo, non è paragonabile all’incoerenza in cui il sistema capitalista comunque ci inserisce – non scherziamo, non banalizziamo un gesto abissale per simbolica crudeltà. Cain adotta questo suo essere “vegan ma non sempre” adducendo tre motivazioni. (a) – per dimostrare ai carnivori che non li disprezza, e immagino che ogni tanto picchi una donna e uccida un bambino per sentirsi più vicino anche ad altre categorie di persone. Come … come? Il paragone non vale, i carnivori sono parte di un sistema, bla .. bla: Stronzate! I carnivori sono gli schiavisti all’epoca di Seneca. Oggi guardiamo con ammirazione chi a quel tempo si rifiutò di sfruttare l’altro da sé – i vegani sono gli antischiavisti di oggi. (b) – per sentirsi meno fuori dal “mondo”. Ma come ti permetti, Cain, di dire queste cose? Hai presente come si sente fuori dal mondo una mucca? Un maiale? Un cavallo? Hai presente che uscire dal mondo di chi toglie il mondo agli animali è l’unico modo che abbiamo per aggiustare il mondo? E (c) – perché così non controlla se il pasto è vegan oppure no, quando va al ristorante che serve panini allo strutto .. vabé, questa è pietosa e lasciamo perdere.
Io sono un vegano.
L’articolo di Cain prosegue poi con un’inarrestabile arringa, no dai, scusate, con un’irrefrenabile elenco di inutilità, tipo che su internet ti pigliano per il culo se sei vegan e, senza fornire dati commoventi, dichiara che il suo stile di vita serve più del mio. Bene, perché la mia è una filosofia di vita, non uno stile di vita. Io non faccio surf, io mi rifiuto di mangiare i miei fratelli: e non come fine, ma come mezzo, affinché un disegno più ampio di liberazione sia possibile e il veganismo, lo ripeterò fino alla morte, è uno spiraglio presente sul futuro – mostra che un altro mondo è possibile.
Io non voglio la carta di identità del vegano, e non voglio il male dei carnivori. Quasi tutti gli amici che amo lo sono. Ma non sono io che mi devo preoccupare delle reazioni di un mondo che offende la vita: io sono vegano perché rispetto tutti, anche coloro che deridono il mio sogno di non violenza dinnanzi al barbecue.
Il veganismo dimostra che possiamo farcela.
Sono cosciente che anche questa rivoluzione si farà nella pluralità dei punti di vista e che il mio, e quello di Cain, non devono necessariamente escludersi. Ma non venitemi a dire cosa devo fare, che dovrei mangiare la pizza a New York e assaggiare il gelato per vivere senza rimpianti … il mio unico rimpianto è sapere che lascerò questo mondo senza aver fatto abbastanza per loro, per gli animali non umani. Almeno lasciatemi gridare che io non mangio la vita animale … lasciatemi dire, ancora una volta che:
Io sono un vegano.
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[…] Apparso su Asinus Novus n.V […]
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[…] alimentare sono “una bazzecola”. [NdR: Maurizi fa un riferimento polemico al modo con cui Caffo ha sminuito l'importanza della Shoah affermando che si tratta di una "bazzecola" rispetto ai numeri della tragedia animale] Come si […]
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[…] suo ideatore, di qualche tempo precedenti alla compiuta formulazione del nuovo pensiero. Nel testo Io sono Vegano, una caustica risposta a David Cain, Leonardo Caffo […]
Leonardo, sono d’accordo con te sul fatto che sia “il disgusto è il motore di ogni rivoluzione”. O meglio: che lo siano le nostre emozioni (la compassione, la pietà il “senso di giustizia” – e d’ingiustizia). Ma se vogliamo ammettere – non so tu, in effetti, ma io sì – che la distinzione dicotomica fra emozioni=irrazionalità, intelletto=razionalità, non stia più in piedi, dobbiamo anche ammettere che non è nell’infinita giustificazione “degli assunti di base” della nostra proposta di rivoluzione che troveremo un motore per essa. Le ” ” del postmodernismo (ammesso e non concesso che esista qualcosa del genere nei termini di una categoria, di una corrente o di un filone di pensiero) saranno pure “maledette”, ma la demolizione dei presupposti dati per ovvi (e quindi imposti) dell’antropocentrismo e dello specismo mi sembrano infinitamente più fruttuosi di quell’infinita giustificazione. Sai bene anche tu – se non te lo sei dimenticato – che tale demolizione non apre a nessun nichilismo: o meglio, che il “nichilismo” usato come concetto-clava vale solo come tale, a scatenare polveroni e creare confusione. Perché se “nichilismo” indica qualcosa di unitario, al limite indica lo spazio lasciato libero dalle presunzioni autoritarie della filosofia. Come questo spazio si possa abitare è – ancora – tutto da discutere e da decidere (e non si decide mai da soli, e infatti decidere è discutere), Anche perché questo mondo, davanti al “deserto che avanza” sembra volersi rifugiare in oasi ed enclaves sempre più strette ed esclusive (ed escludenti). La crisi dei fondamenti (o dei valori, come direbbero il Papa e Casini, ma anche Bersani e Vendola. Ma anche tanti animalisti) sta scatenando una controndata che più che di fondazionista meriterrebbe la definizione di fondamentalista. Sono i neofondazionisti che stanno occupando lo spazio “lasciato libero” dal “nichilismo”, in una controffensiva reazionaria in tutti i sensi. Non mi riferisco certo solo e tanto al Vaticano e compagnie varie, qui, ma anche e soprattutto agli ideologi del mercato e del liberal-liberismo (non illudiamoci che i due termini siano separabili con la buona volontà, o espungendo dai “classici” liberali le istanze colonialiste, razziste, schiaviste, ferocemente antisindacali, classiste e antiegalitarie).
Guarda caso, tutti questi casi sono casi di neofondazionismi umanisti e antropocentrici, davanti ai quali il “nichilista” sei tu – fra me e te fanno poca differenza – che vuoi “distruggere i valori fondanti dell’umanità”. Più o meno quello che risposero psicanalisti e psichiatri alle ricerche di Foucault. Che anche un anti-continentale indefesso come te (come tu sei ora, sarebbe meglio dire) dubito possa negare “utili” alla critica del potere, quantomeno in certi ambiti (come le istituzioni totali: definizione dell’americano Goffman).
Più che nuove prescrizioni servirebbero “liberazioni” di spazio dalle strutture (fisiche e metafisiche) che impongono agli umani lo specismo, e insieme ne legittimano i comportamenti (non tutti, per quanto specisti, sempre assolutamente “egoisti”).
E’ alla fine delle pretese autoritarie della filosofia, e di tutte le discipline che tentano di prescrivere oggettivisticamente, che il disusto, la compassione, la pietà non saranno più “solo” emozioni
«La crisi dei fondamenti (o dei valori, come direbbero il Papa e Casini, ma anche Bersani e Vendola. Ma anche tanti animalisti) sta scatenando una controndata che più che di fondazionista meriterrebbe la definizione di fondamentalista. Sono i neofondazionisti che stanno occupando lo spazio “lasciato libero” dal “nichilismo”, in una controffensiva reazionaria in tutti i sensi. Non mi riferisco certo solo e tanto al Vaticano e compagnie varie, qui, ma anche e soprattutto agli ideologi del mercato e del liberal-liberismo (non illudiamoci che i due termini siano separabili con la buona volontà, o espungendo dai “classici” liberali le istanze colonialiste, razziste, schiaviste, ferocemente antisindacali, classiste e antiegalitarie).»
Semplicemente perfetto, Anton. Grazie 🙂
Ciao Anton.
parte del commento non lo capisco (limite mio), mentre su virgolette e continentalità, sai che non sono per niente “anticontinentale” – basta che vedi Flatus Vocis. La distinzione è superata da tempo, grazia a Dio anche la filosofia si è globalizzata.
Comunque, lasciando stare questo, concordo su ciò che ho capito del tuo commento – credo anche io che non siano le prescrizioni o simili a creare aperture, in questo momento.
Il mio unico punto fermo e che vorrei si capisse il valore profondamente rivoluzionario del veganismo che, a mio parere, non può risolversi in “mangio una pizza quando capita” o “il gelato è troppo buono per morire senza”.
Anche Derrida rispondeva a Ghezzi che lo intervistava: “non so se ho capito bene…”
Comunque. Il problema è proprio che *tu* da Flatus vocis sei cambiato tanto. Dicevo infatti qui sopra, nella mia incomprensibile risposta 🙂 :
“un anti-continentale indefesso come te (come tu sei ora, sarebbe meglio dire)”,
E da allora ad ora ci passano strali a destra e a manca contro “relativisti”, “antirealisti” e “nichilisti”.
La filosofia sarà pure globalizzata, ma Chomsky e Nancy non racconterebbero allo stesso modo, questa globalizzazione.
Che si parlino, si parlano, ma da qui a dire che non litighino… insomma: siamo d’accordo sulle conclusioni – o forse premesse (sul carattere rivoluzionario dell’antispesismo e sulla necessità tanto di respingere i fanatismi quanto di abbracciare una certa “radicalità”). Ma le differenze sono altrettanto importanti. E io cercavo, forse malamente, di notarle.
Per me l’antispecismo passa per il “nichilismo”. Per te, non credo, ma forse, a questo punto, mi sbaglio…
Ghezzi faceva le domande in differita …
comunque non credo che tu faccia notare malamente le cose, credo semplicemente che io abbia intenti più umili,
non so sa dove passi l’antispecismo. Ma appena lo scopro, telefono a chi di dovere.
Proponi un rinvio dell’invio? Sono d’accordo,
Peccato che Derrida non vedesse il se stesso nel suo altro (Ghezzi)
Però in quell’intervista aveva un i-mac alle spalle.
Aveva un apple nel suo atrio.
Leo, penso che la tua posizione sia ammirevole e costituisca un esempio da seguire. Punto.
Tuttavia ritengo che la posizione espressa da Cain abbia una sua validità, diciamo così, propagandistica: nel senso che una persona che è specista da sempre potrebbe cominciare a pensare a certi argomenti più profittevolmente parlando con Cain che con te o con me (tu sei un giovanottino ammodo, io tendo a trasformarmi in un’erinni e ci ho messo anni per imparare a controllare la mia aggressività). La forza dell’élite (possa Vilfredo Pareto perdonarmi di lassù) sta nella capacità di veicolare il pensiero alla massa, di renderglielo comprensibile: altrimenti resta sètta.
Mah, questione che mi ricorda la famigerata casistica sulla venialità o mortalità di un peccato o, addirittura come qui, sul grado di venialità.
Preferisco gli articoli che attaccano lo specismo alla radice.
Attaccare i filosofi specisti a partire dal loro linguaggio, invece, ehm, di coccolarlo!
“come disse Thoreau, in Disobbedienza Civile, «questa è, di fatto, la definizione di una rivoluzione pacifica, se una simile rivoluzione è possibile. Se l’esattore delle tasse, od ogni altro pubblico ufficiale, mi chiede, come uno ha fatto, “Ma cosa devo fare?” la mia risposta è, “Se vuoi davvero fare qualcosa, rassegna le dimissioni”. Quando il suddito si è rifiutato di obbedire, e l’ufficiale ha rassegnato le proprie dimissioni dall’incarico, allora la rivoluzione è compiuta». Io mi sono rifiutato di obbedire, e provo pena per chi paga quella tassa che si chiama omicidio indiretto”. Trovo questa frase di Thoreau bellissima e commovente ma il richiamo alla coerenza mi sembra avvenga sempre – da una parte e dall’altra – in maniera manipolatoria. Chi è più coerente di chi? E a chi l’ardua sentenza? Eravamo tutti onnivori fino a ieri o all’altro ieri, ci siamo già dimenticati che effetto ci faceva qualcuno che – magari dieci anni fa – ci volesse convincere della coerenza del non mangiare carne? Se poi avessero iniziato ad ampliare il discorso ad includere anche latte e uova, che effetto ci avrebbe fatto? Trovo inoltre che alcuni dei punti toccati da Cain siano stati affrontati e sviscerati assai meglio da alcuni organizzatori del Veggie Pride, tra cui Antonella Corabi e mi ha stupito non poco che si sia dato spazio in tempo reale ad un post di facebook che io stessa ho contribuito a far girare stamane dalla bacheca di Steve Best – quando si è cercato in ogni modo di tacitare le voci che si sono espresse su Asinus qualche settimana fa a proposito dell’articolo “Repetita juvant” sulla vegefobia.
potresti citare chi, come e quando ha cercato di “tacitare” delle voci? In questo blog tutti si esprimono liberamente mi pare.
Soppesiamo le parole, please.
si infatti, abbiamo sempre dato spazio a tutti purché gli interventi siano pertinenti e non polemici,
ma se si vuole essere polemici si pubblica un commento e non un articolo.
mi sembra che siamo libertarissimi 🙂
“Si è cercato in ogni modo di tacitare le voci che si sono espresse su Asinus qualche settimana fa a proposito dell’articolo Repetita juvant”
A me non pare, mi sembra anzi che, pur nella diversità delle opinioni, alla questione vegefobia sia stato concesso moltissimo spazio…alludere a una qualche forma di “censura” è del tutto fuori luogo, e anche piuttosto sgradevole. Forse ci si riferisce alla virulenza dei toni, ma quella io l’ho vista da ambo le parti e, tutto sommato, non trovo ci sia la minima ragione di stizzirsene.
In secondo luogo mi risulta totalmente incomprensibile lo stupore suscitato dalla pubblicazione del post di Cain. Sull’articolo di Antonella Carabi un asino si è espresso in maniera entusiastica, e anche io che l’ho letto ho trovato lucidamente espresse molte idee che condivido e non avrei saputo formulare altrettanto bene: avremmo dovuto pubblicare quello perché migliore? Non capisco. E’ già disponibile, Cain invece, a mio parere comunque interessante e immediato, non era ancora stato tradotto…
A favore dell’articolo di Antonella Corabi mi ero espressa anche io (nel mio articolo, pubblicato qui su Asinus, appare anche il link al suddetto), non mi sembra quindi che non si sia data importanza alla questione o che si sia cercato “in ogni modo di tacitare le voci”.
Basta che non imponiate la vostra scelta agli altri, e non vi ammantiate di una presunta moralità superiore.
Come potremmo imporre la nostra scelta agli altri? Mica andiamo a casa delle persone a controllargli cosa hanno nel frigo e gli impediamo di mangiare il prosciutto.
Però Lara, e davvero senza polemica, ma solo come spunto di riflessione, ti chiedo: hai mai pensato che se c’è qualcuno che sta imponendo le proprie scelte agli “altri” è proprio chi ritiene normale e giusto mangiare animali? Dove per questi “altri” intendo i milioni di animali che vengono privati della loro esistenza ogni giorno e poi uccisi per finire sulle tavole (o nei vestiti ecc.).
Nessuno si ammanta di una “presunta moralità superiore”.
Gli animali non hanno scelto di diventare cibo, perché dovremmo imporre loro una non-esistenza e una fine così atroce?
Non si può giustificare tutto nel nome di un libertarismo assoluto, esso, il libertarismo, va bene finché non priva però qualcun altro non solo della propria libertà, ma persino dell’esistenza stessa.
Prova Lara, se mi consenti di dirtelo, a cambiare prospettiva; prova a vedere la lotta contro lo sfruttamento degli animali non come a un voler privare alcuni di una libertà (libertà di mangiare esseri senzienti), ma come a un ridare la libertà a qualcuno: gli animali non umani.
Lara, mettiamola così: io mi sento esattamente eticamente superiore rispetto a chi mangia animali, così come mi ci sento rispetto a chi considera i neri inferiori o gli omosessuali malati o le donne oggetti e così via.
Il punto è che di questa superiorità non me ne faccio niente: io non vedo l’ora che tu mi raggiunga in questo, per il bene degli animali.
Poi, se permetti, l’accusa di sentirsi superiori quando tu consideri inferiori gli animali tanto da mangiarli diventa grottesca.
Per il resto, come ha detto Rita, tu imponi la peggiore delle scelte a qualcun altro: la morte.
A ‘sto punto, sarebbe meglio imporre dei broccoli che uno squartamento.
Che bell’articolo Leonardo, è stato un piacere leggerlo!