Dacci oggi la nostra cattiva coscienza quotidiana…
di Serena Contardi
Devo scusarmi con lettrici e lettori del blog: mi rendo conto, nell’ultimo periodo, di essere diventata alquanto monomaniaca. A mia parziale discolpa, posso confessare di esserci diventata mio malgrado, e di non esserne granché felice. Sopportatemi come si sopportano gli scemi, o i matti. Il fatto è che quanto circola in rete contro vegani e animalisti supera, in astio e rancore, gli attacchi che subisce da Pontifex ogni omosessuale che non si pente strenuamente di esserlo o non si vive come sconcio e malato. E sì che non è facile battere Pontifex, ve lo assicuro.
Omofobi e anti-antispecisti: le due categorie di persone che più mi spiazzano in assoluto. Non tutto mi scivola addosso. Osservo stupita il gonfiarsi di tanto risentimento, e me ne chiedo le ragioni (ora diranno che faccio la vittima: pazienza, scriverne mi aiuta a fare chiarezza).
Non sto parlando di quelli che sono incappati in qualche vegan scassapalle e ne hanno dedotto che tutti i vegani devono avere inscritto nel DNA il gene-intolleranza: nella loro ristrettezza mentale, questi infelici ragionano proprio come i razzisti, ma almeno li si spiega. Mi riferisco a chi ce l’ha con un vegano a prescindere, ed esprime tale veleno in ogni singola riga che esce dalla sua penna – o dalla sua tastiera. L’idiosincrasia prende spesso la forma di uno sfottò: l’ironia, però, non è mai leggera e deliziosa, non danza sul suo oggetto. In effetti, non è nemmeno ironia. È sarcasmo, e il suo oggetto lo vuole distruggere ad ogni costo. La forza e la persistenza degli attacchi mostrano un bisogno spasmodico di ridicolizzazione che mi sembra rivelatore.
Ipocriti e smidollati, smidollati e ipocriti: questi sono i due punti su cui si insiste di più. Rammolliti dal benessere delle opulente società occidentali, non sapremmo più accettare l’esistenza del dolore e la sua necessità; non potendolo eliminare, ci limiteremmo quindi ad allontanarlo in un rinvio che rimane fine a se stesso: l’importante non sarebbe estinguerlo – cosa impossibile – , ma sentirsi le mani fintamente pulite. Ipocriti e smidollati, smidollati e ipocriti.
Io mi chiedo in che diavolo di società viva chi si esprime in questa maniera, e se abbia mai messo il naso fuori dalla finestra di camera sua. Mi chiedo anche, ma sinceramente, quale sia la sua auto-percezione. Posso infatti accettare le critiche che mi muove, ma a patto che ammetta si possano rivolgere, e in maniera tanto più pressante, alla stragrande maggioranza della popolazione che divora bistecche. Perché temo il consumatore medio non assomigli in nulla alle magnifiche bestie bionde di Nietzsche, forti e spietate e insieme innocenti come leoni – no, ma sul serio: è così che vi vedete? – , credo piuttosto affoghi nella sua cattiva coscienza, e che sia proprio questo il motivo del suo sputar sentenze. Non vi è nulla di tragico nel mordere una salamella, fatevene una ragione. Lo sarebbe, forse, sgozzare un maiale: ma è chiaro voi non lo facciate. E quando dico tragico non lo intendo certo in senso nietzchiano; detesto Nietzsche, come lo detestava Levi («Il verbo di Nietzsche mi ripugna profondamente; stento a trovarvi un’affermazione che non coincida con il contrario di quanto mi piace pensare; mi infastidisce il suo tono oracolare; ma mi pare che non vi compaia mai il desiderio della sofferenza altrui. L’indifferenza sì, quasi in ogni pagina») e mi domando perché gli animalisti amino tanto citarlo: vivesse al giorno d’oggi, probabilmente non farebbe altro che chiamarci tacchini, proprio come chiamava tacchini i cristiani e chiunque cedesse all’infrollimento della compassione. È tragico, anzi tragicomico, che un abbondante 90% di chi s’è scelto l’hobby dell’anti-antispecismo paghi altri per fare ciò che lui non vuole fare, altri che lavorino lontani dai suoi occhi e dalla sua sensibilità, borghese quanto la mia, in luoghi che, chissà perché, nutrono da sempre l’immaginario dei film dell’orrore. È tragico che questi altri siano solitamente degli ultimi, inconsapevoli di quante e quali sensazioni provi il maiale intelligente e curioso che massacrano, oppure abbastanza consapevoli da sviluppare tutta una serie di problemi psicologici, oppure ancora costretti, per rimaner sani, ad alienarsi nella sofisticata parcellizzazione della macellazione industriale – si legga e rilegga l’intervista a Timothy Pachirat, un documento illuminante. Rido, amaramente, di un ingordo pusillanime come Fernando Savater, che mentre cerca affannosamente di dimostrarmi la correttezza etica delle sue azioni mi esibisce tutta la sua miseria umana, e dopo aver deriso il mio sentire confessa involontariamente il suo non se ne discosti affatto («Io non pratico la caccia né la pesca – anche se ne consumo i prodotti – e non sarei capace di lavorare in un mattatoio: conosco ciò che ripugna alla mia sensibilità»). Rammollito come me, al salame non ci vuole rinunciare. Il maiale che strilla, però, non lo sa sostenere: ripugna alla sua sensibilità. E allora chi è l’ipocrita, chi, con le mani fintamente sporche, rimuove, occulta, colorisce la realtà di un dolore che non si può estinguere, ma certo non è necessario moltiplicare? Ogni vegano con il suo gesto limitato – limitate sono tutte le cose umane – , a tratti insensato e fatalmente votato al fallimento, quel dolore lo guarda in faccia, e reagisce. Le mani non le ha pulite, ma si rifiuta di farle insanguinare agli altri – e di farci retorica sopra. In effetti, il prurito contro i vegani non si spiega col fatto che vorrebbero allontanare sempre e sempre di più tutto questo male, piuttosto con la loro stessa presenza non consentono di scacciarlo a chi millanta di averlo saputo accettare e, innamorato della morale dei signori, si trova a dover riconoscere di vivere nella condizione di schiavo. Schiavo di altri schiavi, che fan fuori altri schiavi per lui.
Ed è paradossale che dopo aver cercato di sminuirmi in ogni modo, l’anti-antispecista di turno mi provochi dicendo che io sarei proprio come lui. Mi è capitato talmente spesso di sentirlo! Se lo ripetono come un mantra. No, caro, io non sono come te. Questa, in effetti, è l’unica cosa che ho. E me la tengo ben stretta.
Altrettanto paradossale e disarmante è la mia incapacità di interloquire con queste persone. Dopo qualche tentativo desisto: è una discussione impossibile. Comunque ogni tanto ci provo, quando ho un po’ di energie da dissipare senza trovarmene privo.
Serena Contardi,
spero che lei rileggendo il suo pezzo a distanza di qualche mese si sia resa conto di quello che ha scritto.
Dal suo testo si evince che lei non sta partecipando ad alcuna causa animalista, ma si serve, al limite, di una causa animalista come copertura o valvola di sfogo di qualche suo forte risentimento personale.
Mi dica intanto che cos’è per le la compassione, e se per caso, l’animale la può comprendere la sua compassione.
E se magari con questa sua “compassione” non si sta macchiando anche lei di una oggettivazione del mondo animale, non meno dannosa di quella che mette in atto l’universo dei mangiatori di carne,
“Il maiale non fa la rivoluzione!” è certo! E la facciamo noi per lui! Ma davvero?! Questa è un’altra menzogna bella e buona.
Intanto urge una premessa: non c’è filosofia senza fisiologia. Perché lei non può allargare il suo sfogo a tutte le specie animali predatorie sulla terra? Perché non includere anche lo squalo o magari il leone (innocente) nella filippica? Non sono anche loro, privi della “compassione” per la preda?
Ma no! No di certo! Le leggi della Natura sono una cosa, e la morale dell’uomo, un’altra. L’uomo fuori dalla Natura…il passo successivo è di solito scrivere che il Re del Creato si è elevato sulle bestie…
Il maiale non finisce in un piatto solo se è oggetto del nostro amore, solo se si comprendono profondamente le ragioni per cui la sua vita non è al servizio dello stomaco di un finto predatore.
Di fatti la scelta vegana dimostra proprio questo.Che si può vivere bene, anzi meglio, senza mangiare altri animali.
Lei non ha compreso che questa è una guerra, una vera guerra, anche economica, per tutte le implicazioni sul piano sociale che essa comporta e che comporterà. Ma il nemico non è il consumatore, il “carnivoro” come dice lei, ma bensì le sue paure, il suo atteggiamento, la sua ignoranza.
E lei come pensa di contribuire? Buttando benzina sul fuoco!
In ultima analisi, le persone con cui ci stiamo confrontando sono anche i nostri familiari, i nostri migliori amici, siamo noi stessi, prima di una svolta vegana.
Se Niezsche fosse ancora vivo la chiamerebbe ipocrita e smidollata, o smidollata e ipocrita, faccia lei. Ma non tacchina, perché N. sarebbe oggi molto più vegano di lei.
Gentile Frederick Whilniet,
mi spiace, rileggendo il mio testo a distanza di due anni debbo ammettere di concordare in pieno con tutto quello che ho scritto, sebbene come ovvio non lo riscriverei nella stessa forma (il mio tono si è fatto un po’ meno vibrato da allora, o almeno lo spero).
Ne deduco che quello che definisce il mio “forte risentimento personale” non si è ancora estinto: abbia pietà di me, ché non è facile vivere in questo stato di prostrazione continua!
Per quanto i miei limiti siano tali da non consentirmi di comprendere appieno il suo commento (me ne scuso), voglio abbozzare un paio di precisazioni anch’io. Se l’articoletto le pare troppo accalorato, consideri che si tratta di una risposta ad un attacco senza quartiere ad animalisti e vegetariani da parte di persone che io reputo in malafede http://difesasperimentazioneanimale.wordpress.com/2012/01/13/dacci-oggi-la-nostra-ipocrisia-quotidiana/. Ma io non ho in spregio gli onnivori (la mia compagna non é vegana, né vegetariana), né credo i nemici siano i singoli consumatori di carne, quanto i fasci di potere in cui questi sono presi. Peraltro, non credo che l’uomo non faccia parte della “Natura”, ma che solo con la civiltà sia stata creata la possibilità di esprimere una così viva compassione verso gli altri animali.
Non credo nemmeno che il maiale non faccia la rivoluzione (quello è Leonardo Caffo, che io ho contestato – bene o male non importa).
E per concludere, non sono affatto d’accordo con lei su Nietzsche. Nietzsche amava gli animali e detestava la crudeltà gratuita nei loro confronti, ma era parimenti allergico alla compassione (“tacchini” è una citazione dall’Anticristo). Non credeva in un’etica oggettiva. Dunque oggi a mio modesto parere non sarebbe vegano né per estetica (amava i leoni, la morale dei signori), né per etica, né per salutismo – basta leggere Ecce Homo, dove il nostro tesse le lodi della cucina piemontese, notoriamente non vegetariana.