Lobby e Associazione

di Silvia Molè

schopenhauer-joven

Talora il termine associazione viene impiegato quale sinonimo di lobby. L’impiego non è casuale in quanto mira a delegittimare i mezzi impiegati dalla prima e in definitiva i valori posti alla sua base.

In entrambi i casi ci troviamo di fronte a gruppi di persone che aderiscono ad una causa comune con il fine del raggiungimento di determinati obiettivi. Il discrimine può essere trovato sia nei mezzi impiegati sia nel tipo di finalità. La lobby (vc. inglese, originariamente passaggio coperto in un monastero) rappresenta un gruppo di persone che si propone di esercitare la propria influenza in campo politico generalmente in modo occulto e prevalentemente con finalità di tipo economico-finanziario. L’influenza viene spesso esercitata grazie al potere economico-finanziario già acquisito, laddove il mantenimento dello status-quo è il target minimo. La lobby non mira a modificare la sensibilità del grande pubblico per modificare la legislazione sulla base di un grande consenso (i banchieri o i petrolieri raramente manifestano, organizzano flash mob, radunano attorno a sé ampi strati della popolazione a sostegno della causa) bensi ad ottenere il proprio vantaggio attraverso pressioni occulte quando non illecite su coloro che detengono il potere decisionale.

Facendo una rapida escursione sul web noterete come taluni definiscano lobbies i movimenti animalisti (nel peggiore dei casi “animalari”, quale magnifico esempio di genocidio intellettuale, come illustrato dal filosofo e scienziato cognitivista italiano L. Magnani in Filosofia della Violenza).

Le motivazioni che spingono ad incrementare progressivamente i diritti degli animali non umani sono di diversa natura, non da ultimo scientifici e anche “utilitaristici” nel senso di salvezza di quella biodiversità senza la quale il nostro pianeta (e quindi pure noi) perirebbe: si vedano tutte le problematiche, tra le molte, relative agli allevamenti intensivi, come ben illustrato anche dal prof. Veronesi in un suo testo sulla scelta vegetariana. Pur poggiando a mio avviso, ed in ultima analisi, su quella che già A. Schopenhauer definì, in un periodo in cui i fenomeni empatici non potevano ancora essere confermati su base scientifica dai neuroni a specchio, “il quotidiano fenomeno della compassione, cioè della immediata partecipazione, indipendente da ogni altro riguardo, alla sofferenza di un altro e con ciò all’impedimento o annullamento di questo dolore, nel quale alla fine consiste ogni soddisfazione, ogni benessere e ogni felicità”. Attraverso queste poche righe si può comprendere la abissale differenza di orizzonti tra una lobby ed una associazione.

A proposito delle associazioni animaliste trovo significativo come già A. Schopenhauer ne parli ampiamente ne Il Fondamento della Morale intorno al 1840: “(…) questa lacuna è precisamente la causa per cui in Europa e in America c’è bisogno delle associazioni per la protezione degli animali, le quali a loro volta possono agire solo con l’aiuto della giustizia e della polizia (…). Ma anche in Europa si sta svegliando sempre di più la comprensione per i diritti degli animali, a misura che gli strani concetti di un mondo animale esistente soltanto per essere utile agli uomini e a divertirli, di maniera che gli animali vengono trattati come se fossero cose, impallidiscono, e a poco a poco scompaiono (…) A Londra esiste una società di volontari, Society for the prevention of cruelty to animals, la quale in via privata e con notevoli spese fa molto per impedire la tortura degli animali. I suoi emissari svolgono opera di sorveglianza per farsi poi delatori di chi tormenta esseri privi della parola, ma sensibili, sicchè si teme dappertutto la loro presenza. Presso i ponti ripidi di Londra la società mantiene una coppia di cavalli che vengono attaccati gratuitamente a ogni carro troppo carico (…) Anche la Philantropic Society di Londra stabilì nel 1837 un premio di 30 sterline per il migliore trattato sui motivi morali che vietano la tortura degli animali (…) A Filadelfia esiste una Animal friends society che persegue scopi simili. Thomas Forster, un inglese, dedicò al presidente di questa società il libro Philazoia, Moral Reflection on the actual condition of animals and the means of improving the same, Bruxelles 1839”. A. Schopenhauer, a riprova di quanto questi principi venissero presi sul serio, traduce un articolo dal Birmingham Journal del dicembre 1839: “Cattura di una compagnia di 84 organizzatori di corse dei cani. Siccome si era venuti a sapere che ieri…doveva aver luogo una corsa di cani, la società zoofila prese le sue misure per assicurarsi l’aiuto della polizia, un forte distaccamento della quale marciò verso il campo di battaglia e, appena ottenuto l’ingresso, arrestò tutta la compagnia presente. Questi partecipanti vennero legati a due a due con manette e assicurati a una lunga fune nel mezzo…”. A. Schopenhauer riporta anche il caso della figlia di un baronetto che aveva torturato crudelmente il proprio cavallo. Ella non solo fu sanzionata ma fu sbattuta in prima pagina dal Times, che ne pubblicò nome e cognome, proseguendo “(…) non possiamo fare a meno di dire che un paio di mesi di prigione con alcune frustate…sarebbero state un castigo più adatto (…)”.

Forse il concetto di lobby potrebbe essere espresso anche parafrasando nel seguente modo…essa porta con sé come rappresentazione l’unico mondo che essa conosce realmente e del quale ha contezza, e ne è quindi il centro. Appunto perciò essa è per sé tutto e si trova a possedere ogni realtà e nulla può essere più importante di essa stessa. Ora, mentre nella sua opinione soggettiva il suo io si presenta in grandezza enorme, nella oggettiva si riduce quasi a nulla, cioè press’a poco a un miliardesimo dell’umanità ora vivente.

Grazie, Arthur, per gli attualissimi spunti di riflessione.

Comments
20 Responses to “Lobby e Associazione”
  1. Ettore ha detto:

    Coloro che liberarono gli schiavi negli Stati Uniti furono lobbisti e massoni. Naturalmente, alcuni di loro non erano minimamente interessati alla sorte degli schiavi, ma al ritorno economico che un conflitto antischiavista avrebbe portato alle loro casse. Si potrebbe ricostruire un percorso simile, forse altrettanto cruento, per il movimento di emancipazione femminile.

    Se un movimento che mira alla promozione dei diritti animali, e conseguente liberazione di questi ultimi, non struttura una vera e propria strategia di lobbying, rimarrà un bel circolino – se va bene intellettuale – affollato da persone curiose con una strana alimentazione e nulla più.

  2. Bruno Formicola ha detto:

    Al contrario di quanto si dice in questo articolo, le lobby sono semplicemente “gruppi di pressione”. Pur essendo vero il fatto che molte di esse sono mosse da finalità economico-finanziarie, le lobby possono avere anche finalità diverse. Mai sentito parlare di “lobby dei consumatori”? (e soprattutto, dove è scritto che ciò avviene in modo occulto?)
    Esistono lobby dello sport, della ricerca, della cultura…

    “la lobby non mira a modificare la sensibilità del grande pubblico per modificare la legislazione sulla base di un grande consenso bensi ad ottenere il proprio vantaggio attraverso pressioni occulte quando non illecite su coloro che detengono il potere decisionale.”

    L’animalismo a quanto pare esercita entrambe le influenze, cioè l’influenza verso il grande pubblico (attraverso manifestazioni, sit-in ecc..) ma si avvale anche della pressione politica. Devo aver sentito un centinaio di volte “rendiamo illegale la vivisezione”. Non dimentichiamoci poi dei politici che portano la bandiera dell’animalismo come la Brambilla, Amati ed altri. ovviamente questa non è una cosa negativa, è normale.

    “il quotidiano fenomeno della compassione, cioè della immediata partecipazione, indipendente da ogni altro riguardo, alla sofferenza di un altro e con ciò all’impedimento o annullamento di questo dolore, nel quale alla fine consiste ogni soddisfazione, ogni benessere e ogni felicità”. Attraverso queste poche righe si può comprendere la abissale differenza di orizzonti tra una lobby ed una associazione.

    Assolutamente no. Schopenauer magari non sapeva neanche cosa fosse una lobby.
    Lasciamo parlare di lobby ai sociologi e ai politologi, i filosofi, per quanto riguarda questo argomento, non c’entra nulla. Ma capisco che il problema di fondo è che l’autrice non ha ben inteso che un’associazione può benissimo fare lobbying. Una cosa non esclude l’altra.
    Saluti.

    • MM ha detto:

      Credo che l’autrice faccia banalmente riferimento al fatto che il termine “lobby” nel linguaggio comune abbia un connotato spregiativo e al limite del “complottistico”. D’altronde mi risulta difficile credere che l’uso dell’espressione “lobby animaliste” in alcuni casi (ad es. questo: https://difesasperimentazioneanimale.wordpress.com/2012/07/) non abbia l’intento di gettare una luce oscura sugli “oscurantisti”. Perché non dire semplicemente “gli animalisti” o “gli antispecisti”? Perché bisogna dipingere il nemico come un pericolo e l’espressione “lobby” aumenta esponenzialmente la percezione di questo (immaginario) pericolo.

      • Bruno Formicola ha detto:

        È proprio questo che vorrei far notare. Anzi, la stessa autrice fa intendere il termine “lobby” come qualcosa di “oscuro” e “malvagio” quando non è altro che un termine utilizzato oggi per riferirsi ai gruppi di pressione. Il tutto sta nel capire il significato della parola lobby. Gli animalisti (o alcuni sottogruppi) fanno pressione politica? Sì. Allora si può benissimo parlare di lobby animalista. Così come Pro–Test Italia può essere chiamata lobby dei ricercatori (anche se essendo un’unica piccola associazione, direi che non si tratta proprio di lobbying).

      • MM ha detto:

        sì che il singificato dell’espressione sia quello è fuor di dubbio. Così come è fuori di dubbio che l’espressione “le lobby fanno questo e quest’altro” circoli nel senso spregiativo che non ha affatto inventato l’autrice e che anzi viene usato per dipingere un misterioso e inesistente potere degli animalisti. L’articolo si oppone alla strategia comunicativa dei difensori della SA, è da lì che bisognerebbe partire. Poi, due torti non fanno una ragione, questo è certo.

      • Serena ha detto:

        Credo anch’io che nel linguaggio comune, almeno in Italia – ignoro cosa succeda all’estero – , il termine “lobby” non venga utilizzato nel suo significato “etimologico”, e cioè neutro e descrittivo, ma sia caricato di rimandi negativi che appaiono ingiustificati al linguista, magari, ma colpiscono piuttosto efficacemente il pubblico un po’ più passivo. Dico questo anche perché sempre, nelle mie discussioni con omofobi – consapevoli e inconsapevoli – , mi è capitato di ascoltare che sarebbe stata la potentissima lobby omosessualista a far espellere l’omosessualità dal DSM: dove lobby omosessualista mi pare sia considerato sinonimo di oscure forze plutocratiche gay. Diciamo che è proprio su questa ambiguità che è facile giocare.

      • Ettore ha detto:

        Ma davvero prendiamo in considerazione quanto viene scritto su quel blog? Un brodo di ingenui dal sapore macchiettistico. Per non parlare degli sproloqui sul complotto animalista ai loro danni. La regola è sempre quella: don’t feed trolls. Minimo, dopo questo articolo, scriveranno mezzo milione di parole con tanto di screenshot su quanto sia impreciso questo articolo.

      • Francesco S. ha detto:

        La gente con un minimo di cultura usa il termine in modo corretto, cosa intenda la gente comune è poco importante, come l’uso scorretto che si fa del termine “affatto” con significato negativo senza l’uso di negazione: Eppure quello è italiano non inglese. La gente “comune” sbaglia su troppe cose.

      • MM ha detto:

        Quante sciocchezze. La “gente comune” è un concetto privo di significato, ma dove siamo al bar dello sport?
        Qui si sta parlando di una strategia comunicativa dei pro SA che fa uso dell’accezione di lobby nel “linguaggio comune” (che a differenza del suo arrogante “gente comune” è un concetto definito: indica il livello medio e generico della lingua in quanto distinto dal linguaggio “specifico”).
        E’ dai tempi di Vico che tocca sopportare la boria dei dotti. Che poi dotti non sono.

      • Francesco S. ha detto:

        Termine usato negli Stati Uniti d’America, e poi diffuso anche altrove, per definire quei gruppi di persone che, senza appartenere a un corpo legislativo e senza incarichi di governo, si propongono di esercitare la loro influenza su chi ha facoltà di decisioni politiche, per ottenere l’emanazione di provvedimenti normativi, in proprio favore o dei loro clienti, riguardo a determinati problemi o interessi: le lobby degli ordini professionali, del petrolio. (Fonte, Treccani –> http://www.treccani.it/vocabolario/lobby/)

        Non è da dotti usare i termini in maniera approppriata. Come non è “comune” ma ignorante chi lo fa. La boria ce l’ha chi non ammette di sbagliare. Buona notte.

      • Francesco S. ha detto:

        errata

        … chi non lo fa.

      • pasquale cacchio ha detto:

        ah ah, sembra che gli scienziati non capiscano l’abisso
        che separa la gente comune dal linguaggio comune.
        E se ti dicessi che Treccani è un comune vocabolario italiano?

      • silvia ha detto:

        siccome ho notato citare la Treccani a più riprese, e nonostante la magnifica delucidazione proposta da Carlo Gallo nell’articolo da me riportato (mi chiedo a cosa servano filosofi, sociologi, linguisti universita et cetera, dal momento che esiste la Treccani) propongo la seguente considerazione vertente sulla fallacia etimologica: . La verità nell’etimologia: indifferente quanto l’uso sia variato o quale sia oggi l’accezione piú comune, corretto è adeguarsi al significato originario. Per cui se qualcuno ci desse del lobbista o del negro dovremmo limitarci a ringraziare. Da alcuni autori viene definito argomento o fallacia etimologica. La fallacia mi pare avere due accezioni fondamentali: 1) esempio: matrimonio deriva da mater, quindi il matrimonio DEVE contemplare uomo e donna e figli. Pensiamo poi a patrimonio…pater che DOVREBBE quindi avere il controllo su di esso….2) non si tiene conto della mutevolezza del linguaggio restando radicati all’accezione originaria, talora per trollaggio talora nella sincera convinzione che sia giusto farlo. Una discreta panoramica anche su wikipedia (anche se la lettura di testi dedicati, a parte la Treccani non puo essere sostituita da link trovati su internet):
        http://en.wikipedia.org/wiki/Etymological_fallacy

      • pasquale cacchio ha detto:

        Ah ah, Ettore, la proprietà di linguaggio l’hanno inventata gli insegnanti.
        Boh, non so cosa vuoi dire, ma mi hai divertito,
        finalmente Treccani è divertente.
        Ma qui si parla d’altro,
        non siamo al circo,
        come ci rimprovera l’autrice dell’articolo.
        🙂

      • pasquale cacchio ha detto:

        Quanto all’etimologia, nessun linguista, Silvia,
        si sogna di darle più importanza di quanto pensa il link.
        Il linguista la studia come, ehm, un botanico una pianta.
        Ma anche qui sono off topic, e me ne scuso.

      • Silvia ha detto:

        Pasquale, la treccani la pensa diversamente, che ci si decida sulle fonti 🙂 s. f. [dal fr. linguistique, der. di linguiste «linguista»]. – Scienza che studia sistematicamente il linguaggio umano nella totalità delle sue manifestazioni, e quindi le lingue come istituti storici e sociali, la loro ripartizione, i loro reciproci rapporti, nonché la funzionalità delle singole lingue sotto differenti aspetti (fonetico, sintattico, lessicale, semantico), sia nella struttura con cui si presentano in un determinato momento della loro storia sia nella loro evoluzione attraverso il tempo. Forse, le fonti servono solamente nel caso si sia in condizione di operare nessi logici tra di esse.laddove interdisciplinarieta e’ la parola d ordine a mio avviso. Quindi, le bestie, sia agli etologi che ai filosofi, linguisti……et cetera et cetera…..

  3. silvia ha detto:

    Ho trovato ottimo il parallelo con la „lobby degli omosessuali“, ancora piú frequente, e che avevo in mente. Rende bene l’intento. Il paragrafo finale (parafrasato liberamente da A. S.) è un rinvio alla concezione antropocentrica dell’universo. Certo si puó poi discutere su quali siano i mezzi migliori per ottenere un determinato target, e sarebbe assai interessante farlo, piú difficile discutere sulla attuale connotazione negativa del termine lobby. Reputo di grande importanza difendersi da ogni genere di genocidio intellettuale evitando al contempo di ricorrervi a propria volta, qualunqe sia la propria posizione (psiconano, toghe rosse e simili). Discutendo spesso su questi temi ho constatato l’efficacia del sobrio rinvio al rispetto delle “regole” e della messa al bando dei “trucchi da circo” , irrilevanti a sostegno di un argomento, e quindi di conclusioni condivise. Ringrazio per i commenti e l’interesse suscitato.

  4. silvia ha detto:

    “Oggi negli Usa il lobbismo, ossia il rappresentare interessi sociali davanti ai parlamentari, è del tutto ufficiale e pubblico. Al contrario, negli ambiti politici continentali, dove la rappresentanza politica si legittima attraverso il bene comune, o la volontà della nazione, il lobbismo – pur diffusissimo – è informale, non ufficiale e non trasparente. Se infatti è in linea di principio ammissibile che un parlamentare venga a contatto con pezzi della società civile, per conoscerne le esigenze, è anche evidente che non può essere il portavoce diretto di interessi particolari, perché il suo compito è precisamente legiferare avendo come obiettivo l’interesse generale. Il passaggio di denaro, poi, dal lobbista al politico, è sempre illecito, e in sospetto di corruzione.

    L’esistenza di

    interessi particolari è strutturale nella società. Questi interessi possono farsi valere sulla scena politica attraverso i partiti, che nei loro programmi fanno riferimento abbastanza chiaro a ceti o a gruppi – anche quando, come avviene oggi, i partiti sono largamente post-ideologici e post-classisti – . Gli interessi, in questa ipotesi, si affacciano sulla scena pubblica attraverso il processo elettorale, i partiti, il parlamento; dove, peraltro, devono sforzarsi di assumere un valore generale, di acquisire una piena legittimità politica attraverso un processo di confronto aperto e pubblico. Quello che gli interessi particolari non possono fare – e dovrebbero in ogni caso non trovare ascolto – è chiedere e ottenere, dal ceto politico, specifiche esenzioni da obblighi, o specifiche conferme di privilegi, o specifiche omissioni di intervento legislativo. In tal modo si assiste a una sorta di ‘trionfo del particolare’, che lede sia l’autonomia della politica sia l’uguaglianza dei cittadini: se la politica è fatta dalle lobbies, infatti, è più che probabile che vincano sempre i più forti, i più ricchi, i più influenti. La lobby dei farmacisti (solo per fare un esempio fra i mille possibili) prevarrà sempre su quella dei pensionati.

    Tramontata da molti decenni l’ipotesi corporativa – che consisteva nel dare rilievo pubblico e giuridico agli interessi sociali organizzati, all’interno di uno Stato autoritario – , la crisi del modello liberaldemocratico, che prevede una forte e decisa mediazione dei partiti e del parlamento, porta di fatto l’anticamera a prevalere sulla Camera, la politica di corridoio a sostituire quella dell’aula.

    Oggi, così, le lobbies sono più forti e influenti che mai, e hanno abbastanza potere per impedire riforme sgradite agli interessi più forti, o più diffusi, bloccando di fatto la società (e le sue energie) in una miriade di privilegi grandi e piccoli, che non si limitano a danneggiare il cittadino in quanto consumatore ma impoveriscono anche la politica e la sfera pubblica in generale, trasformandola in una giungla in cui vige la legge del più forte e nessuno è vincolato a un orizzonte generale. Questa vittoria del privato sul pubblico, in ogni caso, è frutto di scarsa lungimiranza. Un Paese senza politica, composto da gruppi che si comportano come free rider e tendono a spostare il peso della politica sulle spalle altrui, in un ‘si salvi chi può’ permanente, è infatti intrinsecamente a rischio. E, se crolla, trascina alla rovina anche gli interessi particolari delle lobbies oggi trionfanti. E non si salva nessuno. ” (C. Galli)

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