Solidarietà a Caterina, ma non tutti i malati sono uguali
di Serena Contardi
Il consumato comunicatore Matteo Renzi ha ragione: Caterina è bella. Questo è ciò che le ha conquistato la prima pagina dei quotidiani nazionali più letti, Caterina è ora una star. Sebbene il segretario del Partito Democratico intendesse probabilmente riferirsi alla sua «forza», a innamorarci tutti di lei è la sua giovane età, la sua gradevolezza. Certo non l’unico dei suoi meriti. Benché favorevole alla sperimentazione su animali, Caterina ha scelto come suoi affettuosi compagni di vita individui non umani (diverse fotografie la ritraggono abbracciata ad un cagnolino), è orgogliosamente vegetariana e si dichiara contraria alle pellicce (ragion per cui, con buona pace di Massimiliano Filippi, Federfauna è stata forse l’unica realtà anti-animalista a non poter agevolmente strumentalizzare questa vicenda). Le provocazioni e gli auguri di morte, dunque, offendono più di quel respiratore di plastica calato sul suo viso. Come offende che essi vengano adoperati come rampino per squalificare un intero movimento, che per inciso in questi due giorni non ha fatto altro che dissociarsi pubblicamente dagli insulti rivolti a Caterina – basta una veloce ricerca sul web per rendersi conto della quantità di comunicati che sono stati stesi per prenderne le distanze.
Con o senza la sua volontà, Caterina è stata trasformata in una réclame vivente: la sua storia si presta. Naturalmente, non per tutti i malati è così. A riprova del fatto che nella nostra società gerarchica e quindi specista le gerarchizzazioni binarie si riproducono continuamente entro gli stessi confini di specie – ed entro gli stessi confini delle categorie deboli, quelle più facilmente animalizzate – , sta la circostanza che le provocazioni e gli auguri di morte hanno un peso molto diverso a seconda dei soggetti a cui vengono indirizzati. Così un altro genere di malata, Giovanna Bordiga, sessantacinquenne spastica che prende risolutamente posizione contro la sperimentazione su animali, può essere tranquillamente derisa dai pro-testers più esagitati (un assaggio: «prima passa a miglior vita meglio è, Darwin docet») senza che si produca nessuno scandalo generale, senza che un giornale ne parli.
Sì, di vivere in un “mondo ingiusto” lo sapevamo, come sapevamo della tragica disparità di forze che corre tra chi difende lo sfruttamento degli animali – con ogni mezzo, come si è visto – , e chi vi si oppone. Per questo servono più oculatezza e studio.
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