Animalisti, patosensibili e altri perdenti

di Serena Contardi e Federica Quaregna

Il motivo per cui fra le pagine dei rotocalchi non mancano mai, anzi abbondano, test di personalità giudicati idioti da chiunque – compresi quelli che non se ne perdono uno – è che tutti, incondizionatamente, amiamo si parli di noi. Ignoriamo chi abbia introdotto per primo questi test su rivista, ma evidentemente costui è un genio: i pochi garbati che ancora ritengono moderatamente disdicevole ridurre l’interlocutore a un paio d’occhi in cui specchiarsi, e pregarlo silenziosamente perché prosegua a incensarci, o a contraddirci – che pure richiede un minimo di stima – possono proficuamente rivolgersi alla carta per concedere un’ora d’aria al proprio narcisismo, e senza scocciatura per alcuno.

Chi scrive non nutre certo la pretesa d’elevarsi al di sopra della media dei lettori: anche noi li abbiamo fatti quei test, sia chiaro. Come avremmo potuto evitarlo? Ne esiste persino uno, non su giornale ma sul web, che pare chiamarci direttamente in causa: quello sui patosensibili. Per inciso, non risultiamo patosensibili (sob), ma è probabile che il risultato del test sia stato falsato dal nostro deprecabile sospetto nei confronti di ogni ridicolo neologismo. Ci lasciano perplesse, non possiamo farci nulla. Si vede che non facciamo parte della High People. Chi è l’High People? Quella che i ridicoli neologismi li plasma, of course. Noi ce li immaginiamo sulla spiaggia con un fisico sempre migliore del tuo, denti più bianchi e alito gradevole e profumato anche appena svegli. Ma teniamo a freno la fantasia, non diventiamo troppo low. Sul sito dove abbiamo scovato il test – e non solo quello, ora ci arriviamo – si legge faccia parte dell’High people chi si trova “in alto nella piramide esistenziale”. Chi crede la felicità sia possibile, perché “basta comprendere il mondo (psicologia), nutrirsi bene (alimentazione) e fare un po’ di attività fisica (sport) e si potrà far parte di quel 3-4% della popolazione che vive veramente alla grande”. Sono persone “moderne e positive (NEW PEOPLE)” e si riuniscono tutte su albanesi.it (il sito dell’High People). Non hanno una buona opinione degli animalisti, e nemmeno dei vegani. In quanto animaliste e vegane, siamo cordialmente escluse dal consorzio di quelli che vincono (pazienza). Ciò che accomuna animalisti e vegani, il fattore che impedisce loro, ci impedisce, di raggiungere la vetta della piramide esistenziale è proprio, l’avrete intuito, la patosensibilità. Consisterebbe nell’incapacità di elaborare un sufficiente distacco dal dolore che abbiamo attorno, ma che non ci coinvolge direttamente, cui Albanesi dedica una dettagliata analisi.

Ma chi stiamo leggendo? Una breve conoscenza di Albanesi, un’annusatina alla sua biografia: ingegnere elettronico, impiegato nel settore sino al 1993, dice di sé di occuparsi di Well being dal 1987, dal 2000 direttore del sito internet albanesi.it. Nel frattempo ha curato e realizzato testi di informatica. Non ritiene di fornire ai suoi lettori informazioni su un’eventuale formazione personale che abbia contribuito a strutturare la sua attuale attività. Un buco nero tra l’informatica e la saggezza del vivere felici e performanti. Illuminato un giorno sulla via di Damasco tra una performance di jogging ed una partita a scacchi? Nulla è dato sapere. Certo, l’esperienza è fondamentale e molte scoperte o pensieri innovativi hanno preso forma in menti lontane da una preparazione canonica, ma Albanesi, da uomo che sa volare alto, oltre il comune pensiero che ingabbia noi patosensibili in una vita non realizzata, ritiene che una persona dotata di cervello sappia “dedurre logicamente se una proposizione è verosimile o meno, anche se enunciata da un medico. E che per evitare di mettere le dita in una presa di corrente non occorre essere un fisico”. Come dire, e ci scuserete se utilizziamo delle conoscenze di banale psicologia canonica (siamo inguaribilmente zavorrate al terreno di un sapere ben argomentato, sarà per quello che odiamo il running?), che avere una grande memoria in grado di immagazzinare migliaia di schemi strutturati gerarchicamente autorizzi ad assemblare a piacimento informazioni mediche e psicologiche, e, soprattutto, dia credito automatico a modelli teorici del tutto nuovi, come quelli legati alla patosensibilità ed alle altre “personalità” nomenclate da Albanesi. Con tanto di indicazioni per la “diagnosi”.

Nel modello albanesiano (sic), patosensibile è colui che non riesce a elaborare un sufficiente distacco dal dolore che ha attorno, ma che non lo coinvolge direttamente. La sufficienza del distacco è misurata in termini di “conoscenza diretta”: il patosensibile soffre con l’altro, pur non conoscendolo direttamente. A nessuno è consentito di aiutare tutti sempre, quindi la patosensibilità è considerata negativa per il Well being perché rende impossibile essere felici, o perché rende incoerenti, soffrendo per qualche evento o categoria a cui si è più sensibili e ad altre no. Il consiglio per entrare nel cerchio dell’High people è che aspirare alla santità è insulso, essere buone persone all’interno del nostro “cerchio dell’amore” è il massimo dell’umanità. La patosensibilità, l’empatia per gli sconosciuti, umani o animali che siano, del mendicante che tocca le nostre corde più profonde è un fattore di destabilizzazione dei nostri obiettivi e svia le nostre emozioni da attività più gratificanti per il nostro benessere.

In pratica, dopo aver introdotto questo buffo neologismo, Albanesi procede a mettere in luce tutta la problematicità del concetto che esso veicola. Ma è una problematicità che sta tutta nella sua testa, perché non esiste nessuna “patosensibilità” e noi siamo abbastanza furbe per capire che quel pathos non si riferisce soltanto al dolore cui saremmo eccessivamente sensibili, ma alla sofferenza psichica che ci affliggerebbe in quanto patologicamente sensibili. Siamo ad un tentativo, peraltro neanche troppo raffinato, di patologizzazione della compassione verso l’altro non umano. E non solo non umano, a dire il vero: le tesi di Albanesi, se prese sul serio, conducono a conclusioni interessanti. Poiché la coerenza intesa come valore astratto ed assoluto, che il nostro intende applicare a qualcosa di complesso come la psicologia e il comportamento umani come si trattasse di risolvere cruciverba, comporta – ma Albanesi non ha interesse a precisarlo – che si debbano escludere dalla nostra considerazione anche e soprattutto altri esseri umani. Dovremmo, molto coerentemente, fregarcene di tutti (famigghia e associazioncina a parte).

Gli Italiani che durante la seconda guerra rischiarono la vita nascondendo Ebrei, pur senza magari conoscerli, perché credevano fosse giusto farlo? Dei patosensibili. Persone ai piedi della piramide esistenziale. Perdenti. Albanesi, questo stai dicendo: discende dalle tue premesse.

Noi, molto più umilmente, crediamo non sia necessario scomodare categorie nuove e inventate di fantapsicologia per ritenere psicologicamente interessante questa strana tendenza che si sta diffondendo per la rete: una stipsi morale che porta a definire “patosensibili”, “nevrotici”, “malati” tutti coloro che non intendono rimuovere od occultare l’indicibile realtà del dolore animale. Non è un caso gli Antichi la chiamassero male oscuro: mangiate più fibra.

Comments
24 Responses to “Animalisti, patosensibili e altri perdenti”
  1. luki ha detto:

    Ottimo articolo! Complimenti!

  2. ritaciatti ha detto:

    Brave, ottimo articolo!
    Tempo fa capitai anche io sul sito di Albanesi e infatti mi lasciò alquanto perplessa vedere con quanta superficialità egli tacciasse di “patosensibilità” le persone dotate di empatia (che dovrebbe invece essere una qualità appartenente ad ogni individuo sano).
    Suppongo quindi che se dovessi incontrare Albanesi in difficoltà, chessò, magari vittima di un malore o di un incidente, dovrei voltarmi dall’altra parte per scongiurare il rischio di apparire affetta da un’inguaribile “patosensibilità”. 😀

    • Serena Contardi ha detto:

      Grazie, anch’io avevo pensato la stessa cosa 😀
      Ma poiché la sua fantasiosa definizione di “patosensibile” ricalca la mia di “persona decente”, mi fermerei a soccorrerlo, come decenza comanda. Anzi, ora invento un test che consenta di scoprire se si è persone decenti, visto che quello sulla patosensibilità mi dava come risultato “non patosensibile”.

  3. derridiilgambo ha detto:

    Morale per nazisti, in effetti.

    Sarà che i tempi son buoni

  4. buridana ha detto:

    Sono patosensibile. Ho fatto il test. E siccome la domanda 13 chiedeva “Esiste almeno una persona la cui vita salveresti in cambio di quella di cento sconosciuti?” so per certo

    a) che non è Albanesi quella persona;
    b) che sicuramente Albanesi rientrerebbe fra i cento sconosciuti;
    c) che se sapessi che Albanesi rientra fra i cento sconosciuti a maggior ragione salverei qualcun altro.

    Mica per niente, ma è che oltre a essere patosensibile sono anche molto religiosa, e la mia religione mi vieta di frequentare gli imbecilli.

    Bravissime Serena e Federica 🙂

  5. Giorgio Cara ha detto:

    Grazie per il link al test di patosensibilità.
    Per la cronaca, mi dà questo risultato che, come ivi richiesto, ho letto con attenzione:
    “Test fallito. Hai superato la soglia di normalità per il test in questione e sei stato giudicato un patosensibile.”
    Feral notizia!
    Appena dopo, mi sono ricordato che debbo portare da mangiare ai gatti del quartiere, innaffiare le piante nei vasi lasciati per strada e dei quali i legittimi proprietari se ne sbattono, e finanche riservare un po’ di lattuga alle lumache nel terrazzo.
    Di che stavamo parlando? 😉

  6. rita ha detto:

    Comunque pure io sono risultata patosensibile. 😀

  7. Daniela ha detto:

    Queste teorie sono spassosissime, non ho tante conoscenze di psicologia, ne ho qualcuna però e mi è bastata per sganasciarmi letteralmente dalle risate; tutte queste teorie che si stanno diffondendo per fare apparire l’amore per gli animali come qualcosa da curare in un certo senso mi fanno capire come tanta gente, che fa dell’antropocentrismo la sua ragione di vita, si sta vedendo scivolare il terreno sotto i piedi: quando la rabbia esplode vuol dire che si è fatto centro……ah anche io sono patosensibile e ne vado fiera…..bisognerebbe spiegare a certi signori che l’intelligenza emotiva, di cui l’empatia fa parte, è una delle doti che contribuiscono all’intelligenza “vera” ….ma loro non hanno bisogno di studiare in effetti, le loro certezze sono quelle giuste 🙂

  8. Claudia ha detto:

    Meravigliosa creatura: grazie. Il tuo ennesimo, straordinario, intervento rincuora il mio animo sensibile, che tanti credono pato-sensibile..

  9. adrienne8588 ha detto:

    Il messaggio neanche troppo nascosto mi sembra tanto “Se vuoi essere vincente, far parte dell’élite, diventa stronzo e fregatene di tutto e tutti”. Al di là dell’attendibilità del test… Opinioni personali del signor Albanesi, senza alcuna pretesa di scientificità. Fiera di essere “patosensibile” e non una pietra XD

  10. Roberto Albanesi ha detto:

    Grazie dell’articolo. Rispondo brevemente per punti.
    > non risultiamo patosensibili
    E quindi non lo sei. Essere patotensibili non vuol dire essere insensibili al dolore, ma essere troppo sensibili a quello che non ci coinvolge direttamente. Se amo gli animali è ovvio che se vedo un animale che soffre proverò emozioni spiacevoli, ma se non mi è mai fregato nulla della salvaguardia degli animali e mi metto a piangere per un passerotto morto investito da un auto sono patosensibile.

    > High People
    La tua descrizione fantasiosa è tipica di tute quelle persone che vogliono parlare senza aver studiato la materia. Se tu avessi perso qualche attimo per leggere la pagina sull’high people ti saresti resa conto che questo insieme di persone è quello che nella società vive avendo minimizzato i problemi dell’esistenza. Ho studiato l’insieme e ho evidenziato tutti i comportamenti da cui sono immuni. Tranquilla, io non sono nato perfetto, anzi. Ho cambiato la mia personalità e da 20 anni non ho più problemi e ringrazio i miei studi. Poi c’è gente che si dichiara contenta di avere problemi, ma essere così e cosà. Contenti loro, ma vedremo se lo penseranno ancora quando saranno avanti con gli anni e si accorgeranno di aver sprecato parte della loro vita.

    > Non hanno una buona opinione degli animalisti, e nemmeno dei vegani
    Io sono cacciatore, ma con i miei cani (che amo moltissimo) vado a caccia solo di animali allevati. Sono quindi in sintonia con ambientalisti che difendono ogni animale selvatico; lo sono molto poco con animalisti e vegani perché spesso (ovviamente ci sono le eccezioni) sono ben poco interessati alla natura.

    > Illuminato un giorno sulla via di Damasco tra una performance di jogging ed una partita a scacchi?
    Niente jogging o scacchi. Solo 5 anni ad assistere giorno dopo giorno una persona con gravi problemi, accanto a psicologi e psichiatri, tra tanti testi di psicologia e di psichiatria.

    Per Buridana: la mia religione mi vieta di frequentare gli imbecilli.
    Un motivo per cui io non sono credente è che la religione è sempre integralista. Grazie dell’epiteto e scusa se esisto. Se tutti fossero come te, noi imbecilli finiremmo in una camera a gas.

    • Serena ha detto:

      Gentile Albanesi,
      innanzitutto grazie del commento. Spero questa High people, di cui parlo senza aver sufficientemente approfondito la materia, sia dotata di una buona dose di autoironia. Non so se migliori la qualità della vita, ma ho sempre pensato fosse indizio di intelligenza. A differenza di Buridana, non penso affatto Lei sia un imbecille (ricorro al Lei non per marcare una distanza, ma perché credo Lei sia un po’ più grande di me, e così mi è stato insegnato): condivido molte delle sue posizioni su religione, omosessualità, ecc. Credo però la sua caratterizzazione delle personalità sia eccessivamente tipizzante, e crei, magari involontariamente, il tipo umano del “malriuscito”, incarnato da tutta una serie di figure. Se questo può effettivamente aiutare qualcuno a migliorarsi, traendone giovamento nella vita di tutti i giorni, ottimo. Ma se serve, magari di nuovo involontariamente, lo scopo di squalificare determinati individui, abbiamo un problema. Io ce l’ho di sicuro, visto che la patosensibilità mi è stata “diagnosticata” da un suo lettore a corto di argomenti, che intendeva cucirmi la bocca con gesto repentino: pur essendo risultata non patosensibile, io sono vegana per motivi etici. Che diversi vegani abbiano una visione distorta della Natura, è purtroppo innegabile. Che i cacciatori la conoscano sempre a fondo e sempre facciano il suo bene, è altrettanto falso. In effetti, io non credo esista “il cacciatore”.

      • Roberto Albanesi ha detto:

        Innanzitutto mi permetto di darti del tu, lo faccio con tutte le persone che visitano il mio sito (anche a me hanno insegnato a dare del lei alle persone più anziane o più importanti, ma è una di quelle cose che il mio spirito critico ha bocciato 🙂 )
        L’autoironia è una forma di intelligenza esistenziale (chi non ce l’ha tende a essere insofferente) e quindi migliora sicuramente la vita!
        Più che creare la personalità del fallito, il Well-being la descrive. Non so se hai approfondito, ma ognuno di noi è un mix (praticamente unico) pesato delle 20 personalità elementari. Ognuno di noi può avere un x% della personalità violenta o di quella romantica. I guai scattano quando si superano certe soglie perché la persona non può definirsi equilibrata. Realisticamente, non più del 10% della popolazione lo è e infatti moltissime persone vivono problemi che sarebbero rimossi, basterebbe modificare la personalità. Una persona è veramente spacciata solo quando non si mette mai in discussione, non cerca mai di migliorarsi: puoi cadere cento volte, ma se cerchi di rialzarti sempre sei una persona meritevole di attenzione.
        Circa lo scontro che hai avuto con il mio “fan”, è normale. Fra i miei fan (come fra i vegani, gli sportivi o altri insiemi di persone) ci sono quelli che cercano solo di appartenere all’insieme per aumentare la loro stima (la sindrome del tifoso che grida al mondo “abbiamo vinto lo scudetto”, quando lui proprio non ha vinto nulla). Mi capita spesso di ricevere mail da miei fan e di chiedermi “ma possibile che non sappia esprimermi perché questo non ha capito nulla!”.
        Che il 90% dei cacciatori non ami la natura, tratti male i propri cani ecc. sono d’accordo. A chi mi parla male della caccia chiedo se è vegetariano (un anticaccia deve essere, se non vegano, almeno vegetariano, questo per coerenza). La gran parte non lo è (a dire il vero ho convinto qualcuno a diventarlo) e allora faccio loro presente che, se condannano la caccia perché il 90% dei cacciatori è deplorevole, allora dovrebbero condannare l’umanità visto che è molto alta la percentuale di chi è eticamente discutibile (non dico assassini, pedofili, stupratori, ma più comunemente evasori fiscali, violenti in famiglia, fannulloni sul lavoro e chi più ne ha più ne metta).
        Come ti ho detto, io caccio solo animali allevati che liberiamo nelle campagne qualche mese prima e non vedo grande differenza fra uno di questi fagiani e i polli d’allevamento. Probabilmente potrei anche essere vegetariano. Personalmente trovo che però oggi esserlo peggiorerebbe di molto la mia qualità della vita. Per questo, come strategia, forse sarebbe più efficiente che vegani/vegetariani, anziché discutere all’infinito con la controparte sui diritti degli animali, si dessero da fare per costruire una società più a misura di animali (esempio ristoranti vegetariani, supermercati vegetariani ecc.): più sarà facile per il non vegetariano diventarlo e più ogni “alto discorso etico” sarà inutile. Scusa per lo spazio che ti ho preso.

      • Serena ha detto:

        Passo anch’io al tu: quanto allo spazio che mi hai preso, non c’è alcun bisogno di scusarsi, anzi di nuovo ti ringrazio. Ho approfondito il discorso Well-being e, pur trovandomi d’accordo con diverse delle conclusioni a cui approda, che mi paiono di intelligenza e buon senso, rimangono perplessa su alcuni punti. Ad esempio, ritengo molto difficile che le più grandi conquiste della scienza e dell’arte siano state raggiunte da personalità perfettamente equilibrate. Queste persone erano probabilmente dei “contemplativi” (il mio “squilibrio” 🙂 ), e tutto sommato ringrazio che siano rimaste tali, o io non potrei leggermi la Fenomenologia dello spirito e neppure risponderti da questo pc. Allo stesso modo, mi colpisce molto che tu stesso affermi potresti anche essere vegetariano, e non escludi tra due o tre secoli potremmo addirittura esserlo tutti (come spero). La sensibilità verso gli animali negli ultimi anni è cresciuta esponenzionalmente, e io non credo ci sia ragione di dubitare che col passare del tempo continuerà a farlo: già oggi molti dei soggetti che si nutrono di carne lo fanno solo rimuovendo l’idea della morte dell’animale, e non caccerebbero né macellerebbero personalmente l’individuo che poi si trovano nel piatto (anzi, come noti anche tu, spesso non hanno grande stima di chi lo fa al posto loro). Non so se valuti positivamente o negativamente questo aumento di empatia per le alterità non umane – io credo sia un progresso – o se piuttosto lo giudichi neutro, ma certo questo cambiamento di paradigma alimentare e soprattutto “esistenziale” (ciò avrebbe ripercussioni profonde sul nostro modo di guardare agli altri animali e credo anche a noi stessi) non potrebbe tradursi in realtà senza il lavoro e l’impegno di vegani e vegetariani, che pure al momento vengono stimati personalità critiche. Grazie di nuovo per lo scambio di opinioni.

      • Roberto Albanesi ha detto:

        Non è necessario essere “perfettamente equilibrati”, basta essere “equilibrati”. Molti scienziati lo sono stati (vedi la scheda di M. Levi Montalcini, http://www.albanesi.it/Mente/personaggi/rita_levi_montalcini.htm, un esempio di high people, sfido chiunque a dimostrarmi che non fosse equilibrata e che non abbia vissuto una vita felice). Per gli artisti è diverso, ma l’arte è soggettiva e sorrido quando la si vuol far passare per eterna (i dinosauri si sono estinti 65 milioni di anni fa, fra 10000 anni i quadri di Leonardo o Matisse saranno valutati come esempi di arte preistorica). In ogni caso quello che conta è la felicità dell’individuo: come dico a chi mi considera un distruttore dell’umanità perché dico che fare figli peggiora mediamente la vita, io preferirei una mia vita molto felice e l’umanità estinta fra 200 anni piuttosto che una vita molto triste o noiosa e un’umanità prosperosa fra 200 anni.
        Contemplativo è chi ritiene la cultura “necessaria” alla felicità (in realtà è solo una condizione facilitante). La Montalcini era rimasta una persona semplice senza nessun snobismo intellettuale.
        L’aumento di empatia lo giudico positivamente finché resta nei limiti del sentire medio della società in cui viviamo (io cercherei di cambiare questo sentire medio piuttosto che di proporre oggi una soluzione finale). Forse un giorno la vita di una zanzara sarà considerata come quella di un uomo, ma a oggi non è così. Molti che promuovono la vita degli animali sono fra i primi a chiedere il controllo degli squali né pensano (e quindi rinunciano) che se escono in auto in una serata con un temporale estivo è “certo” che schiacceranno un bel po’ di rane, attirate sull’asfalto caldo dalla pioggia. Insomma molti amano gli animali purché non diano loro fastidio. Siccome per me la coerenza coincide con l’etica, ho cercato (per me) una risposta (alla differenza che faccio fra una zanzara, un topo e un cane). L’ho trovato con il concetto di “animale amorevole” (vedi: http://www.albanesi.it/VMS/abbandono.htm).

  11. rita ha detto:

    Gentile Albanesi,
    lei parla di equilibrio mentale, e riporta l’esempio di persone, come la Montalcini, equilibrate. Secondo lei una società e cultura in cui la violenza e l’orrore sono normalizzati, rimossi, finanche negati, comunque taciuta, è equilibrata? Mi spiego meglio. Pochissimi di noi sanno in quali reali condizioni sono realmente costretti a vivere gli animali allevati e sfruttati per i più disparati fini, ad esempio tutte quelle signorine che vedo in giro adornate di pellicce fuggirebbero a gambe levate se solo fossero costrette ad osservare come vengono uccisi e scuoiati gli animali da pelliccia, così come altri di noi (e lo so perché ne ho le prove) si rifiutano di guardare video inerenti la macellazione. Eppure la bistecca e le scarpe in pelle che queste persone indossano sono ottenute tramite quegli stessi procedimenti che vengono poi volutamente, ma anche inconsciamente, rimossi nel quotidiano. La mia domanda è, di nuovo, lei considera sano, equilibrato, normale pensare solo alla propria felicità, al prezzo però di una rimozione e normalizzazione continua di questo orrore che è la sofferenza degli altri esseri senzienti?
    Noi animalisti non è che siamo patosensibili, al contrario, siamo persone realistiche (ossia che conoscono la vera realtà dello sfruttamento animale) ed anche perfettamente sane, perché secondo me, voler evitare tanto spargimento di sangue e sofferenza ad altri esseri senzienti perfettamente in grado di soffrire come noi, è sano, sanissimo. Mi preoccuperei del contrario, ossia dell’indifferenza con cui si vendono, ad esempio, astici vivi nei supermercati e si prendono, si impacchettano e si gettano nell’acqua bollente. Mi preoccuperei dell’indifferenza con cui noi calpestiamo migliaia di vite senzienti al giorno e solo per abitudini culturali, solo perché lo sfruttamento sistematico è considerato culturalmente “normale”. Non c’è nulla di equilibrato in questo, è solo un meccanismo indotto dalla società.
    E inoltre parla di etica. L’etica non può non tener conto del nostro rapporto con gli altri che ci circondano, altrimenti è solo moralismo. Lei dice che quello che conta è la felicità dell’individuo. Benissimo, dunque un pedofilo dovrebbe assecondare i propri istinti per essere felice? E, quando parliamo di felicità, di cosa stiamo parlando? Non è sempre anch’essa un prodotto culturale, tanto che si parla di desideri indotti, la cui realizzazione, per alcuni, conduce alla felicità.

    • Roberto Albanesi ha detto:

      Gent.le Rita, le tue riflessioni sono talmente interessanti che ho inseirto un commento nella mia pagina sulla dieta vegana: http://www.albanesi.it/Alimentazione/vegana.htm#sofferenza (è il primo della sezione Commenti). Spero di averti risposto esaurientemente o comunque di aver chiarito il mio punto di vista.

      • Serena ha detto:

        Caro Albanesi, non volevo rubarti altro tempo ma purtroppo non posso fare a meno di intervenire di nuovo:

        “se è vero, come sostengono i vegani”

        Ma questo è quello che sostiene UNA vegana! Fra l’altro io a Rita voglio molto bene, ma devi sapere che sulla questione dell’etica ci scanniamo parecchio (in amicizia) e non c’è affatto accordo su questo punto. Hai definito l’etica nei termini della coerenza personale e, leggendoti, mi pare il tuo concetto di etica sia molto vicino all’eudaimonìa greca (un’etica tutta rivolta alla condotta del singolo, secondo cui bene e felicità coincidono) : è facile vedere che se la maggior parte degli Italiani davvero seguisse coerentemente i propri principi, il numero di vegetariani e vegani aumenterebbe vorticosamente. Non credendo nell’esistenza di un’etica assoluta (ma c’è chi dice esista, e non facendo appello alla religione http://www.einaudi.it/libri/libro/sam-harris/il-paesaggio-morale/978880621072 … insomma non è questione che si possa liquidare con troppa facilità), a me basta questo, e cioé che, riguardo agli animali, non ci sia ipocrisia. In effetti io non ho i tratti tipici di chi ha un’impostazione morale forte (propensione al giudizio, incapacità di un reale confronto che spesso, ahimé, degenera in aggressività). Alla fine quel che ti “contesto” è un’eccessiva generalizzazione che non può tenere conto di particolari e sfumature e riduce la realtà a categorie un po’ troppo rigide: il fatto stesso che io, vegana, abbia superato con successo il test relativo alla patosensibilità testimonia che, forse, le cose sono un po’ più complicate di come potrebbero apparire a prima vista. Leggendo la tua pagina sui vegani, io non mi sento affatto rappresentata, e di fatto non lo sono. Ma, di nuovo, a me cominciano i pruriti non appena sento parlare de “i vegani”…

      • Roberto Albanesi ha detto:

        Lo studio della personalità lo descrivo in un testo di circa 500 pagine quindi non penso sia “sbrigativo”. Mi preme sottolineare che essere vegani non è condizione sufficiente per essere definiti patosensibili; ci sono vegani equilibrati e vegani che non lo sono, proprio come esistono ingegneri equilibrati e altri no. Non a caso con i vegani equilibrati mi piace discutere (anche se su posizioni diverse), convinto che comunque il dialogo arricchisca, con quelli non equilibrati lo trovo un po’ inutile .-). Ragionando per assurdo, se le posizioni vegane si affermeranno totalmente fra X anni, se tutti i vegani fossero come te si affermerebbero in X/2 anni.

  12. rita ha detto:

    Gentile Albanesi,
    lei parla di veganismo, io parlo di empatia (non patosensibilità, ma empatia, si chiama empatia e di patologico non ha proprio nulla; molto più patologico è uccidere per mangiare quando non ce n’è affatto bisogno o delegare ad altri questo compito perché da soli non si sarebbe mai capaci) e liberazione animale. Può sembrare che i tre concetti coincidano, ma invece sono il primo la conseguenza degli altri due.
    Le metto il link ad un’intervista a Leonardo Caffo, così forse capirà meglio a cosa mi riferisco quando parlo di etica, liberazione animale e veganismo come naturale derivazione di tutto (a meno che non si voglia scadere nel classico “predicare bene e poi razzolare male”): http://www.transcend.org/tms/2012/08/italian-animalismo-specismo-antispecismo-e-diritti-degli-animali/
    Inoltre mi associo a Serena (su questo siamo d’accordissimo, su altro no, ma in effetti ci vogliamo bene) quando le fa rilevare che dire I vegani è come dire Gli animali, ossia una riduzione di molteplici individui in un’unica etichetta spesso anche dai contorni piuttosto sfilacciati, per non dire vaghi, sfumati, pieni di buchi pregiudiziali.
    Lei scrive di veganismo e scrive, mi perdoni, tante di quelle inesattezze che a volerle riprendere tutte e ribattere punto per punto ci vorrebbe una giornata intera. Comunque Riccardo del sito Animal Station aveva già sapientemente smontato tutti i suoi errori, se lo ricorda? http://www.animalstation.it/roberto-albanesi-tra-vegani-ortoressici-e-granivori/
    Eppure continuo a leggere che, secondo lei, esisterebbero i granivori? I granivori: persone che mangiano solo cereali. Ma dove l’ha sentita questa, mi scusi? E ancora devo leggere che i vegani sono persone patosensibili.
    Comunque, l’empatia che ci porta a rispettare tutti gli esseri senzienti non può far alcun danno, al contrario, l’indifferenza e l’introiezione di un preciso modello culturale che ci fa credere che sia “normale” sfruttare, uccidere, abusare di altre vite, ha condotto nei secoli a quelle aberrazioni che tutti conosciamo, tipo i campi di concentramento, ad esempio; perché finché verrà considerato “normale” sfruttare ed abusare degli animali non umani, ogni qual volta farà comodo per determinate ragioni discriminare o schiavizzare una determinata etnia o gruppo di persone, basterà assimilarle agli animali (si è fatto per gli Africani deportati e ridotti in schiavitù, per gli Ebrei, per le donne, per gli omosessuali ecc.). Vede bene che invece rispettare tutti i senzienti e procedere in vista di una loro totale liberazione tornerà a vantaggio di tutti noi, altro che patologia!

  13. sdrammaturgo ha detto:

    Ammazza Albané, te piace proprio ‘sta porchetta.
    Per difenderla ti sei messo addirittura a edificare teorie scientifiche, scrivere trattati di centinaia di pagine e creare nuove categorie per il DSM.
    Questo sì che è entusiasmo gastronomico.

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  1. […] scritto a quattro mani con Federica e apparso su Asinus Novus […]