Ma come si fa?!
Eccomi qui, di sabato mattina mentre il 90% delle mie coetanee si affanna in shopping, spesa, preparazione di pranzi e pulizie della case, mentre altri si rilassano beati nei loro lettoni meritati, io per l’ennesima volta, sono col mal di testa, l’ansia, l’angoscia e la disperazione nel cuore perchè?! Perchè non mi capacito, non riesco a sopportare quello che le mie orecchie e i miei occhi vedono!
Ogni minuto ogni istante si svela al mio cuore una realtà cruda e violenta…… vi aspettate che parli dei nostri fratelli animali vero? Ebbene NO! O meglio non di loro direttamente ma di noi che siamo coloro che si sono messi in testa di liberarli! La questione della liberazione animale, del veganismo, dell’antispecismo (politico per forza), dell’animalismo, e come altro lo vogliamo chiamare sta subendo grandi mutazioni. Se da un lato infatti assistiamo a sismi più o meno forti in seno alle differenti e numerose organizzazioni, dall’altro è innegabile una crescita del movimento stesso con diramazioni multiple e sfumature di pensiero e orientamento a volte antitetiche. Come fare per cercare unità quando l’unità in realtà non c’è? Come si fa a prefiggersi un obiettivo quando la strada che si vuole intraprendere per raggiungerlo, non è diversa dalla tua, ma opposta?! Come si fa soprattutto a superare i confini di ciò che ognuno di noi nella sua etica individuale riconosce come invalicabili? E dove finisce il limite e inizia l’altro? Quale soluzione quando ci si provoca, ci si picchia, ci si attacca anche pubblicamente per divergenze IMPORTANTI di opinione? Come si fa a metterle “momentaneamente” da parte per “loro”??
Leonardo Caffo ha definito questi atteggiamenti antropocentrici, modalità pertanto ancora vincolate a vecchi schemi di azione e pensiero che non ci liberano realmente per riuscire a intraprendere la strada verso la liberazione animale. Sono d’accordissimo. Ma vorrei però sottolineare che oltre il pensiero c’è poi la vita reale, e per noi ARA quella dell’attivismo. Come riuscire a non condannare uno che al mio fianco inneggia all’uccisione del contadino che ha ucciso il maiale come se fosse lui la causa della schiavitù animale? Come tollerare qualcuno che davanti a una violenza su un animale lo epiteta “negro di merda”? E ribadisco che queste non sono solo parole. Sono atti. e come condannare costoro quando anche io tengo a quel maiale e quel dato animale?!
È facile urlare all’unità, alla causa che è superiore e per la quale non dovremmo guardare in faccia a nessuno, qualunque pensiero politico, stile di vita, comportamento, è facile affermare che si è APOLITICI senza nemmeno essere consapevoli della gravità morale proprio verso gli animali che questa affermazione implica, è facile insomma fare del populismo e del qualunquismo. Molto più difficile, a mio avviso, è rimanere coerenti con dei valori, chiamateli anche antropocentrici, di rispetto della libertà e della vita altrui, della dignità e della integrità delle persone.
Personalmente sono contro ogni forma di violenza che implichi sofferenza morale e / o fisica a qualunque essere vivente. Ciò non significa che io sia amorfa e immobile e nemmeno che non abbia dei limiti. La verità è che l’animalismo NON è antispecismo, né di destra né di sinistra. Ci sono mille tipologie di animalisti: quelli settoriali: amo il cane e mangio il maiale; quelli parziali: sono contro la vivisezione ma indosso un cappuccio di pelliccia o ancora peggio porto un coniglio salvato da un laboratorio a un corteo con 2000 persone!; quelli vegani misantropi che sono convinti che il vivisettore sia il demonio e debba per questo morire (e guardate che non sono slogan, negli USA un’attivista rischia 10 anni di carcere per aver fatto stalking a un vivisettore – scommetto che state storcendo la bocca perchè approvate questo ;-)- ) o che la donna in pelliccia vada malmenata e lapidata – e anche questo – ; i vegani incazzati che fanno spedizioni punitive ai cattivi che maltrattano gli animali; poi i vegani illuminati dalla luce della verità; ma tutto questo non ha nulla a che vedere con l’antispecismo. anche qui abbiamo le varie tipologie: gli antispecisti che si fermano a Regan e Singer, e dunque pensano che il problema sia squisitamente morale, gli antispecisti cosiddetti politici (si è sempre comunque politici) che forse peccano di presunzione nel pensare che lo sfruttamento è originato da una serie di dinamiche collettive che prescindono dalla singola persona e che pertanto va affrontato con strumenti appropriati, ed infine gli antispecisti che però sono di “destra” ovvero mirano a una liberazione degli animali ma concepiscono una gerarchia di valori e libertà all’interno della propria specie. (lo trovo schizofrenico, ma esiste!)
E allora dunque cos’è l’ANIMALISMO!?!?! come Maurizi dice che l’antispecismo politico non esiste, in un suo noto articolo che andrebbe letto con molta attenzione, io mi domando se anche l’animalismo esista e cosa sia, quali sono i suoi presupposti imprescindibili?. Sono solo etichette? O hanno un significato? E quale?? sei animalista perchè ami i cani?! O forse perchè sei contrario agli esperimenti su cani e scimmie ma in fondo sti cazzi dei topi? Sei animalista anche quando mangi il formaggio indossi il cappuccio in pelliccia convinto sia finto e invece è vero? Cos’è essere animalista?! Liberare tutti gli essere senzienti schiavi del nostro sistema? E liberarli come?
È facile parlare dell’obiettivo quando non si da nemmeno una forma a chi lo dovrebbe perseguire!
Mi sembra di avere davanti un grosso calderone dove si mette di tutto, tanto in fondo tutto fa brodo, se siamo in 10000 sempre meglio che in 1000 e se poi quando si torna a casa si diventa carnefici o violenti con chi ci vive vicino poco importa, l’importante è la causa. E si ritorna al punto di partenza. Allora il mio discorso va ancora oltre: se ci battiamo per la liberazione animale perchè siamo convinti che lo sfruttamento di altri esseri senzienti sia vergognosamente ingiusto, se crediamo che la vita e la dignità di un vitello, di un maiale, di un cane, siano intoccabili, se ci scagliamo contro un sistema di sfruttamento e dominio dell’altro e soprattutto se proponiamo una possibile o delle possibili alternative, se il nostro convincimento si fonda sulla persuasione che non esistono umani cattivi ma sistemi errati, infine se ciò che ci spinge è l’amore e il senso profondo della libertà perché tanto odio?! Perché? Sicuramente dovremmo imparare tutti a contestualizzare, a chiamare le cose e i fatti con i loro nomi reali in onestà, senza ipocrisie, cercando di trovare questi maledetti fatidici punti di incontro, se esistono.
Non ho le risposte, purtroppo, anzi se qualcuno volesse darmele sarei felice, perchè in tutto questo marasma e circondata da animalisti che inneggiano alla violenza, attivisti pieni di pregiudizi, e antispecisti emarginati ho perso la bussola …
solo lacrime.
Ho l’impressione che queste siano considerazioni senza nessuno sbocco e pure senza senso(mia opinione).
L’importante è il bersaglio e cioè nel nostro caso la dignità,la libertà e possibilmente la felicità di ogni essere vivente.
Il fatto che ognuno abbia le proprie idee su come ottenere questo e le proprie reazioni contro chi offende la dignità animale mi sembra un fatto ovvio.
Non capisco cosa ci sia di strano.
“[…] contadino che ha ucciso il maiale come se fosse lui la causa della schiavitù animale”.
Non è lui la causa, ma anche lui è una delle cause.
L’innocenza del popolo è un mito. Il popolo è gendarme, per dirla con Alexandre Jacob (che per difendere questo fantomatico popolo si fece venticinque anni di lavori forzati nella Guyana Francese).
Il mandante è niente senza l’esecutore materiale. E il contadino è l’esecutore materiale.
Penso abbia ragione Foucault quando sostiene che bisogna interessarsi più agli angeli che a dio. Poiché è vero che il sistema di sfruttamento animale non lo ha plasmato il singolo contadino, ma è anche il singolo contadino con il suo operato che nutre e perpetua il sistema di sfruttamento animale (da cui è stato a sua volta influenzato. Un circolo vizioso, insomma).
Quindi ecco, bisogna considerare tanto l’apparato quanto l’individuo, poiché gli individui sono il prodotto dell’apparato e l’apparato è il prodotto degli individui.
Non la mera somma, ovvio. Il prodotto.
Il contadino può dire di no. Nel momento in cui non lo fa, la causa della schiavitù animale è anche lui stesso.
Il che non significa che sia giusto inneggiare alla sua esecuzione sommaria, naturalmente.
Sono contro la guerra. Dunque produrre armi è sbagliato. Dunque chi lavora in una fabbrica di armi è moralmente responsabile. Dunque deve licenziarsi. Ma ha 5 figli da sfamare. E c’è la crisi. Il sistema è ciò che produce (1) la guerra, (2) la subordinazione del lavoro, (3) la disoccupazione, (4) la crisi. Se si parte dalla “responsabilità morale” dell’invididuo non si spiega nè 1, nè 2, nè 3, nè 4. Dunque non si spiega nulla.
Non ho soldi. Non ho fatto famiglia e figli. Così non ho mai dovuto accettare lavori che andassero contro la mia etica.
Prosegue qui, buona lettura! 🙂
http://politicaesapere.wordpress.com/2011/11/09/dallanima-bella-al-narcinismo/
Evidentemente non hai capito il senso dell’esempio. Ma d’altronde ormai qui sembra che l’unico vero antispecismo sia quello enunciato dal Vangelo secondo Maurizi. Chiunque non ne segue i precetti, o si converte o non è un antispecista o è qualcosa di brutto, tipo un un narcisista che non salverà il mondo, a differenza del maurizista.
Ad ogni modo, già dal principio non ho mai sostenuto che si debba partire dalla responsabilità individuale, bensì che si deve tenere conto anche di quella insieme al sistema.
Ho espresso chiaramente che vanno considerati allo stesso tempo sia l’individuo che il sistema, senza trascurare nessuno dei due elementi, poiché il sistema influenza l’individuo e l’individuo nutre il sistema, in un (im)moto circolare in cui è anche impossibile trovare un “prima”.
A meno che non vogliamo tornare ai motti del liceo secondo cui “è tutta colpa del sistema” e noi ci auto assolviamo in massa e in fondo siamo tutti buoni e beati gli umili.
Penso anch’io che il povero sia tutto sommato meno colpevole del ricco, ma nessuno è mai soltanto colpevole e nessuno è mai soltanto innocente. Per quanto poi i concetti stessi di colpa e innocenza mi sembrino abbastanza ridicoli. Ma tant’è, usiamoli per comodità dialogica.
Non c’è bisogno di scomodare Victor Hugo per capire come di certo la guerra è un problema del sistema, di certo la vuole il potente, ma poi è il singolo soldato che va materialmente a sparare. Influenzato da un apparato che egli stesso però fortifica.
Che poi in fondo nemmeno Bush è così colpevole, se concentriamo tutta l’attenzione sul sistema: anche lui ha subito influenze, anche lui ha ricevuto una determinata educazione.
La figura di Hitler non mi ha mai destato grande curiosità. Ho sempre provato più interesse per il suo barbiere, per l’impiegato che sistemava i plichi nei lager, per il macchinista dei treni dei deportati.
Ogni volta che un poliziotto mi ha minacciato e messo le mani addosso, non è mai stato il sistema a esercitare la violenza su di me, ma il brigadiere Tizio Caio. O meglio, il sistema che si esprime attraverso Tizio Caio e che Tizio Caio concorre a perpetuare.
Non si spiega nulla partendo da Tizio Caio, ma non si spiega nulla nemmeno partendo dal sistema, che non si sa bene cosa sia, dove sia, chi lo faccia, perché ci sia.
Ritengo si capisca qualcosa in più se invece si considerano inscindibilmente sia il sistema sia Tizio Caio.
P.S. Per chiarire il senso dell’esempio grossolanamente frainteso: quello che intendevo dire non era “Guardate io quanto sono figo”, bensì, molto più semplicemente, “Spesso, facendo scelte elementari, il singolo può evitare un sacco di problemi a sé stesso e agli altri”.
Completamente daccordo con Sdrammaturgo: “bisogna considerare tanto l’apparato quanto l’individuo, poiché gli individui sono il prodotto dell’apparato e l’apparato è il prodotto degli individui”. L’idea che considera il contadino, il soldato e l’operaio della fabbrica di armi come delle semplici pedine, come esseri precoscienti totalmente privi di capacità decisionale, secondo me chiude le porte anche alla possibilità di una loro liberazione e alla speranza di un loro diverso agire. In questo modo l’assoluzione diventa discriminazione.
Inoltre sono sicuro che le fabbriche d’armi non occupano solo personale con 5 figli affamati e sono abbastanza certo che in situazioni di relativo benessere e bassa disoccupazione le fabbriche d’armi non abbiano dovuto dismettere gli impianti per assenza di manodopera. Ogni tanto mi sembra che proprio chi afferma l’importanza del sistema lo porti così in alto e così lontano da tutto da fargli perdere ogni peso e ogni consistenza.
Ciao Barbara,
la domanda significativa che ti poni è questa: se ci battiamo per la liberazione animale perchè siamo convinti che lo sfruttamento di altri esseri senzienti sia vergognosamente ingiusto, se crediamo che la vita e la dignità di un vitello, di un maiale, di un cane, siano intoccabili, se ci scagliamo contro un sistema di sfruttamento e dominio dell’altro e soprattutto se proponiamo una possibile o delle possibili alternative, se il nostro convincimento si fonda sulla persuasione che non esistono umani cattivi ma sistemi errati, infine se ciò che ci spinge è l’amore e il senso profondo della libertà perchè tanto odio?!”
Forse perché a volte ci si appropria di certi concetti senza averli compresi e recepiti appieno, quindi si ripetono quasi fossero slogan, ma svuotandoli del loro significato originario.
Una cosa è certa, chi non ha ben chiaro in mente che per liberare gli animali bisognerà anche abbattere proprio la radice del dominio e della sopraffazione alla base della nostra cultura antropocentrica, non ha capito nulla dell’antispecismo.
E l’antispecismo che mira a decostruire l’attuale società non può che essere politico, perché se agiamo sulle strutture sociali o anche solo vorremmo farlo, compiamo inevitabilmente un atto politico.
Partecipare ad una manifestazione, ad un presidio è un atto politico, quindi non ha senso dire che l’animalismo deve essere apolitico, a meno che uno non si accontenti di essere diventato vegano e non reputi necessario attivarsi ulteriormente per liberare gli animali. Ci sono quelli soddisfatti così, ma non sono antispecisti, solo persone che hanno effettuato una scelta di vita personale all’insegna del rispetto dell’altro senza preoccuparsi di ciò che continua ad accadere tutto intorno. Dante li avrebbe messi nel girone degli ignavi. 😀
A proposito, hai visto che il circo si è spostato a Roma, in via di Torre Maura? Non organizzate un altro presidio?
A presto, un abbraccio.
Carissima, sono al 100% d’accordo con te. E’ vero che oramai i tono sono quasi da guerra civile e che le provocazioni e le offese di cacciatori, allevatori, vivisezionisti, razionalisti ecc…. diventano sempre più forti e aggressive e questo perché stiamo aumentando molto di numero e cominciamo a dar molto fastidio, in particolare ai loro interessi economici. Dietro alle lobby farmaceutiche e dell’allevamento industriale, ci sono interessi da capogiro, ben superiori addirittura a quelli petroliferi. Tuttavia, fatta questa premessa, hai ragione: “chi più ha buon senso più dovrebbe usarne”. Non dico di porgere l’altra guancia perché lo trovo stupido, ma secondo me il vero animalista dovrebbe solo cercare di convincere, persuadere e soprattutto essere l’esempio di quel cambiamento, fatto anche di modi e maniere che si contrappongono alla barbarie e alla violenza.
Anch’io soffro enormemente nel vedere animalisti violenti, ignoranti, estremisti e a volte mi vien quasi da pensare che siano degli infiltrati come i black block, messi li ad arte per far scadere tutto il movimento animalista operoso e silente. Ma non molliamo dai.
Secondo me il punto è che non siamo migliori degli altri. Io credo che semplicemente chi oggi è in grado di riconoscere la sofferenza nell’altro animale (sofferenza che come sappiamo bene tutti, una volta che l’hai vista non ti dà più pace, e ti insegue ovunque) incarni come può un progresso che è di tutta l’umanità. Possiamo vederlo come una nuova rivoluzione copernicana, che una volta ancora riduce l’importanza del punto di vista umano; come una conseguenza paradossale del benessere (siamo emancipati dalla fame e dal bisogno e invece di sguazzare nella comodità materiale decidiamo di guardarci meglio attorno); come progresso in qualche modo scientifico, visto che ormai non si scappa, per gerarchie ontologiche non c’è più posto, loro hanno mente e coscienza come noi… possiamo vederlo come ci pare ma tutto questo agitarsi tra destra sinistra e liberazione animale come preludio, conseguenza o analogo della liberazione animale è la conseguenza di un generale cambio di prospettiva. Lo stesso che tormenta Giovanardi, che si attacca con la boria delle persone misere, a pilastri che, mi spiace molto per lui, non sorreggono più nulla. Allora dato che non siamo una minoranza di eletti, ciascuno porta dentro al “movimento” quello che è e quello che ha, con difetti, egoismi, odii reciproci, protagonismi e via discorrendo, molto tipici della nostra specie ingombrante. Ma rispetto a tutte le nostre beghe, se vogliamo davvero comprendere la portata del cambiamento che intendiamo provocare, gli animali devono venire prima, quantomeno perché volente o nolente siamo tutti complici del male che viene fatto loro. Se ci riusciamo a mettere davvero dalla loro parte, dalle parte degli ultimissimi, è evidente che loro, le vittime di cui vogliamo essere la voce, abbiano il sacrosanto diritto di fregarsene di come ci organizziamo all’interno della nostra società: una volta che abbiamo capito in piena consapevolezza cosa gli stiamo facendo dovremmo solo correre ad aprire tutte le gabbie e non smettere mai più di chiedere scusa. Mi spiace Barbara ma per me porre non dico sopra, ma sullo stesso piano, le questioni politiche umane (per altro quasi sempre astratte, non ci relazioniamo con nazisti o assassini veri) alla questione animale è antropocentrico, non c’è alcun gruppo umano che subisca quello che subiscono loro e dunque si parte da ciò che è più grave. Io me lo sono chiesta centomila volte, si trattasse di un popolo oppresso, di disabili, di qualsiasi minoranza torturata a morte da mattina a sera, staremmo a discutere sulle doti morali e finezze intellettuali di chi va a salvarli? Non è un residuo di antropocentrismo quello che dà a queste questioni una rilevanza tale (sebbene ne abbiano, e moltissima!) da intralciare l’attivismo o creare divisioni tali da perdere di vista completamente l’obiettivo? Il tutto com l’aggravante che gli animali non saranno mai soggetti della società come la pensiamo adesso, dunque, a meno di non ammettere l’antropocentrismo, non possiamo ridurli a oggetti, nemmeno ad oggetti del pensiero. Vanno prima lasciati in pace, poi ragioneremo sulle possibili relazioni future con loro – sempre che a loro interessino 😉
Non capisco perchè dire che stanno sullo stesso piano debba essere antropocentrico. Sull’oppressione di tutti gli altri soggetti si sono fatte “dispute intellettuali” prima di riconoscerne l’esistenza. Direi che questi soggetti umani oppressi hanno già pagato il proprio tributo di sangue e non vedo perché debbano continuare a pagarlo perché c’è chi sta peggio. L’oppressione umana non è affatto scomparsa e dunque occorre lottare contro di essa perché se si abbandona questa lotta anche solo per un attimo non si rimane allo stesso livello di progresso civile ma si torna indietro (come in effetti sta accadendo). Lottare con lo stesso impegno e la stessa sorte per gli umani e per i non-umani non è affatto antropocentrico è semplicemente giusto e sacrosanto perché è l’unico modo per porre fine allo sfruttamento come tale.
Sono d’accordo con te. Troppa filologia.
Poco importa come ma quando e dove.
Ops..
E’ con te che sono d’accordo !
Indubbiamente hanno lo stesso valore in senso assoluto. Ma come scrive già Singer in Liberazione animale, questa lotta ha il punto debole della non partecipazione dei soggetti coinvolti. Sarà sempre più facile portare in piazza i lavoratori che i difensori degli animali che agiscono in nome di qualcun altro. Le dispute intellettuali sulle altre liberazioni hanno avuto il contributo fondamentale dei soggetti in causa! Sul piano astratto invece gli animali non possono seguirci, è roba nostra, è roba di chi li opprime. Va perciò tenuto presente che tutta la partita si gioca a livello dalla nostra posizione dominante e dobbiamo averlo chiaro in mente e non mescolare le priorità nostre con le loro.
Se ci fossimo noi dentro al macello sono certa che non lo faremmo, e io voglio essere concretamente dalla loro parte, nel senso di provare sempre a vederla con gli occhi loro. Non per sensibilità personale ma perché penso che sennò quella che potremo ottenere sarà solo una concessione sempre revocabile, non avrà la dignità della parola liberazione.
Non sono d’accordo. Anzitutto l’idea che lo specismo come sistema materiale e simbolico di sfruttamento non abbia a che fare con l’oppressione umana e dunque che si tratti di una lotta di liberazione per un “altro” soggetto. E’ invece la lotta di liberazione che mette in questione questo stesso soggetto e l’opposizione noi/loro. In secondo luogo le dispute intellettuali sono state fatte da sempre sulle teste dei soggetti oppressi (liberi che discettavano della libertà degli schiavi; maschi che discettavano dell’uguaglianza delle donne ecc. ecc.) prima che questi stessi soggetti prendessero la penna per scrivere. E il compito di queste disquisizioni era ribadire l’uguaglianza negata, cosa che facciamo anche noi anche e soprattutto per imparare a riconoscere la voce negata degli animali non umani oppressi di modo che siano loro stessi a parlarci della propria esigenza di libertà e del loro modo di intendere la libertà. E questo necessita, come è stato per le altre lotte storiche, una trasformazione e una decostruzione del linguaggio e delle strutture simboliche che creano quelle gabbie. Infine, io penso che se stessi dentro al macello e volessi la liberazione non mia personale ma di tutti i miei fratelli appoggerei coloro che lottano per la dissoluzione del sistema che è il motivo per cui è fondamentale lavorare a creare quella sintesi teorica e pratica che porta allo smantellamento del sistema stesso attraverso l’intreccio tra esigenze umane e non-umane. Perché è ovvio che io parlo di collegare queste esigenze perché e nella misura in cui sono oggettivamente connesse e posso portare al superamento fattuale della società odierna (e non, come pensano sempre alcuni, per “indorare” la pillola agli specisti di sinistra e costringerli ad accettare la liberazione animale contro voglia :D)
Ho molto rispetto per come la pensi tu e credo anche che da un punto di vista teorico sia l’unica strada possibile, l’unica via per salvare tutti e non dover sperare nel meteorite dell’estinzione 🙂 Solo che come sai non mi convince del tutto, purtroppo, perché presuppone una bontà di fondo degli esseri umani e la convinzione che una volta svelata la non obbligatorietà del dominio, sceglieremo tutti scientemente di percorrere un’inedita strada pacifica. I tempi che stiamo vivendo tuttavia ci mostrano quanto invece siano fragili tutte le conquiste civili e come di fronte alle difficoltà (stavolta sono economiche e prodotte da sistemi umani, ma potrebbero ugualmente essere naturali, chessò carestie, o cambiamenti climatici imponenti) la prima cosa che avviene è che si inaspriscano le discriminazioni dei più deboli – come in Grecia, dov’è aumentato esponenzialmente il razzismo verso i migranti che passano da Patrasso – o le conquiste di libertà si sacrifichino di buon grado in nome della presunta sicurezza, come hanno fatto gli americani nell’ultimo decennio. In più si tratta anche e sopratutto di salvare gli animali adesso e dobbiamo partire dall’osservazione dei fatti. Io credo, e non solo io, che sia avvenuto un salto di qualità immenso dopo la liberazione di Green Hill, tale che i vivisettori si sono messi per la prima volta sulla difensiva, e questo è nato da uno slancio popolare, empatico e del tutto irrazionale, molto poco consapevolmente antispecista. Poi sono intervenute le divisioni, “Specisti! Fossero stati ratti non avreste scavalcato la recinzione” (forse è vero, ma il mondo della vivisezione si è trovato a difendersi in tutta la sua ragion d’essere) “via i fasci”, “tu non sei vegano ma canaro, quindi non puoi manifestare” ecc. ecc. e così tutto rischia di spegnersi, anzi temo lo stia facendo, all’interno di una contrapposizione solo ed esclusivamente umana. Anche chi scrive e fa teoria insomma deve scendere a patti con la realtà presente, per favorire un cambiamento che in ogni caso non seguirà pedissequamente il tracciato che immaginiamo.
sono d’accordo su GH ma non pensi che le divisioni siano dovute proprio al fatto che non c’è chiarezza su cosa significhi sfruttamento, cosa lo genera e lo riproduce? Il movimento si sfalda perché non c’è serietà, perché c’è quell’animosità e quella rabbia che è certo comprensibile ma non giustificabile se si ha di mira un cambiamento reale delle cose esistenti. E così ognuno “si impegna” (cioè si sbatte, anche lodevolmente) ma non si mette in discussione, non cerca il dialogo e l’allargamento delle prospettive di lotta, bensì ripete meccanicamente quello che già pensa e che già fa anche se è totalmente inconciliabile con la liberazione per cui in teoria lotta: l’umanità è cattiva e deve estinguersi, organizziamo azioni solo con i vegan certificati, ecc. ecc.
ps. io non penso affatto che l’uomo sia “buono”. Per me l‘uomo (che è un’astrazione) non è nè buono, nè cattivo. Io giudico solo le società, non gli individui e, anche le prime, solo per il ruolo che hanno/possono avere nella storia del dominio, mai in generale.
questo è indubbio, sono perfettamente d’accordo con te che il movimento sia vittima di cortocircuiti da cui non sa uscire e che questi danneggiano il risultato e l’immagine dall’esterno. Solo che non sopporto la presunzione di base che c’è nell’affermare come ovvie contestualizzazioni ampie (pur come ti di dicevo legittime e lungimiranti) della liberazione animale per chiunque senta l’urgenza di questa lotta “soltanto per loro” come dice Leonardo. Che se un ragazzo qualsiasi che sia di destra o di sinistra – e ripeto, tutto è molto teorico, il grave è che spesso ci si fa attaccare etichette solo per bisogno di appartenenza, non per quello che che le etichette significano davvero. Da parte dei ragazzetti “fascisti”, messi a confronto ad esempio con coetanei rom, sono frequenti frasi del tipo “tu sei simpatico ma io i rom non li sopporto” (ci ho fatto un lavoro proprio adesso) – e insomma se chicchessia sente di dover partecipare a un corteo, sente che è giusto attraversarsi l’italia in pullman per manifestare contro un laboratorio di scimmie – che dal vivo non ha mai visto e se le ha viste erano allo zoo, o ha sentito centomila volte usarne il nome come epiteto dispregiativo – va comunque apprezzato, incoraggiato, si deve cercare un dialogo e a maggior ragione se si tratta di persone poco consapevoli apprezzare l’ampiezza di quello che sta accadendo che li ha portati nonostante tutto a “sentire” il dolore animale. A meno che non si tratti di un modo di mettersi in mostra, chiaro, come può essere per la Brambilla (ma oggettivamente, quanto si va lontano in politica “facendo i fighi” con gli animali? Dai).
C’è molta sincerità invece secondo me, un po’ da tutte le parti, e certe contraddizioni potrebbero invece risolversi da sole perché è ovvio che non puoi avere a cuore la sorte degli animali e non quella di tutti gli oppressi. Che il movimento che nasce sulla piazza abbia al suo interno contraddizioni, sbavature, eccessi è inevitabile, ma sono anche quel pathos e quella sensibilità che portano a soffrire come si fosse vittima in prima persona (con tutte le esasperazioni del caso) gli unici presupposti che rendono questa lotta possibile. Sul resto pure siamo d’accordo, che non è nemmeno interessante definire l’uomo buono o cattivo, ma in ogni caso devono essere riconosciuti i meccanismi che scattano identici nelle pressoché totalità delle società umane a prescindere dalle elaborazioni teoriche: l’unico modo per neutralizzarli è creare consapevolezza della necessità di dare priorità alla tutela dei più deboli, aspettarsi e non stupirsi che proprio loro diventino vittime ancora di più nel momento di crisi (gli animali restano vittime anche della “crisi” del movimento che non fa pace con se stesso, perché loro non avendo voce slittano sullo sfondo), in questo senso i diritti di coloro che non hanno strumenti per farsi sentire dal sistema dominante “contano” di più, un po’ come i diritti dei bambini contano più di quelli degli adulti del resto.
Secondo me, il problema è dell’essere umano: intraspecifico. Qualsiasi sia il motivo che genera un movimento, sempre si osservano gruppi di individui violenti. E’ storia, da sempre l’uomo utilizza queste modalità per difendere le proprie idee, il proprio territorio, i propri diritti ecc ecc. La violenza è qualcosa che ci appartiene, è istinto innato e primitivo. E’ sempre più facile tirarti in testa una pietra perchè tu l’hai lanciata a me, che non fermarsi e mostrare una resistenza passiva e quindi pacifista (vale anche per le ‘guerre verbali’). La cultura della pace è qualcosa che l’uomo deve imparare, è la strada difficile da prendere (anche se forse a qualcuno potrebbe sembrare il contrario), è l’andare contro l’istinto. A mio avviso, bisogna parlare di antispecismo, di uguaglianza, di liberazione degli oppressi e via dicendo ma, se non prima, almeno contemporaneamente bisogna parlare di pace. La cultura della pace è qualcosa che all’uomo manca, e penso sia per questo che durante una manifestazione – che rappresenta un microcosmo di una realtà più ampia – la violenza e l’odio sono i fattori che emergono. A mio avviso, per sradicare la cultura del dominio bisogna andare appunto alla radice: la pace come base della propria cultura: perciò non è questione di abbattere (solo) l’antropocentrismo ma (anche) di demolire istinti primitivi, che vengono prima dell’antropocentrismo.
ImHo.
“Il contadino può dire di no. Nel momento in cui non lo fa, la causa della schiavitù animale è anche lui stesso.”
Ah ah, sdrammaturgo, ognuno di noi in questa società ha, quanto agli animali, scheletri nell’armadio 😉
Il solo uso del computer che sto facendo, mi fa scoprire, ehm, devo calcolare, che il mio non riesce a contenerli tutti.
Non ho detto che io sono innocente. Ho detto che nemmeno il contadino lo è.
Precisando che “politica” non è “partitica”, e dire che non si fa politica ad un corteo è un ossimoro ( cito: ” Al di là delle definizioni, la politica in senso generale, riguardante “tutti” i soggetti facenti parte di una società , e non esclusivamente chi fa politica attiva, ovvero opera nelle strutture deputate a determinarla, la politica è l’occuparsi in qualche modo di come viene gestito lo stato o sue substrutture territoriali. In tal senso “fa politica” anche chi, subendone effetti negativi ad opera di coloro che ne sono istituzionalmente investiti, scende in piazza per protestare” ), vorrei condividere con voi il filo di una riflessione che, particolarmente negli ultimi giorni, non mi abbandona.
Io non so cosa sono, o meglio, so cosa sento dentro, ma non voglio appiccicarmi nessuna etichetta, non per qualunquismo, ma perchè, al di là delle posizioni che mi sforzo di prendere il più coerentemente possibile, ogni definizione (vegana, antispecista, buonista, borghese, pacifista, animalista), sortono come unico risultato quello di scatenare discussioni, accuse, diatribe, fra noi umani che niente apportano al cammino verso la liberazione delle anime innocenti dello scantinato del grattacielo, che al momento, per me, e non mi vergogno a dirlo, è l’emergenza assoluta, l’abominio più grande, il crimine efferato più ignorato, deriso, legittimato, da quasi tutti gli umani di qualunque condizione, credo, razza, sesso, condizione sociale.
Certo è che davanti a qualunque tipo di discriminazione, di sopraffazione, di prepotenza e di violenza, mi sento ribollire: quindi, figuratevi se posso condividere l’ideologia fascista o, addirittura, nazista.
A questo punto, però… c’è un però, e io mi chiedo:
se un antispecista si trova a un corteo per l’integrazione delgli immigrati, contro gli odiosi episodi di razzismo a cui assistiamo di continuo, sicuramente si trova a marciare accanto a una quasi totalità di onnivori (che ti deridono se gli parli di liberazione animale), a un buon numero di musulmani che praticano l’infibulazione alle loro bambine, a una buona quantità di maschi che schiavizzano le loro donne e violentano bambine di dodici anni con la legittimazione del matrimonio combinato.
Se un antispecista sposa la lotta contro l’insostenibile omofobia, qui i compagni di lotta vedranno esemplari di onnivori, di razzisti, di diversi credo “partitici” e religiosi.
Lo stesso per la denuncia della situazione carceraria ( onnivori, razzisti, fascisti…)
E questo ogni volta che si affronti uno delle tante ” inaccettabili perversioni sociali” che l’antispecismo combatte.
Ma a nessuno, nelle tante lotte che vengono affrontate singolarmente, viene in mente di dire:” Questa è una lotta antispecista, non si può pensare a liberare i gay, i carcerati, le donne, gli immigrati, mangiando carne, schiavizzando le donne, odiando i gay, e così via…”; si lotta su più fronti possibile, e intanto si cerca di diffondere e portare avanti il discorso antispecista.
Allora perchè, perchè, perchè, l’unica occasione in cui non siamo disposti ad accettare l’incoerenza che vediamo intrinseca nell’etereogenità dei partecipanti, è alle manifestazioni per la liberazione animale? Perchè ci è intollerabile marciare accanto al fascista che picchierebbe un gay, ma non accanto al cacciatore operaio o al musulmano sgozzatore nei rituali?
Dov’è il nostro intransigente antispecismo in quelle occasioni?
E se crediamo nelle potenzialità del percorso individuale, non se ne presumono, forse, di più in un individuo che, pur figlio di questa società, decide, qualunque sia il suo credo, di scendere in piazza per chi da solo non potrebbe mai farlo?
Non è più facile per chiunque rivendicare i propri diritti, piuttosto che quelli di qualcun altro?
Non sarà che, alla fine, nonostante tante belle parole, restiamo umani (e non nel senso positivo di Arrigoni), antropocentrici, sensibili più alla discriminazione fra umani che alla tragedia più grande di tutti i tempi, quella dei non umani?
In merito alle responsabilità del singolo, io sono d’accordo con Claudio. Farei però dei distinguo: come ho già detto altre volte il singolo non va aggredito, chiamato assassino, o colpevolizzato come se egli fosse appunto un delinquente, ma fare uno sforzo per fargli comprendere le sue responsabilità nella partecipazione di un sistema che sfrutta gli animali e che perpetua violenza credo sia necessario; fargli capire che le sue azioni comportano degli effetti credo sia necessario (senza fare proselitismo nel senso di indurlo a diventare vegano, intendo, ma solo renderlo consapevole).
Mi rimane difficile da credere che la signora che acquista la pelliccia non si renda minimamente conto che quel capo è stato realizzato uccidendo e provocando sofferenza, così come non credo che un vivisettore istruito non sappia cosa sta facendo.
Il singolo ha delle responsabilità dalle quali non può venire del tutto affrancato perché è anche egli stesso che perpetua il sistema. Le strutture del sistema sono composte dalle singole parti.
Poi, sempre parlando di sistema, ci saranno comunque strutture più responsabili del singolo, ma anche queste alla fine fanno capo a qualcuno, mica sono enti astratti. Le multinazionali legate allo sfruttamento degli animali hanno comunque dei responsabili che le dirigono (appunto, sono, lo dice il nome stesso, “responsabili”).
Volevo chiederti, Marco, secondo te non ci sono quindi dei responsabili del sistema? Io credo che per ogni sistema sociale che si è prodotto nella storia, ci siano stati. Penso, che so, al feudalesimo. A capo della piramide c’erano i regnanti. Ai regnanti qualche responsabilità gliela vogliamo attribuire oppure no?
Capisco che tu non consideri l’uomo come singolo, ma parli di sistemi societari che osservi con occhio, come dire, obiettivo cercando di comprenderne le relazioni e le costanti, credo però, come afferma Claudio, che a volte sia interessante anche soffermarsi sul microsistema, tipo appunto del singolo macchinista che è comunque parte dell’ingranaggio e che manda avanti l’ingranaggio perché senza la sua collaborazione la macchina si fermerebbe; in questo senso un’analisi proprio anche di tipo psicologico e non solo sociologico del singolo soldato che poi materialmente spara (per restare nell’analogia di Claudio) credo sia interessante. O no?
Condivido, mi piace.. vorrei aggiungere, un’opignone sulla donna che acquista la pelliccia..e’ certo che almeno minimanente si rende conto di com’e’ stato realizzato quel capo; Ma credo che ci sia una pellicola e non un muro e se la donna si sensiblizzasse cominciando come dici tu..rendendola consapevole, un piccolo sguardo dalla finestra, credo che cambierebbe. Ti dico questo perche’ l’ho provato sulla mia pelle. Anche se io fossi ancora il peggior di voi tutti.. io con questa mentalita’ non ci sono nato e non mi ci hanno educato. Ho notato un link, una finestra, l’ho aperta con la mia cultura di zero.. vedo sofferenza .. ma mai.. dico mai faro’ il cieco che non vuol vedere.
per caso mi chiamo marco e so che non e’ indirizzato a me, mi piace il tuo commento.. “molti”
non ho risposte alle tante domande,e non ho domande ne tanto meno certezze,però ho una morale che mi impone di non essere razzista con il razzista,di non essere violento con il vilento di non odiare chi odia è così via…..
Faccio una domanda, chi e se vuole mi risponda:
Ma voi anime pure avendo la possibilità di avere d’avanti il responsabile della morte violenta di un essere che amavate come vi comportereste ?
Due chiacchiere sull’antispecismo oppure le mani al collo ?
la morte violenta di un essere che amavate…… quando davanti si ha questa morte violenta che però è istituzionalizzata, acquisita, incamerata da ogni singolo individuo su questo pianeta che fai uccidi tutti? assali chiunque ti si para davanti?
“voi anime pure”
abbiamo appena finito di dire che abbiamo un sacco di scheletri nell’armadio… 😉