La liberazione animale “qui e ora” dell’antispecismo debole

Recensione apparsa sul settimanale Gli Altri il 23/5/2013

di Leonora Pigliucci1gorilla

«Verrà il giorno in cui il resto degli esseri animali potrà acquisire quei diritti che non sono mai stati negati loro se non dalla mano della tirannia», diceva Jeremy Bentham nell’anno della rivoluzione francese; ed oggi, che lo sfruttamento animale è sistematico e strutturale, contro quella tirannia si combatte strenuamente un po’ da dappertutto. Persino in Cina si è costituito un movimento di liberatori di animali che salvano i cani destinati al macello e non c’è Paese del mondo ricco che possa dirsi immune da fenomeni più o meno diffusi di sabotaggio, opposizione e contestazione delle pratiche di oppressione dei non umani.

Sebbene tra coloro che se ne occupano sia ormai ben radicata la convinzione che la liberazione degli animali sia la lotta contro l’ultima delle discriminazioni, espressione massima di quel progresso civile che passa per la condanna del razzismo e del sessismo, la sua prospettiva reale ha però una sua inaggirabile specificità, ed è lungi dal poter essere considerata a prescindere dalle implicazioni che essa dovrà avere sulla vita degli umani che, individualmente e socialmente, da millenni praticano forme di potere sul vivente.

Lo stesso Peter Singer, il filosofo di riferimento del primo antispecismo, indicava, nel poter essere agita solo da soggetti diversi da quelli da liberare, una congenita ed insuperabile debolezza della rivendicazione animalista. E del resto, se i liberatori dovranno essere necessariamente umani, il prescindere dalla riflessione sulla loro libertà, sui loro condizionamenti, e su ciò che influenza la loro stessa rappresentazione mentale del mondo nella società contemporanea, rischia di rivelarsi fatalmente miope.

Nel contesto della filosofia antispecista il dibattito su questo punto è perciò centrale e fondante. L’ultimo libro di Leonardo Caffo Il maiale non fa la rivoluzione – Manifesto per un antispecismo debole (ed. Sonda, 2013) offre una puntuale esposizione della nuova proposta teorica dell’autore che prende le mosse, per porsi poi in radicale contrasto con essa, dalle teorie dell’antispecismo politico. Queste, nell’indicare una genesi comune del dominio di umani e non umani con la nascita delle società neolitiche – ovvero di un’ economia basata su allevamento e agricoltura, che tramite la divisione del lavoro rese possibile la schiavitù umana – rivendica una centralità da attribuire indistintamente a tutte le vittime di oppressione, umane e non umane, e indica di conseguenza la necessità di un percorso comune per le lotte, e di un intrecciarsi di istanze solo esteriormente diverse, che apra l’orizzonte di nuovi rapporti fondati sull’empatia e sul rispetto reciproco tra tutti gli esseri viventi.

Caffo propone a partire da qui un esperimento mentale: poniamo che un domani gli umani trovino un modo per “liberarsi” tutti dal giogo capitalista, dalle impersonali leggi del mercato e della finanza, per inventare nuove pratiche che permettano loro di vivere in pace ed abbondanza, continuando però a sfruttare gli animali e fondando, anzi, di necessità, il proprio benessere su tale sfruttamento. Questa possibilità, lecita nel regno delle ipotesi al pari di quella che postula la reciprocità di liberazione umana ed animale – come scrive Marco Maurizi «la liberazione umana senza liberazione animale è vuota. La liberazione animale senza la liberazione umana è cieca» –  rivelerebbe la fallacia del credere che la soluzione a problemi che hanno la stessa origine (e Caffo riconosce questa evidenza, suffragata da analisi antropologiche e sociologiche, oltre che filosofiche) sia di necessità la stessa.

Criptospecismo, una discriminazione camuffata, sarebbe allora l’antispecismo politico, che, nell’urgenza della liberazione degli animali, anziché inorridire di fronte alla tragedia prodotta dai Sapiens Sapiens sino ad oggi, continua a pensare all’uomo, ad un tornaconto, sia pur nobile, da ricavare dalla lotta in favore dell’altro da sé. E criptospecismo sarebbe anche quello dei filosofi morali Singer e Regan, che affermano il valore animale ma solo in virtù della prossimità dei loro interessi e delle loro caratteristiche intrinseche a quelle dell’uomo.

Per Caffo un autentico antispecismo è invece quello che nell’ottica della prassi attribuisce assoluta priorità alla tragedia animale, pur facendolo in modo funzionale, e cioè non svalutando l’altrettanto urgente questione delle schiavitù umane, reali anche laddove formalmente ci sono diritti, ma concentrandosi sulla più grave (perché più estesa numericamente e riferita a soggetti esterni ai fatti culturali umani) delle dominazioni. Un antispecismo debole in quanto sospende il giudizio sul merito di teorie più ampie per limitarsi «a un compito più umile: agire nell’immediato per la liberazione animale con qualsiasi strumento sia concesso».

Dunque una spietata, quanto doverosa ed urgente messa in luce della tragedia presente, nella quale soccombono milioni di animali uccisi per cibo, divertimento, ricerca scientifica; un’ecatombe quotidiana che non si arresta nonostante la realtà della capacità di soffrire di tutti gli animali sia stata dimostrata in modo inconfutabile persino da crudeli esperimenti di vivisezione, e debba perciò essere tenuta in massima considerazione, al pari di quella degli umani.

Ma come combattere? Caffo si ispira al filosofo Thoreau nell’ indicare la strada della disobbedienza civile quale forma individuale di lotta contro i privilegi che la specie umana si è attribuita sulla base della forza, ribellione totale di fronte ad un’ingiustizia che ci disonora come esseri dotati di moralità: perciò trasgredire le leggi, aprire le gabbie, sacrificare se necessario anche la propria libertà, sensibilizzare l’opinione pubblica ma intanto cercare di inceppare il sistema dell’oppressione da cui scaturiscono tutti i benefici umani: «accettare che la nostra è una lotta non per l’uomo o anche per l’uomo – ma solo e soltanto per gli animali non umani – e che il volto di un maiale lacrimante prima della gogna, vale – da solo – più di tutti i sogni dell’umanità che conquista (distruggendoli) mari, monti e pianeti».

Comments
5 Responses to “La liberazione animale “qui e ora” dell’antispecismo debole”
  1. l’articolo è molto bello Leonora! 🙂

    però noto ancora che si continua a distorcere il senso dell’antispecismo politico, in particolare riferito a Maurizi quando scrivi:
    Criptospecismo, una discriminazione camuffata, sarebbe allora l’antispecismo politico, che, nell’urgenza della liberazione degli animali, anziché inorridire di fronte alla tragedia prodotta dai Sapiens Sapiens sino ad oggi, continua a pensare all’uomo, ad un tornaconto, sia pur nobile, da ricavare dalla lotta in favore dell’altro da sé.

    questo non è l’antispecismo politico, ma nemmeno lontanamente. Quello che dice l’antispecismo politico in merito alla liberazione totale è che tecnicamente, materialmente, praticamente non è raggiungibile la vera liberazione animale senza scardinare il sistema di oppressione umana che la genera. Il senso dell’antispecismo politico non è liberiamo gli umani perché in fondo facciamo parte di questa specie e siccome ambiamo a liberare tutti dal dominio ci mettiamo anche gli animali. La riflessione dell’antispecismo politico parte dagli animali e dall’urgenza di liberarli e si arrovella su come farlo in modo definitivo. Non parte affatto dall’uomo e nemmeno ci arriva e sposta l’attenzione su di lui. La liberazione umana (cioè quella di una società priva di dominio) è la condizione attraverso e grazie alla quale potremmo riuscire a liberare gli animali. Però se proprio questo concetto non entra o non vuole entrare perché si deve pensare solo agli animali facciamolo. io vi seguo.
    Quello che scrivi, nelle modalità in cui vorrebbe essere realizzato porteranno, a mio umilissimo avviso, solo a pratiche di welfarismo,per cui la società civile (di dominio e dominata) rispetterà con la repressione delle leggi alcuni animali e a lungo termine forse un cambiamento anche della sensibilità verso gli animali cui quelle leggi fanno riferimento. Perché? perché non avremo lavorato allo smantellamento dei meccanismi complessi che strutturano le società moderne e che costituiscono le relazioni umane. Perché non intaccano il sistema economico visceralmente intrecciato a quello politico, perché le strutture culturali non saranno scosse, perché i rapporti valoriali della società rimarranno inalterati.

    tu scrivi inoltre:
    Dunque una spietata, quanto doverosa ed urgente messa in luce della tragedia presente, nella quale soccombono milioni di animali uccisi per cibo, divertimento, ricerca scientifica; un’ecatombe quotidiana che non si arresta nonostante la realtà della capacità di soffrire di tutti gli animali sia stata dimostrata in modo inconfutabile persino da crudeli esperimenti di vivisezione, e debba perciò essere tenuta in massima considerazione, al pari di quella degli umani.

    per me questa ad esempio, è una prassi dell’antispecismo politico, la rivendicazione pubblica e collettiva della tragedia animale. Una delle strategie comunicative e culturali sulle quali impegnarsi, ma non vedo affatto una distanza dall’antispecismo politico, a meno che non le si voglia come obiettivi stessi dell’antispecismo (debole).

  2. stopthatrain ha detto:

    cara Barbara, grazie 🙂
    Queste questioni stavolta però andrebbero poste direttamente a Leonardo, perché io qua ho usato le parole del suo libro, cercando di fare un sintesi chiara e fedele della sua proposta (anche perché ho scritto l’articolo pensando a lettori non antispecisti de Gli Altri).
    La tua prima obiezione comunque è quella che Marco fa nel “dialogo tra un antispecista debole e uno politico”, e che Leonardo ha inserito nel testo come quarto capitolo: che l’agire sociale sia guidato dalla discussione razionale (e quindi anche dal riconoscimento dell’inaccettabilità
    dell’oppressione animale) è per Marco un “fine” perseguibile solo smantellando il dominio che impronta tutta la società di oggi. Si discosta perciò da quanto attribuisce a Leonardo, e cioè dalla convinzione che il riconoscimento della sofferenza animale da solo debba, ma sopratutto possa, bastare a liberarli materialmente.
    Io in realtà concordo in pieno con questa osservazione e infatti pur ritenendo, con Leonardo, che agli animali debba essere data piena e chiara priorità, per decentrare finalmente dalle discussioni intorno al nostro ombelico e per minare quell’onnipresente rappresentazione dell’umano come sinonimo di bello, bravo e buono; d’altra parte sono a favore, per esempio, degli argomenti indiretti, perché finché il dominio (io dico prettamente umano) è presente, la semplice esposizione delle ragioni per cui gli animali andrebbero liberati non penso potrà mai essere sufficiente e salvarli davvero. Non era comunque questa la sede del confronto tra le due posizioni, e per questo mi sono limitata a fare cenno all’antispecismo politico solo per dire da cosa parte la teoria di Leonardo e cosa propone di diverso rispetto a quella.

  3. Maria Antonietta ha detto:

    Alcuni giorni or sono, in una pagina di questo sito che non ho rintracciato, mi rivolsi agli animalisti col seguente incoraggiamento:
    “Proseguite con coraggio. Riparliamo di tutto fra cinque anni? Forse avrete raccolto risultati scoraggianti, ma non la sconfitta”.
    Ieri esaminavo alcune azioni con uno dei responsabili di un gruppo antispecista sardo.
    Mi ha detto: ”
    “Ma lo sai che, anche nella Penisola, un discreto numero di eventi ha dato risultati eccellenti ma soprattutto inaspettati”.
    ;-)))) ….inaspettati.
    Un accertamento in Rete dimostrerà che circa 5 anni or sono mi rivolsi agli animalisti con l’incoraggiamento esposto all’inizio di questo scritto. Non parole vaghe, ma un ciclo di tempo preciso: cinque anni.
    L’amico antispecista ha dato punti a tale incoraggiamento?
    Se così fosse, lo ribadisco:
    “Animalisti, proseguite…. Sempre…. Suvvia, abbiate fiducia nella sconosciuta che vi sta porgendo tali parole”.
    Maria Antonietta
    Sardegna

  4. Maria Antonietta ha detto:

    Mi rivolgo al Vicariato di Cagliari.
    Telefonai ad un vostro monsignore.
    Desideravo incontrarlo per esaminare il mio proposito di diventare suora LAICA.
    Stop.
    Per ora, non se ne fa niente.
    Le ragioni?
    Ho adeguato il mio guardaroba ispirandomi a Gesù Cristo. E’ il figlio di Dio? Okay, mi sono ispirata alla stalla, alla mangiatoia, a quella semplicità ed assenza di lusso.
    Per diventare suora LAICA dovrei recarmi in Vaticano?
    Toh, vengo a conoscenza di mantelle di ERMELLINO destinate al Papa e ad altri insigni uomini di chiesa.
    Mi dispiace, ho abiti inadeguati, li ho descritti prima.
    Chiesa cattolica, mi rivolgo a te serenamente:
    Mi rendo conto che hai il mappamondo nelle mani. Puoi essere del tutto antispecista?
    Forse no. ;-))))).
    Hai mai visitato il sito animalista LA VERA BESTIA:?
    Io no.
    Non sono coraggiosa?
    Sono coraggiosa.
    Per esempio:
    chiamami, se hai bisogno di un’esorcista.
    Chiedimi di affrontare ciò che chiami demonio, ma non chiedermi di guardare L’ORRORE descritto nel sito dianzi descritto.
    Maria Antonietta
    Sardegna