La vita non è un gioco a somma zero
di Rita Ciatti
“La vita non è un gioco a somma zero, diceva Paul Watzlawick: nessuna vittoria può essere perseguita a scapito di qualcun altro, perché si progredisce solo sommando il bene dell’uno a quello dell’altro; quello da perseguire è un ideale di armonia che non può prescindere dal benessere biologico, psicologico, sociale di tutti gli animali, umani e non umani, che costituiscono il nostro comune habitat.
Qualunque messaggio che necessita, per essere veicolato, dell’arbitrio esercitato dai tanti su esseri deboli e ridotti all’impotenza, con la sua stessa natura, non può invece che suffragare un ideale di sopraffazione, violenza, prevaricazione” (Annamaria Manzoni – In direzione contraria).
Non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro per motivare il nostro fermo e non negoziabile rifiuto della sperimentazione animale, ma, viste le reazioni isteriche e scomposte scaturite dai professionisti del settore (medici ricercatori, studenti delle facoltà in cui si fa suddetta pratica), così come di giornalisti e intellettuali vari, sempre sostenitori della stessa, che si sono presi la briga di scrivere articoli e controarticoli addirittura definendo gli animalisti/antispecisti con le più fantasiose circonlocuzioni e attribuendogli le più disparate provenienze e visioni politiche (leggersi almeno la definizione di antispecismo su wikipedia troppa fatica, evidentemente), persino evocando la necessità di repressioni che contemplino l’uso della forza, se necessario, premesso tutto ciò insomma mi sento desiderosa di dire ancora qualcosa sull’argomento.
In particolare mi ha colpito il commento di una mia lettrice, a me rivolto nel corso di una discussione, che riporto qui solo parzialmente nella parte che mi interessa elaborare e discutere (il commento è pubblico e chi fosse interessato a leggerlo nella sua interezza potrà trovarlo qui, tra gli altri in calce all’articolo): “tu credi nell’uguaglianza di tutte le specie (immagino ti limiti agli animali), io no, e non perché ritengo l’uomo “superiore”, sia ben chiaro, ma perchè è la NOSTRA specie. La vedo in termini evoluzionistici: la sperimentazione animale rientra nelle strategie di CONSERVAZIONE della specie, come per il gatto fare le fusa e quindi ricevere da mangiare dagli esseri umani.”
Perché mi ha colpito questo commento? Perché credo che sia paradigmatico dell’intera questione e riassuma la visione che sorregge le ferme convinzioni di chi sostiene la sperimentazione sugli animali.
C’è una specie, la nostra, che, al pari di tutte le altre, lotta per la propria sopravvivenza sotto la spinta della selezione naturale e quindi predilige i membri della propria rispetto a quelli di tutte le altre.
Esiste indubbiamente – inutile tentare di confutarlo – uno specismo che potremmo definire naturale e che porta ogni specie alla protezione e difesa dei propri membri, così come a preferire e sviluppare la compagnia e le varie forme di socialità all’interno della stessa. Ma non è questo lo specismo che noi siamo interessati a combattere, quello che contestiamo noi è lo specismo che si è andato a costituire come ideologia e prassi nel corso della storia e che legittima lo sfruttamento degli animali non umani attraverso una negazione, denigrazione, falsificazione progressiva dei loro attribuiti e qualità. Se degrado qualcuno mi sarà più facile sfruttarlo e legittimarne l’uccisione. Indubbiamente il processo che ha consentito la prima domesticazione e le prime forme di sfruttamento del non umano non è avvenuto dal giorno e la notte e ha richiesto, insieme alle giustificazioni simboliche per poterlo fare, un innegabile uso di violenza e coercizione. Per le genesi dello specismo non posso che continuare a ripetermi e a rimandare alla lettura del saggio di Marco Maurizi – Al di là della natura – gli uomini, il capitale, la libertà – in cui, peraltro, lo sfruttamento del non umano si accompagna ed è inestricabilmente legato e connesso a quelli di altri umani, il cui dominio e sopraffazione ha portato alla schiavitù degli stessi e quindi alle divisione in classi sociali e alle mai assenti sperequazioni sociali di tutte le forme di società e governo che si sono via via succeduti nel corso della storia.
Esistono, nella specie umana, anche delle reazioni istintive di difesa, in aggiunta a vari meccanismi di natura psicologica, poi elaborati culturalmente, che ci portano sempre a preferire il simile e a temere il diverso, l’altro da noi, persino intraspecificamente. E sempre, nella storia, abbiamo di volta in volta scacciato, combattuto, sfruttato, sottomesso, dominato il diverso appartenente ad altre etnie o proveniente da paesi lontani estraniandolo dal circolo della protezione, empatia, solidarietà e rigettandolo – assimilandone la natura a quella degli animali non umani – oltre il confine ontologico che abbiamo stabilito essere quello di nostra appartenenza. Così gli Africani deportati e schiavizzati erano bestie, i popoli slavi erano definiti cimici da Mussolini, i Tutsi chiamati scarafaggi, Gheddafi si riferiva ai propri nemici chiamandoli topi di fogna. Di esempi così potrei farne a migliaia, ma del resto credo che a tutti noi sarà capitato di chiamare qualcuno con appellativi di nomi comuni di animali con l’intento di denigrarlo. Il punto è che l’intera definizione di umano si è andata a costituire nei secoli in opposizione a quella animale e quanto più si è evoluto elevare l’una, tanto più si è sentito il bisogno di degradare l’altra. Tutto ciò invero molto arbitrariamente, ma anche a causa di una profonda ignoranza relativa alle altre specie animali. In fondo non appartiene poi alla preistoria, ma a un secolo foriero di molte scoperte, il seicento, la convinzione che gli animali fossero degli automi meccanici il cui guaito di dolore in risposta alle percosse (o ad altri più brutali esperimenti) dovessero essero considerati alla stregua di un cigolio.
Oggi fortunatamente sappiamo che non è così, gli studi etologici e biologici (molti, ahimé, condotti in laboratorio) ci confermano che moltissime specie animali sono in grado di provare emozioni complesse e di avere cognizioni elaborate in merito alla realtà che li circonda, oltre ovviamente alla ormai indiscutibile capacità di provare dolore e piacere fisico. Nel luglio 2012 si è tenuta una conferenza a Cambridge di neuroscienziati (molti di loro purtroppo implicati nella sperimentazione animale ed è paradossale che per provare che gli animali soffrano e sentano li si debba previamente torturare) in cui si ribadisce e conferma proprio l’assoluta complessità emotiva e cognitiva di moltissime specie.
Quello che sto dicendo di dire è che tutti gli esseri senzienti, quale sia la specie cui appartengono, hanno sviluppato nel corso dell’evoluzione caratteristiche simili e sono in grado, per questo si dicono senzienti, di provare emozioni, di esperire la realtà, di avere desideri, di mettere in atto varie forme di progettualità relativamente alla loro esistenza, di stabilire forme complesse di socialità – non solo intraspecie – di avere persino autocoscienza. Tutte, inconfutabilmente, anelano alla libertà e alla possibilità di vivere nel proprio habitat; inoltre ogni specie segue e sta seguendo una propria evoluzione che assolutamente non guarda in direzione di quella umana, sicché oggi è universalmente confutata la teoria secondo la quale noi saremmo al vertice della stessa.
In particolare si è capito che il pianeta costituisce un unico grande ecosistema che necessita di essere rispettato e protetto e oggi, in quest’ultimo secolo, più che mai in quanto lo sfruttamento selvaggio delle risorse avvenuto per opera della nostra specie nei secoli scorsi lo sta mettendo seriamente in pericolo.
Proteggere i membri della propria specie ai fini della sopravvivenza non dovrebbe voler significare infatti procedere in direzione di uno sfruttamento sistematico e di una istituzionalizzazione e normalizzazione della violenza come abbiamo stabilito noi, in quanto questa evoluzione culturale tipicamente umana non sta producendo utili e progresso, ma sempre più danni e alienazione. Vi sembra che esista un vero progresso per tutto il mondo? O non è forse vero che solo una piccola parte dei paesi occidentali può beneficiarne?
Indubbiamente l’evoluzione della nostra specie ci ha consentito e consente di fare delle cose che altre specie non fanno – ma il discorso è vero anche a parti inverse, moltissimi altri animali fanno cose che noi non riusciamo a fare, volare, ad esempio, nuotare controcorrente, correre velocemente ecc. – compreso appunto distruggere il pianeta finendo per mettere a repentaglio, quindi, non solo la nostra stessa sopravvivenza, ma quella di tutte le altre specie.
Vi sembra che lo sfruttamento sistematico delle risorse stia davvero andando in direzione di evoluzione e sopravvivenza della nostra specie? Se dunque riteniamo legittimo fermarci un attimo a riflettere su questo perché non farlo anche relativamente alla sperimentazione animale? Se dunque riteniamo legittimo porci dei limiti, dei confini oltre i quali, ma proprio per nostro stesso vantaggio anche, non è lecito andare, perché non fermarci anche a meditare sulla liceità o meno dell’ab-uso di altri esseri senzienti sottoposti a una violenza e sofferenza di portata inimmaginabile?
Ma è davvero questa la maniera in cui desideriamo evolverci? Coltivando la parte di noi che predilige il dominio, l’oppressione, lo sfruttamento dei più deboli?
In altre parole è nella nostre possibilità manipolare l’esistente per la nostra utilità. Non esiste però manipolazione che non comporti effetti che potrebbero anche essere dannosi.
In particolare esiste una ricerca degli utili che va a svantaggio di altre specie e di altri membri della propria.
Migliaia di esseri senzienti sterminati ogni giorno in nome della scienza medica (e di altro) possono realmente dirsi progresso?
Dunque dovremmo ammettere che la specie umana si è evoluta, propaga e mantiene sé stessa solo grazie alla sopraffazione, al dominio, allo sterminio di altri esseri? Questa è dunque la nostra unica natura? Quella dell’aggressività mascherata da razionalità, ossia la tendenza a giustificare razionalmente ciò che è in realtà irrazionale, primitivo, ancestrale, biologico (la paura del diverso, la paura di morire)? Ma se davvero il dominio e la sopraffazione dei più deboli tramite l’uso della forza, anziché essere un prodotto storico-culturale, come ho spiegato prima, ci è in realtà connaturato e, come dicono i sostenitori della sperimentazione rientra nelle strategie della conservazione della specie, dunque dovremmo allo stesso modo giustificare le guerre, gli stermini, i genocidi, la violenza perché QUESTI sono i mezzi e le strategie attraverso i quali la specie umana si è evoluta e ha sopravvissuto fino ad oggi, dominando il pianeta, e così anche l’aggressività, la schiavitù, lo sfruttamento, sempre perpetuati e giustificati in nome di un’animalità (la riduzione dell’altro ad animale) che si vorrebbe schiacchiare. E sì, perché questa logica è implicita in chi ammette e sostiene la dura legge della sopravvivenza in base alla forza del più forte sui più deboli. Dunque dovrei allo stesso modo giustificare un uomo che picchia una donna (per difesa della cultura maschilista e patriarcale), un omofobo che picchia un omosessuale (per difesa della cultura eterosessuale), un uomo occidentale che picchia un Africano (per difesa della cultura imperialista e capitalista che da sempre schiavizza e preda le risorse di altri popoli) perché QUESTE sono le strategie e i mezzi attraverso i quali la cultura umana si è evoluta. In questa logica della sopravvivenza e del mantenimento dello status quo del più forte sul più debole e dell’autoconservazione della nostra cultura (perché la nostra cultura è la maniera in cui ci siamo evoluti), a ben guardare, si potrebbe arrivare a giustificare qualsiasi cosa.
Mi si obietterà che esiste il confine di specie. Oh sì, esattamente come in passato è esistito è quello di razza, poi quello di genere, poi quello di orientamento sessuale e via dicendo.
Ma come si fa a non capire che i confini ontologici e la legittimazione della cultura del dominio sono gabbie in cui noi stessi finiamo per restare imprigionati?
O non c’è forse un’altra parte della natura umana che è invece volta all’accoglimento, al rispetto, alla protezione, alla solidarietà, all’empatia, ossia al riconoscimento di sé stessa e del proprio dolore o della propria gioia nell’altro? Dunque di questa parte cosa dovremmo fare? Negarla perché qualcuno asserisce che il dominio e la violenza siano le sole possibilità che ha la nostra specie per sopravvivere? Ridicolizzarle e sbrigativamente cancellarle come sciocche attitudini sentimentali?
Ma se davvero è la violenza lo stigma che ci distingue perché dunque avvertire la necessità di giustificarla, di rimuoverla, negarla, educolarla, mistificarla? Perché posizionare i laboratori e i macelli lontani dalla vista e in luoghi inaccessibili? Perché usare i media per divulgare le menzogne della carne felice e dalla scienza medica buona e sana con tanto di strumentalizzazione dei bambini, le cui immagini vengono usate proprio a scuotere sentimenti di protezione verso i deboli e gli indifesi? Dunque perché due pesi e due misure? Perché per giustificare la sperimentazione animale si fa appello al sentimento di protezione verso i bambini, mentre si ridicolizza quello verso altri esseri senzienti che più di tutti gli altri, vista la loro incapacità di potersi difendere e visto come vengono sterminati in numeri di migliaia, necessiterebbero di essere protetti e salvaguardati?
Come si fa a non rendersi conto che chi giustifica e sostiene la sperimentazione sugli animali si fa portatore di una visione che legittima invece proprio ciò che vorrebbe negare e mistificare, ossia la violenza, la sopraffazione dei più deboli, la negazione dell’empatia, lo sterminio di migliaia di altri senzienti? Come si fa a non rendersi conto che istituzionalizzare in questo modo pratiche indubbiamente violente in nome di un concetto di utilitarismo apre le porte alla giustificazione di ogni altra forma di violenza e dominio che possa di volta in volta essere ritenuto necessario?
E ancora, si dice che il fine giustifichi i mezzi, dunque la violenza della sperimentazione animale dovrebbe essere giustificata in virtù della ricerca medica e di un progresso parzialmente distribuito, ma la storia ci insegna che sono proprio questi mezzi scelti a condurci verso il fine.
Mezzi di violenza, sopraffazione e dominio dove altro potrebbero condurci se non allo sdoganamento che, per ottenere ciò che si desidera, sia lecito dunque uccidere, torturare, imprigionare?
Ciò mi porta pensare che forse esistono due tipi di umanità: uno volto a perseguire un progresso civile e morale realmente inclusivo di tutti i viventi senzienti, per cui si rifiuta e ci si oppone fermamente al dominio, all’uso della forza fisica, all’oppressione, allo sterminio dei più deboli; e un altro che invece, convinto così facendo di contribuire alla sopravvivenza della propria specie (ma sappiamo che l’evoluzione della specie umana non sarebbe stata possibile senza anche quelle altre qualità – empatia, solidarietà, protezione, cura e rispetto dell’altro – che pure ci appartengono), persegue e giustifica la violenza istituzionalizzata su esseri inermi ed indifesi. Diventiamo macchine da guerra dunque, aboliamo l’empatia, il rispetto dell’altro da noi e quando avremo distrutto ciò che non merita di entrare nel nostro circolo eletto, cos’altro faremo? Ci guarderemo negli occhi e ci domanderemo forse se ne sarà valsa la pena?
Forse le persone appartenenti a questa visione del mondo avranno la meglio (perché il sistema dominante, che è quello del dominio sull’altro, tende a mantenere sé stesso) e arriveranno un giorno a sconfiggere le malattie (ma non la morte, non si elude la propria morte uccidendo l’altro), ma insieme avranno anche sconfitto e spazzato via una parte della propria umanità. Quella che noi, minoranza, vorremmo proteggere e tutelare, quella dell’empatia e del rispetto dell’altro, chiunque sia questo altro.
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6 Responses to “La vita non è un gioco a somma zero”Trackbacks
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[…] Da: “Asinus Novus” – La vita non è un gioco a somma zero di Rita Ciattihttp://asinusnovus.wordpress.com/2013/04/27/la-vita-non-e-un-gioco-a-somma-zero/ […]
Mah, pensavo che il concetto di “lotta per la sopravvivenza” si fosse estinto, un etologo ne riderebbe, ne riderebbe anche un biologo (nessuno crede più alla lotta di cellule tra loro)…, ah ah, mi pare sia sopravvissuto solo in campo letterario (Verga, mi pare).
Pasquale, ovviamente concordo.
Ma visto che molti altri sembrano essere convinti del contrario, ho dovuto pur replicare, provando ad assumerlo come postulato ancora valido. 😉
Oddìo, pietà di loro…, e credono, hmm, ancora nel mago Merlino e nella fata Morgana?
Forse semplicemente ci credono perché fa troppo comodo crederci, così da poter giustificare appunto impunemente la violenza, il dominio, la sopraffazione. 😉
come come? Lei dice che fa sperimentazione perché vantaggiosa per la specie umana (“legge naturale”) e poi contravviene alla prima legge della teoria darwiniana: gli ammalati e deboli devono estinguersi! Senza parlare del fatto che la stessa medicina è progredita fino agli 80 sperimentando proprio sui bambini, orfani, neri, detenuti, malati, militari ecc. e oggi, non potendolo fare più da noi (almeno apertamente), sperimentando sugli indifesi e poveri del terzo mondo (in India 50 morti umani per esperimenti legali al mese); Lo so che lei non c’entra con questi esperimenti, ma i suoi colleghi e la Big Pharma sì e non mi risulta che i Protest siano mai scesi in piazza per protestare contro questi criminali.