La guerra civile animalista
di Marco Maurizi
Una brutta parola
Pare che l’espressione “animalismo” sia stata inventata da Alberto Pontillo, storico fondatore della LAV. Si tratta di una pessima eredità: una parola che non ha corrispondenza in altre lingue dove si parla, più correttamente, di “attivisti per i diritti animali” (ARA), “liberazionisti” o “antispecisti”. Ognuna di queste “etichette” indica qualcosa di preciso, la parola animalismo no. Ecco perché piace, perché permette di sguazzare nel vago, è un concetto comodo che non dice niente e anzi, come dirò, ciò che dice è privo di senso e pericoloso.
La parola è anzitutto priva di senso perché nasce con tutta evidenza come una contrapposizione all’ “umanismo” e quindi riproduce l’opposizione rigida tra Uomo e Animali che è stata demolita in sede teorica da lungo tempo. Anzi, chi dice di lottare “per gli animali” dovrebbe avere tra i suoi obiettivi primari proprio quello di contribuire a smontare quell’opposizione: cioè smettere anzitutto di riprodurla dicendo di lottare “per gli animali” come se l’umano fosse una specie di virus extra-terrestre (ma in realtà molti animalisti è proprio questo che pensano e il loro linguaggio li tradisce).
La parola è poi molto comoda per coprire un pensiero privo di coerenza e di serietà. Mentre infatti chi parla di “diritti animali”, di “liberazione/i”, di “antispecismo” è costretto oggi a confrontarsi con una riflessione che ha problematizzato questi concetti, mostrandone le contraddizioni e le difficoltà, l’animalismo ti permette di dire tutto ciò che vuoi. Che quei concetti siano contraddittori non vuol dire che sia inutile impegnarsi in una lotta che ponga fine al sistema di dominio in cui siamo presi, semplicemente esige che lo si faccia senza farsi catturare da meccanismi concettuali che si riproducono nella sfera del pensiero in modo inconsapevole (il concetto di diritto, ad .es, implica un certo modello di “soggetto” che sia capace di esercitarlo o di goderne passivamente, il che è possibile solo se tale soggetto possiede certe caratteristiche e non altre: dunque esige una “demarcazione” tra ciò che va protetto e ciò che non va protetto che istituisce una gerarchia e tale gerarchia, essendo compiuta dall’umano, verrà inevitabilmente eretta a partire da ciò che ci “assomiglia” escludendo il “dissimile” ecc.). Con questo non si vuole dire che possano esistere costrutti concettuali totalmente non-contraddittori. Si tratta di vedere la contraddizione inevitabile per imparare a starci dentro, usandola come spia e come sponda, come bussola di orientamento. Non fare finta che non esista.
La superbia dell’animalismo
Ma l’animalismo non indica solo una brutta parola: questa parola è anzi perfetta per definire la quintessenza di tutto ciò che c’è di pericoloso in chi dice di lottare “per gli animali”. Anzitutto, continuando a porre l’ottusa distinzione tra Uomo e Animali ecco che l’animalista si crea la propria nicchia identitaria all’interno dell’Umano: “io sono l’Uomo che lotta per l’Animale, sono diverso dagli altri umani, l’unico che veramente faccia qualcosa di Altruistico”. Avendo proiettato l’Altro fuori di sé nella forma fantasmagorica dell’Animale (perché l’Animale è l’astrazione speculare all’Uomo, come non esiste l’Uomo non esiste l’Animale; inoltre non si capisce perché l’Uomo non debba essere incluso tra gli Animali) ecco che l’animalista diventa un Eroe senza macchia e senza paura. Una specie di Don Chisciotte contro il mondo armato che però dell’eroe di Cervantes non possiede né la poesia, né l’umorismo. Anzi, l’animalista è tremendamente serio e si prende tremendamente sul serio: lui che si occupa del dolore degli Animali non ci trova niente da ridere a fargli notare che sbaglia. Anzi, di solito, s’incazza. È troppo compiaciuto del ruolo che si è cucito addosso. E quando provi a fargli notare che umano e non-umano sono intrecciati non solo da un punto di vista concettuale ma anche economico e politico per cui non c’è via di lottare per la liberazione dell’uno senza contestualmente lottare per quella dell’altro trova quest’osservazione alquanto fastidiosa. Di solito le strategie reattive sono due ma convergenti: o si chiude a riccio e insiste nel dire che per lui è più importante lottare per gli Animali oppure dice che lui lotta anche per gli Umani ma all’atto pratico continua a considerare prioritaria la lotta per gli Animali. All’animalista di entrambe le specie, per esempio, la lotta contro il TAV apparirà qualcosa di estraneo che non ha nulla a che vedere con la sua lotta. Il manifestante No TAV bastonato dalla polizia gli apparirà semplicemente come uno che “mangia il panino al prosciutto”. Se poi il cantiere TAV porterà allo sterminio di migliaia di animali chissenefrega, mica posso mescolarmi con gente che mangia panini al prosciutto, mi macchierei di una forma intollerabile di “discriminazione” verso i maiali. E l’animalista vuole essere anzitutto coerente con la propria auto-rappresentazione di eroe che lotta “per gli animali”, l’efficacia della sua azione è cosa che lo riguarda solo da lontano.
La guerra civile immaginaria
Ma, d’altronde, l’animalista non sa contro contro cosa combatte, conosce solo contro chi combatte: l’Uomo che non ha fatto la scelta di lottare per gli Animali. E in questo senso ho parlato di “platonismo pasticcione” che non era un battuta sarcastica ma una cosa serissima: il nemico per gli animalisti è l’Uomo che uccide gli Animali – cioè un’idea universale, eternamente uguale a se stessa – ma poiché tale nemico appare solo nella forma dei singoli esseri umani, ecco che per una forma di strabismo, il vicino di casa diventa rappresentante dell’Uomo Oppressore Degli Animali e l’unico con cui potrò prendermela (visto che l’Uomo in generale non esiste e non lo incontrerò mai) sarà lui. Ecco perché per l’animalismo i nemici vengono identificati solo dal fatto di essere o non essere vegani/vegetariani (che è l’unico marchio di fabbrica con cui l’animalista riconosce il proprio simile facendo scattare il meccanismo identitario che rende visibile il proprio gruppo di appartenenza) e tutto il resto passa in secondo piano. Purtroppo, invece, la struttura gerarchica del mondo che abbiamo di fronte rende centrale e fondamentale proprio ciò che l’animalista mette “in secondo piano”.
Di fronte a questo tipo di obiezioni l’animalista risponde “a te non importa abbastanza degli animali” oppure “non hai il coraggio di parlare solo di animali, devi per forza metterci dentro anche gli umani” ecc. Tutte affermazioni che implicano il loro rovescio: “a me sì che importa invece” e “io vado solo contro tutti e tutto” ovvero: tu non sei morale come me, tu non sei eroico come me (variante sfiziosa: tu sei ancora antropocentrico). Come se di questo eroismo straccione che confonde concettualmente le cose e si getta nella lotta a casaccio in un mondo di cui ignora le dinamiche elementari ci fosse davvero bisogno. Come se ne avessero bisogno “gli animali”. Ma chi soffre sotto il giogo di una società ingiusta (umani e non-umani) non ha bisogno di eroi immaginari: ha bisogno di metodo di analisi e di strategie di cambiamento.
Una volta sentii il rappresentante di una associazione animalista dire testualmente: “siamo dei vigliacchi! Se prendessimo sul serio le cose che diciamo dovremmo imbracciare il fucile e iniziare la guerra civile!”. Ed in effetti se uno pensa veramente che gli Umani siano Nazisti che stanno perpetrando l’Olocausto Animale (sul blog c’è un intero dossier che mostra i limiti e i pericoli di questo concetto) il simpatico signore di cui sopra avrebbe ragione. Perché con i Nazisti non si tratta e non si discute, si imbracciano le armi. Sicuramente molti animalisti la pensano così ma sono appunto troppo pochi o troppo poco seri per trarre le conseguenze del proprio eroismo immaginario. Altri invece sono teorici radicali della non-violenza e quindi indietreggiano di fronte a questo (speriamo di non trovarceli come amici il malaugurato giorno in cui si instaurerà un regime fascista, ci farebbero sgozzare allegramente per non sporcarsi le mani). Ma anche questi ultimi stanno in realtà lottando una Guerra Civile Immaginaria perché vedono la società umana divisa in due: Noi che “lottiamo per gli animali” e Loro “gli assassini”. E solo la poca serietà permette loro di non trarre le conseguenze di ciò che pensano e dire apertamente che chi lotta per sottrarre dalle bombe i propri figli è un assassino che vuole salvare altri assassini. Ah beh, no, qualcuno serio tra gli animalisti in realtà c’è: anche qui infatti una volta mi è capitato di sentire in tutta serietà un’animalista dire che tra il Presidente Americano che butta le bombe e il bambino che ci crepa sotto non c’è alcuna differenza “rispetto agli animali”. Rimossa l’animalità del bambino (e del Presidente), come osserva Claudia Ghislanzoni, non c’è più alcuno spazio per l’empatia. E l’eroe immaginario dal cuore d’oro si rivela per ciò che è: un misantropo autocompiaciuto.
L’animalismo, malattia infantile dell’antispecismo
Si dirà che oggi l’animalismo è stato superato dall’antispecismo. Ma io ne no sono affatto sicuro. Ho avuto modo di argomentare che l’antispecismo come teoria e come pratica di fatto non esiste. Perché possa esistere bisognerebbe avere delle risposte credibili a domande che rimangono tuttora senza risposta: cos’è lo specismo? Cosa lo produce? Come lo si combatte? Le risposte tradizionali a queste domande (lo specismo è un pregiudizio, lo specismo nasce naturalmente nell’uomo e poi si diffonde nella società, lo specismo va combattuto attraverso la diffusione di uno stile di vita ecc. ecc.) sono state tutte messe in discussione e il meno che si possa dire è che quelle risposte tradizionali fanno acqua da tutte le parti (certo a meno che uno non ignori ciò che è stato detto da trent’anni a questa parte dentro e fuori il movimento animalista…). Chi ricorda questo semplice fatto viene avversato come uno jettatore. Come se il problema fosse sollevare dubbi e non avere certezze mal riposte. Gli animalisti invece hanno troppe certezze e se le confermano a vicenda: d’altronde frequentano solo se stessi, come potrebbero darsi torto? E come dice Melanie Joy, anzi Palmiro Togliatti, “bisogna stare dalla propria parte anche quando si sa di sbagliare”. Perché altrimenti “ci si divide”. Dal che si evince che l’unità dei ciechi aumenta la vista dei singoli.
L’animalismo è una malattia infantile di un antispecismo che non nasce perché continuamente ricacciato indietro da questa tara ereditaria. Militanti antispecisti seri combattono ogni giorno non solo per gli animali (tutti, umani compresi) ma anche contro gli animalisti (anche contro l’animalista che ognuno si porta inevitabilmente dentro) per far nascere una teoria e una prassi adeguate al mondo che si trovano di fronte. Questi militanti avranno senz’altro riconosciuto nella descrizione che ho dato sopra dell’eroismo immaginario animalista le mille polemiche che devono affrontare ogni giorno. Se c’è qualche speranza che la questione animale occupi un giorno il posto che le spetta in una lotta che ponga fine allo sfruttamento integrale di cui siamo tutti vittime lo dobbiamo solo ed esclusivamente a loro.
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[…] [7] Marco Maurizi La guerra civile animalista articolo comparso sul blogo Asinus Novus http://asinusnovus.wordpress.com/2013/07/25/la-guerra-civile-animalista/ […]
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[…] [5] M. Maurizi, La guerra civile animalista, Asinus Novus – Rivista online di Filosofia e Antispecismo, pubblicato il 25 luglio 2013, http://asinusnovus.wordpress.com/2013/07/25/la-guerra-civile-animalista/ […]
Sono solo io a non leggere niente?
Ok adesso leggo….
“Il concetto di diritto, ad esempio, implica un certo modello di “soggetto” che sia capace di esercitarlo o di goderne passivamente, il che è possibile solo se tale soggetto possiede certe caratteristiche e non altre: dunque esige una “demarcazione” tra ciò che va protetto e ciò che non va protetto che istituisce una gerarchia e tale gerarchia, essendo compiuta dall’umano, verrà inevitabilmente eretta a partire da ciò che ci “assomiglia” escludendo il “dissimile” ecc.”
Questa affermazione è assolutamente errata.
Il concetto di diritto è, sul piano teorico, estensibile senza limiti.
Prova ne è che esiste un movimento per i “diritti della natura” (vale a dire degli ecosistemi) e che nel 2010 è stata presentata all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la “Dichiarazione Universale per i Diritti della Terra” che prevede il riconoscimento degli ecosistemi come “soggetti di diritto” (oppure utilizzando la terminologia giuridica “legal persons”).
La personalità giuridica (e, quindi, la capacità di essere titolare di diritti) può essere attribuita anche a un “non soggetto” (come un complesso di beni, un patrimonio), che, per effetto di tale attribuzione, acquista diritti assai simili a quelli umani (compatibilmente con la sua natura di non soggetto).
Non esistono pertanto limiti giuridici all’attribuzione di una piena soggettività giuridica a qualunque specie animale.
Il fatto che ciò non sia accaduto discende non da una impossibilità teorica ma dal fatto che il sistema giuridico qualifica l’animale come “res”, come bene oggetto di diritti (in primis quello di proprietà) attribuiti all’umano.
Partendo da questa qualificazione è evidente che l’attribuzione di diritti all’animale è necessariamente limitata, in quanto tali diritti sono solo quelli compatibili con l’essere oggetto di diritti esercitabili dall’essere umano.
Ma questa limitazione, ripeto, non trova il suo fondamento in un’impossibilità giuridica ma, piuttosto, nell’antropocentrismo insito negli ordinamenti giuridici.
I diritti sono un concetto “umano”, e possono essere reclamati solo da altri esseri umani. Naturalmente si può immaginare “diritti” che si riferiscano ad animali, ma sempre “tramite” l’uomo, senza il quale questi diritti non hanno alcuna applicazione.
Nessun cane reclamerà il proprio diritto di entrare in condominio (diritto riconosciuto dalla legge) se non attraverso un essere umano, che lo farà per lui.
Nessun ecosistema ha studiato giurisprudenza. Saranno sempre degli esseri umani – con le loro imperfezioni – a gestire questi “diritti”.
Per quanto riguarda le ridicole pretese di “vendette” della Natura (concetto pagano, che ha già causato fin troppe vittime, assassinate – loro dicevano “sacrificate” – per calmare l’ira presunta di presunti dèi), a me pare, dati alla mano, che la Natura (se volessimo vederci una improbabile volontà discriminatrice) si “vendichi” del sottosviluppo, ed ami invece il progresso, se devo giudicare dal numero delle vittime che fanno tsunami, inondazioni, terremoti ecc. nei vari Paesi, più o meno sviluppati.
Scusa non capisco. Chi ha parlato di vendetta della natura?
Per il resto condivido al 100%!
La ringrazio per il gentile commento. Purtroppo il tema dell’articolo non è quello, altrimenti avrei dovuto giustificare in modo più circostanziato ciò che ho enunciato solo di passaggio. Ad es. sarebbe interessante sapere cosa dice la scienza giuridica della problematizzazione fatta da quarant’anni a questa parte (per dire: da Baudrillard all’ultimo Derrida), della nozione stessa di “diritto”. In ambito più vicino a noi il modello stesso di “attribuizione di diritto” è stata criticata in quanto costitutivamente antropocentrica da tutto un filone di pensiero che annovera, tra gli altri, Acampora e Calarco. Se vogliamo parlare di questo mi fa piacere ma, appunto, si tratta di un tema vastissimo e difficilissimo che esula dal contenuto di questo articolo. 🙂
Infatti ho solo fatto un cenno, per il resto approvo tutto! 🙂
Che pazienza che hai Marco. Ti amo molto.
Ah gia’… Teriofobia.
Marco, ma tu davvero vuoi lottare per tutti gli animali?
Perchè questa domanda Matteo? Vedi qualcosa nel suo ragionamento che porti a pensare il contrario?
perché da una parte mi ha incuriosito l’accenno alla lotta no-tav ( significa dunque cessare gran parte delle attività umane ) e dall’altra perché mi pare che lottare per tutti gli animali porti inevitabilmente all’animalismo.
Il fatto che appoggiare la lotta no-TAV significhi essere a favore della cessazione della gran parte delle attività umane mi sembra un’affermazione assai sbagliata
sì, non ho specificato, l’accenno alla lotta no-tav in questo articolo è dal punto di vista antispecista, perché penso che gran parte dei no-tav non stia pensando agli animali uccisi con la costruzione dell’opera. Ma vista in quest’altra ottica invece…
Matteo sei troppo consequenzialista! 🙂
Scusa Matteo, ti avevo confuso con un amico omonimo e ti ho risposto in modo sbrigativo perché lui avrebbe capito… Non ho capito però il senso della tua domanda, mi spieghi meglio?
Maurizio, è probabile che sia pure io troppo consequenzialista 🙂
Un po’ la mia domanda è banale, considerando tutto il lavoro teorico che si fa da queste parti eccetera, però il senso è che anche considerando la discriminazione su base specista non giustificabile, e anche prendendosi carico della sofferenza che causiamo agli animali, c’è un limite, c’è un taglio che poniamo, perché la vita stessa ci pone in condizione di non poter scegliere. Voler riconoscere la continuità che lega tutti gli esseri viventi dice poco, non è lì che si gioca la partita, perché altrimenti tutto l’apparato simbolico che ci pone in alterità o in supremazia non si sarebbe sviluppato. Poi possiamo anche smontarlo in certe parti, ma di fondo rimane che la finzione umana ha senso. Io e te non siamo diversi allo stesso modo di quanto lo sono io e una taenia saginata, per citare Antonio Volpe. E a me rimane questo senso di fondo, perché se ti seguo in quello che dici, arrivo alla conclusione che se consentiamo la costruzione di un cantiere, non vedo perché non consentire l’attività di un mattatoio. E arrivo alla conclusione che se lotti per tutti gli animali non fai praticamente nulla, oltre al fatto che non si capisce per quale motivo parliamo di animali e non di vegetali, dato che anche questa distinzione è fittizia, se seguiamo i ragionamenti fatti finora. Se invece il senso dell’antispecismo è quello di svelare il pregiudizio che sottende allo sfruttamento di certi animali ( certi, non tutti, quelli di cui più ci importa ), il discorso è un altro.
sulla superbia dell’animalismo…”lui che si occupa del dolore degli Animali non ci trova niente da ridere a fargli notare che sbaglia. Anzi, di solito, s’incazza.” …Da moderata Animalista, anzi mi definisco meglio: “antispecista debole”, non stò qui a fare l’arringa a mia difesa, non m’interessa, non ne ho bisogno. Le chiedo solo, Marco, di scendere ogni tanto tra noi mortali, poi si renderà conto chi è che s’incazza veramente e non accetta confronti. Lei, prendendo a campione una ristrettissima cerchia di estremisti/animalisti, ha generalizzato dimostrando di non sapere esattamente di cosa parla. Venga, segua più da vicino i fatti, le azioni, l’impegno, poi si renderà conto di persona, chi è che si chiude realmente a riccio esclude e criminalizza. A parte pochissimi individui, nell’antispecismo politico (quello applicato, quella della “strada” non il teorico) c’è la radice del vero razzismo. Ma, le ripeto, venga non resti lì….Se siamo al punto di stallo attuale, anzi d’involuzione dell’idea di antispecismo, ringrazi chi non accetta il confronto e esclude a prescindere. “O con me o senza di me” anzi peggio…”contro di me” questa è la mentalità della maggior parte degli antispecisti politici, nell’attivismo. La saluto cordialmente.
Stefania se il problema sono gli attivisti antispecisti, devi risolverlo con loro. Cosa ci deve venire a fare Maurizi per la strada (ammesso che non non frequenti la strada)?
Piuttosto, se vuoi dimostrare che l’analisi di Maurizi sia relativa ad una ristrettissima cerchia di estremisti/animalisti, come tu dici, il dibattito sarebbe utile a tutti.
In special modo se spieghi meglio cosa significa “moderata animalista” e se esistono di conseguenza anche i “moderati antispecisti”
Roberto, sono anni che tento di spiegare cosa intendo per moderata animalista, anche se ora e per fortuna aggiungo, posso meglio identificarmi con “antispecista debole” Sono anni che tento di spiegare cosa intendo per antispecisti politici “estremisti” che, riparandosi sotto l’ombrello dell’antispecismo politico tanto decantato e osannato, commettono veri atti di razzismo e discriminazione nei confronti dei “diversi da loro” Mi pare ovvio che, di conseguenza, chi non assume simili atteggiamenti sia un moderato “antispecista” E le mie sono parole basate sui fatti reali, vissuti in prima persona, non sul sentito dire. Ci rinuncio a tentare di spiegare ulteriormente, dovrei scrivere un libro e il tempo non ce l’ho. Ho solo espresso, nel mio precedente commento, il mio pensiero come è giusto che sia. Posso serenamente lasciare la conversazione..e nel farlo ti auguro buona giornata.
cara Stefania non capisco proprio di cosa parla e mi spiace perché dal suo accorato appello sembra si tratti di fatti per lei importantissimi. Non so cosa voglia dire con “stare lì” e “stare qui”, non so a chi lei si riferisce quando parla di “antispecismo politico applicato”, sono esperienze sue, le rispetto, ma sinceramente non capisco proprio a cosa fa riferimento.
La mia esperienza personale maturata in tanti anni di frequentazioni di questo “ambiente” (vuole vedere il mio pedegree da attivista?) ho cercato e cerco di condensarla nel modo più chiaro possibile nelle cose che scrivo, con l’esclusivo compito di fare chiarezza a me per primo su cosa succede nell’animalismo/antispecismo. E l’ho sempre fatto e lo faccio dialogando con tutti, e anche lavorando duro, se mi permette, perché per “scrivere libri” non basta “avere tempo”, bisogna anche lavorarci. Se quello che scrivo le risulta utile bene, altrimenti lo ignori, è un suo diritto. Mi sfugge però il motivo di venire a scrivere sotto questo post con tanta acredine. Sinceramente, se ha poco tempo come dice, lo dedichi a migliori cose. Un saluto
L’animalista non sa contro contro cosa combatte?
Diceva William Blake :” “To Generalize is to be an Idiot; To Particularize is the Alone Distinction of Merit”.
Mi sembra piuttosto evidente che l’animalista non sa contro cosa combatte, che c’entra la frase di Blake?
massimo,
sì, l’animalista (come dice lei) non sa contro cosa combatte: probabilmente la maggior parte di chi si dice animalista sa (o pensa/crede di sapere) PER cosa combatte (gli animali e la loro liberazione) ma difficilmente sa o si pone il problema di sapere (o di avere consapevolezza) contro cosa combatte (anche perché, allora, avrebbe probabilmente difficoltà a definirsi “semplicemente” animalista…)
è una generalizzazione? forse… ma se anche fosse, allora è una generalizzazione anche il parlare di antispecisti o di ecologisti o di antivivisezionisti o di specisti: pure questi sono “insiemi” di “singolarità” individuali e pure tra questi vi sono differenze e posizioni variegate…
ma siccome non è possibile parlare riferendosi sempre ai singoli individui/posizioni, allora o si accetta un minimo di semplificazione nel discorso (che non è necessariamente generalizzazione) o si rinuncia del tutto a parlare….
credo quindi sarebbe utile a tutti smettere di usare controargomentazioni “dialettiche” come (e non certamente solo) questa della “generalizzazione” e cercare piuttosto (sempre che lo si voglia davvero fare) di focalizzarsi sulle questioni cruciali
Sì, esatto, non lo sa:
http://www.antispecismo.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=85:alcuni-errori-tattici-e-strategici-del-movimento-antispecista-di-marco-maurizi
Di solito succede così: se uno descrive troppo da vicino il particolare, gli dicono che non sa generalizzare; se uno generalizza, gli obiettano che non sa vedere i particolari. Non è proprio una novità 🙂
Adesso siamo riusciti a far diventare il problema l’antispecismo… cattedratico, cattivo e aggressivo. Beh, io non ho mai visto nessun cattivissimo pensatore antispecista passare manifestazioni intere a urlare “assassini, assassini”, come se questo spaventasse qualche dipendente (il personale delle pulizie fatto di stranieri pagati due soldi, magari) di multinazionali dello sfruttamento animale, o qualche ricercatore. Nessun arrogantissimo pensatore antispecista mettere bare finte sotto casa di un avvocato di Green Hill, sputare sulle vetrine di un vecchio pellicciaio durante una manifestazione che non c’entrava un cavolo, così, quasi per voler far pulizia di tutti i cattivi in una volta sola; né festeggiare per i cacciatori che si sparano a vicenda, o per un maltrattatore linciato dalla folla in un villaggio del sud del mondo schiacciato dalla miseria. Non ho mai visto un gruppo di pensatori antispecisti organizzarsi a centinaia per far chiudere, parandosi il culo davanti alla finzione del presidio “pacifico” un edicolante che aveva dato un calcio a un cane che adesso, perso il lavoro, sarò più incazzato di prima e più violento, o, con la scusa di solidarizzare con la vittima, presentarsi a migliaia sotto casa dell’assassino di un cane, già denunciato, per minacciare di perseguitarlo e “combinargli qualcosa” per riequilibrare l’ordine cosmico.
Non ho mai visto un pensatore antispecista essere così stupido da indicare nel piccolo delinquente, o comunque nel singolo, il responsabile del dominio sugli animali, come se il singolo o i singoli cattivi che mangiano la carne, fossero i responsabili di secoli, di millenni di storia di pratiche di addomesticamento, zootecniche, industrializzazioni dello sfruttamento, in regimi veritativi in cui gli animali erano considerati proprietà umana, esseri inferiori per lontananza da Dio, automi, o prede nella piramide alimentare a cui faceva capo il detentore della razionalità e della tecnica “Uomo”.
Il problema è che anche se vi si parla di umani della mezzaluna fertile, di Aristotele o di Cartesio, voi pensate davvero che i colpevoli diretti dello sterminio animale siano loro. Vi rifiutare di vedere le leggi dei processi storici, le strategie impersonali del potere, la sovradeterminazione sociale ed epocale dei singoli.
Tutto quello che ho elencato è esattamente ciò che impedisce la possibilità della liberazione animale dal giogo di un dominio che non ha sovrano al vertice, per cui non basta sparare al re per liberare tutti.
E adesso voi autodefinitesi per anni “animalisti, NON antispecisti vi prego”, ora reinventati antispecisti grazie a quell’animalismo mascherato che è lo (pseudo) antispecismo debole, venite a dire che sono i pensatori antispecisti ad avervi discriminati, mentre si facevano critiche, magari dure, ma *magari* utili alla riflessione, a certe pratiche, a certi metodi, a certe logiche, perché il movimento non si sputtanasse in testate al muro o in suicidi etici politici e strategici.
Venite a dire che i pensatori antispecisti vi hanno addirittura spaventato, terrorizzato, come se avessimo questa come missione nella vita, e come se proporre una riduzione della violenza al movimento fosse terrorismo.
Vienilo a dire a me e Serena Contardi, che ci siamo messi in prima linea a difendere i liberatori di farmacologia dalle accuse di terrorismo e teppismo, dalle calunnie di maltrattamento, faticando su articoli, documentandoci e sbrogliando matasse di notizie falsificate.
Trovo tutto questo davvero troppo.
Va bene il desiderio di capovolgere il mondo per ridurlo ai propri desideri, ma sentirsi dire che stava nella posizione sbagliata per colpa nostra (un noi che comprime tutti i diversissimi pensieri) è davvero troppo.
Chissà che un giorno incontriate lo sguardo di palestinese torturato a cui hanno raso al suolo la casa con dentro la famiglia, e non vi rendiate conto che anche quello è un animale, una vittima e non un carnefice per il semplice fatto di appartenere alla finzione “uomo”.
Scusate il moralismo. Ma ormai finisco pure io a confonderlo con l’etica.
Anche se Antonio Volpe (alias Derridiilgambo, alias Anton Caracal su fb) mi considera poco intelligente, non posso che concordare con tutto quanto ha appena scritto, che costituisce un’analisi lucidissima e sintetica della situazione.
Ma che dici Sergio??? Al massimo qualche volta un po’ insistente ;-).
Forse in questo periodo non sono abbastanza paziente per farmi capire.
Perdonami se puoi.
Antonio, non devo perdonarti.
Scrivi cose giuste e interessanti e questo è un grande pregio.
L’insistenza è purtroppo un mio difetto, di cui, dopo anni di analisi trascorsi a cercare di attenuare difetti più gravi, sono consapevole.
Mi capita, quindi, di mettere a dura prova la pazienza altrui.
Se mi conoscessi personalmente scopriresti che ho anche qualche lato positivo …
Spero ci sia l’occasione, magari al Veganchio, se sarai lì.
Tutti hanno difetti, ci mancherebbe 🙂
Comunque sicuramente, al Veganchio 🙂
Non avrei saputo dire meglio, Antonio. Grazie.
Comunque scrivi molto meglio di me, rispondi tu al posto mio! 😛 😀
s’è scordato uno zero 😉
Una volta Maurizi scrisse che se si volessero liberare gli animali passando per le coscienze dei singoli, ci vorrebbero 3000 anni. Sono d’accordo, ma nessuno sa se l’altra strada sia effettivamente più breve. Dopotutto, 3000 anni non sono niente.
eheh bella mossa Mattia! 🙂
Ma non farti sviare anche tu dal trucchetto del “possibile”. Se guardi bene vedrai che non ho detto che in 3000 anni ci si sarebbe riusciti: ho detto “ci vediamo tra 3000 anni”, nel senso “e ne riparliamo”. Se uno non ragiona astrattamente ma tenendo presente le condizioni presenti (che sono strutturali, non contingenti e scambiabili con altre condizioni a piacere) è impossibile arrivarci per quella strada. Se uno non smuove contestualmente ANCHE (condizione necessaria ma non sufficiente) gli ostacoli sistemici alla presa di coscienza “morale” pretende semplicemente l’impossibile.
Non è colpa del termine “animalista” se chi se ne fregia non è coerente con esso. Potrebbe un giorno accadere lo stesso col termine “antispecista”. Anche l’uomo è un animale, quindi va da sè che chi è animalista estende i diritti dal solo uomo a tutti gli animali. Altrimenti dovrebbe chiamarsi “animalinonumanista”!
ciao! non c’è scritto che è colpa del termine. Nel secondo paragrafo scrivo “l’animalismo non indica solo una brutta parola: questa parola è anzi perfetta per definire la quintessenza di tutto ciò che c’è di pericoloso in chi dice di lottare ‘per gli animali’ “. Non mi interessa la parola, mi interessa quello che indica. [MM]