Lode ai pupazzi di Banksy, che ci insegnano il valore della distanza

di Serena Contardi

Per studiar minuziosamente un grottesco, per prolungar freddamente un’ironia, bisogna avere un sentimento continuo di tristezza e di collera
(L. Pirandello)





Brooklyn, 11/10/2013. Urla, mugolii, lamenti. Pianti disperati e richieste di giustizia («Per di più, crediamo che i suoni e le strida che gli animali emettono siano voci inarticolate, e non piuttosto preghiere, suppliche e richieste di giustizia», Plutarco). Un camion di bestie dirette al mattatoio si aggira per le strade di New York City: scene di ordinaria violenza, lampante e disconosciuta come sempre. Se non fosse che i musi che fanno capolino tra le fessure strette dei rimorchi sono di animali peluche (mucche, maiali, galline, pecore di peluche).

L’azione dell’artista anonimo Banksy è un autentico gioiello di umorismo, esente da ogni intento pedagogico e perciò tanto più efficace. Qualcuno insiste già sulla trovata pubblicitaria: tanto probabile quanto ininfluente. Non si ride su queste cose, tuona qualcun altro. Oh, si ride eccome, invece. Si ride per quel che Pirandello definiva «sentimento del contrario»: gli animaletti di pupazzo che chiamiamo «coi più teneri nomi ed insensati» (A. M. Carpi) e stringiamo tra le braccia durante tutta la nostra infanzia (e oltre? Cosa sono i nostri pets se non peluches in carne ed ossa?), non finiscono macellati. No, loro no, in effetti; e qui l’umorista porta a termine il suo compito. Senza dita puntate, senza immagini truculente e senza frasi collaudate che non impressionano più nessuno: ma lo assuefanno.

Il bambino non percepisce differenza tra l’essere proprio e quello degli animali, perciò ama popolare il suo mondo di bestie che pensano e parlano, e che meritano un nome. È stato detto, credo a ragione, che quella di Banksy è una denuncia della crudeltà dell’industria carnea (il veicolo reca l’insegna di una fantomatica «Farm Fresh Meats Inc»), ma io personalmente ci ho visto anche altro. L’inveramento ironico della bugia in cui costringiamo, per tenerli fermi e buoni, i nostri bambini. Denuncia della bugia che l’età adulta non sia altro che il calco di un’infanzia mutilata.

Comments
11 Responses to “Lode ai pupazzi di Banksy, che ci insegnano il valore della distanza”
  1. Ale ha detto:

    Splendida analisi, come sempre. 🙂

  2. Michela ha detto:

    E’ bello vedere che anche Banksy è dalla parte di chi muore ammazzato nei mattatoi del mondo.
    La sua dev’essere una riflessione a cui è pervenuto nel tempo. Ricordo un evento a Stoke Newington, Londra, quando iniziava a essere famoso – primi anni del duemila – dove in un recinto esibiva due maialini “graffittati”: tra le proteste degli animalisti, intervenne la polizia.
    Non sarebbe interessante intervistarlo, sentire com’è avvenuta la maturazione che l’ha portato a ideare e realizzare il camion di pelouche?

  3. rarebestie ha detto:

    Ciao Serena, molto interessante, quello che scrivi. Secondo me varrebbe la pena tentare! (l’intervista, dico). Con quel camion di pelouche Banksy ha colpito dritto nel segno, come solo un artista sa fare: non so se ti è capitato di leggere l’articolo che ho tradotto per Liberazioni “La separazione concettuale di animali e cibo nell’infanzia” (pubblicato nel numero 13). Lì gli autori (Matthew Cole e Kate Stewart, dell’università di Bristol) mettono in evidenza e analizzano le ripercussioni sociali del marketing a oltranza portato avanti dalle catene di fast-food, che associano – anzi, “dissociano” – l’animale-carne nell’hamburger dalla mascotte di pelouche. E’ risultato che più l’associazione con la carne è immediata, più l’animale-mascotte assume tratti infantili e irrealistici, di vero pupazzo e quindi finto animale (e animale finto: un esempio è Babe il maialino). Il fatto che Banksy li faccia tutti salire su un camion che li porta via, quei pelouche che sono gli amici dei bambini, è un’illuminazione: anche i pelouche vanno al macello, o bambini, anche i vostri amici veri, quindi, quelli che i pelouche rappresentano, piangono stipati su un camion.

    • Serena ha detto:

      No, non ho ancora preso gli ultimi due numeri di Liberazioni e quindi la tua traduzione non l’ho letta (ma lo farò presto volentieri!). L’illuminazione di cui parli è esattamente ciò che intendo io per “inveramento ironico” della bugia che si racconta ai bambini per tenerli buoni: e non so se hai dato una scorsa a come la stampa italiana ha trattato dell’azione di Banksy, ma nessuno – non a caso, credo – ha posto l’accento su questo punto, che anche secondo me è centrale. Solo tiepidi resoconti di quella che così appare come l’ultima trovata di un artista famoso e controverso, e domani se ne saranno scordati tutti. D’altro canto, purtroppo, nemmeno la maggior parte delle pagine animaliste, che sono sempre così concentrate sul sangue e sul dolore, ha saputo cogliere l’umorismo tragico e acutissimo insito in questo gesto. Sui siti americani tipo PeTA tutti a chiedersi se questa sia propaganda pro-vegan. Ora, io ne sarei felicissima, ma di nuovo credo che, come nell’installazione del 2008, a lui interessi prima di tutto portare alle loro estreme conseguenze le contraddizioni della società in cui viviamo, concretizzarle. Certo se ne rispondesse direttamente lui sarebbe una gran cosa, io allora ci provo 🙂

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