Oibò
di Serena Contardi
Persino il povero Kant, così spesso bollato come freddo intellettualista, delegò al sentimento un ruolo tutt’altro che secondario: nella Critica del giudizio è proprio il sentimento, ed in particolare l’urgenza di condivisione che il sentimento del bello comporta, a gettare le basi per il riconoscersi del singolo quale membro di una comunità più ampia. Altro che etica vs estetica! Il bello educa al buono, ne è una tappa fondamentale.
Come si può aver fede in un progresso morale dell’umanità, davanti a un’immagine del genere?
Mi suggeriscono l’imbesuita ritratta nella foto, ex vj di Mtv, sia pure vegana e agguerrita sostenitrice della «vita a impatto zero», titolo di una sua trasmissione televisiva. Alé. Non mi interessa bacchettarla sulla questione della coerenza, sia perché sui limiti della coerenza a tutti i costi ho già scritto, sia perché di quello che sceglie di fare Paola Maugeri, sinceramente, non me ne può fregare di meno. Quello che mi colpisce, è la bruttezza oscena di questo scatto. Perché premersi un crostaceo morto sul petto e sfiorarsi le labbra con la sua chela, ammiccando in quella maniera? Per indurre il consumatore ad acquistare pesce pescato in modo sostenibile, pare. La fotografia è solo una delle tante pubblicate nella campagna pubblicitaria Fishlove, apparsa su Vanity Fair del 13 giugno 2012, che, per inciso, si compone di pose altrettanto agghiaccianti. Vi si ritrovano donne splendide, rigorosamente nude, abbracciate languidamente a diverse specie di pesci morti, con tanto di dita infilate nelle branchie, o spalmate ad un polpo.
Ora, se i pubblicitari hanno ritenuto di lanciare la campagna, in qualche maniera se lo possono permettere. Un pubblicitario non è un lobotomizzato, piuttosto è la sua professione a richiedergli di lobotomizzare (qualche pubblicitario potrebbe in effetti esserlo, ma mai quanto il pubblico a cui si rivolge), e infatti queste immagini di scalpore non ne hanno sollevato. La ragazza che allatta il cucciolo di pecora è una pervertita, queste donne che flirtano con animali morti promuovendo un brand, invece, vanno benissimo. Oibò. Occorrerebbe, forse, domandarsi il motivo di questa curiosa circostanza. Se, come credo, le sensazioni apparentemente più immediate sono in realtà le più mediate di tutte, esiste una ragione ben precisa per cui un’innocua poppata interspecifica suscita generalmente più disgusto di un corpo nudo avvinghiato ad un corpo morto. Ciò che Gorz chiamava la «megamacchina sociale», il vero soggetto che rotola sulle teste degli individui e li riproduce a propria immagine e somiglianza, non genera solo l’indifferenza morale di Bauman, ma educa il gusto, crea nuove sensibilità. La collezione Fishlove, obiettivamente raccapricciante, non contraddice l’imperativo al consumo che fa dell’animale una merce: come sono merci un’auto e un tostapane, entrambi sponsorizzati, al pari del pesce, dalle allegre signorine della pubblicità. Qualcuno potrebbe trovarlo di cattivo gusto, finita lì. La giovane donna che nutre del suo latte un cucciolo non umano, invece, produce un autentico cortocircuito nel nostro modo di guardare agli animali e, sintomaticamente, dà luogo a tutta una serie di reazioni scomposte. Tanto che un gesto spontaneo e vitale appare ora più nefando di una trovata apertamente erotica, oserei dire necrofila.
Mi chiedo quale specie di miopia affligga i singeriani, che credono, in questa società, «la forza del ragionamento etico» possa prevalere sulla freddezza e sull’egoismo, e se sia curabile. I suoi modi di produzione intaccano, prima ancora che i contenuti coscienti, i nostri desideri, la nostra sensibilità. Hai voglia a far riflettere su giusto e ingiusto in senso morale chi non si accorge di quanto sia orrenda la Paola Maugeri che s’avviluppa a un astice morto. Un punto a favore dell’antispecismo politico: è assurdo pretendere di convincere gli individui ad uno ad uno, fintanto che non si è cercato di disinnescare la macchina gorziana, ciò che fa di essi quello che sono.
Comments
3 Responses to “Oibò”Trackbacks
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[…] curiosando tra i commenti scritti dai visitatori della sua pagina facebook ho scoperto anche questo, la sua foto con astice non è piaciuta tanto a molti vegani (come lei) e vegetariani (come me) e […]
Cara Serena,
ho letto il tuo articolo e quello di Rita (ma anche il commento della Berati) a proposito di questo tema e mi sembrano molto importanti.
Concordo su tutto e vorrei solamente aggiungere che persone come Paola Maugeri, rientrando nella categoria delle “persone pubbliche”, dovrebbero stare molto attente ai messaggi che lanciano — in quanto si definiscono “animaliste” o “vegane” — al loro pubblico, o fans che dir si voglia, composto certamente non solo da animalisti o vegani.
Il gesto della Signora Maugeri è generato da una profonda ignoranza e da pari superficialità, la stessa leggerezza che permette a un cattolico di accoppiarsi prima del matrimonio, a un buddista di mangiare il tonno ucciso nella mattanza etc. etc. Questo atteggiamento “all’acqua di rose” è tipico di chi si professa adoratore di qualche idolo (più o meno “trendy”) e poi di nascosto mangia pane e mortadella.
Vorrei ribadire due cose: essere vegani, o vegetariani, scegliere di non nutrirsi o vestirsi della sofferenza animale è a tratti molto difficile ed è un percorso di crescita meraviglioso ma anche costellato da sofferenza personale, da difficoltà e da momenti di disagio. Se non è vero che si mangia solo insalata, è pur vero che tali regimi alimentari implicano una grandissima forza di volontà e un percorso di evoluzione personale non proprio da poco. Non ci si continua a vestire con scarpe di pelle anche se “vintage” come scrive la Maugeri nel suo libro. Non deve naturalmente buttarle — per non turbare il suo impatto zero — ma può ad esempio rivenderle e donare i soldi a un’associazione.
In seconda istanza, vorrei anche sottolineare che abbracciare la visione antispecista comporta uno sforzo intellettuale pari a quello fisico (o logistico) di astenersi dal consumo di prodotti animali , poiché mette in dubbio molte certezze sulle quali la nostra esistenza si è basata fino al punto in cui abbiamo davvero visto la realtà dello sfruttamento animale. Leggere Singer, Regan, Asinus Novus o i bei libri di Leonardo Caffo non è propriamente attività da soubrette televisiva e scusate per lo specismo, però secondo me dobbiamo mettere dei paletti altrimenti se niente importa…
Attenzione! Non sto dicendo che i vegani debbano essere tutti guru o intellettuali!
Bisogna però FARSI IL CULO, cosa che la Maugeri, e molta altra gente con lei, non ha affatto voglia di farsi, almeno non in questo campo.
Ciao e complimenti per tutti i vostri saggi e articoli di altissimo livello.
Valentina
Cara Valentina,
innanzitutto grazie per i tuoi complimenti così generosi, forse troppo 🙂
Non ho mai avuto molta fede nelle celebrità che promuovono il veganismo, perché trattandosi appunto di celebrità, più che mettere in discussione l’attuale modello economico e la sua religione dello sviluppo, ci sguazzano dentro, consigliandoci di farlo in maniera più “etica”. Ma è possibile costringere “eticamente” oltre l’80% della popolazione mondiale in una situazione di indigenza perché noi si possa mantenere tutta una serie di privilegi ed eventualmente toglierci lo sfizio di farlo in maniera più “green”? Mercificare tutto il vivente con più garbo, ammazzare dignitosamente? Maugeri promuove un lifestyle; a quanto apprendo, pure in maniera discutibile: ma non c’è da sorprendersi, le manca la benché minima conoscenza delle istanze antispeciste, che tende a ridurre all’ “etica vegan” (sigh) o ad altre corbellerie del genere…