Fotografia e animalità. Intervista a Cinzia Carrus
Cinzia Carrus (Oristano 1982), vive in Sardegna dove si occupa – tra le altre cose – di fotografia. Il 29 settembre parteciperà alla mostra collettiva Fear che si terrà a Solarussa (Oristano), con “Io, Persona” e “EYES” di cui diamo qui un’anteprima. È l’occasione per scambiare due chiacchiere con lei del rapporto tra fotografia e animalità, due temi che troviamo spesso intrecciati nelle sue opere.
[visita il sito di Cinzia Carrus]
Come sei arrivata ad interessarti agli animali nella vita e nell’arte?
Premetto che non sono proprio sicura della definizione di “arte” e di “animali”. Sarò approssimativa. Non so se sono in grado di dire esattamente come ci sono arrivata; mi sono sempre interessata agli animali e ne sono sempre stata affascinata, come riguardo a *tutto*. Sono molto curiosa. Già da piccina ero fortemente attratta dall’arte in ogni sua forma, dalla pittura, alla musica al cinema alla letteratura etc. (oltre a cartoni animati , fumetti, documentari). Ho iniziato altrettanto presto a disegnare, poi a dipingere e fotografare (meglio: provare a); ecco, gli animali erano semplicemente in quel *tutto*, in quella Bellezza che mi attirava a sé. C’erano dettagli che mi piaceva osservare e ritrarre nello specifico, che mi catturavano e nei quali mi perdevo. E molte cose che sentivo sfuggirmi e sfuggire. L’aspetto più particolare è affiorato certamente quando – intorno ai 3 anni, a giudicare da racconti altrui, qualche mio ricordo e tanti disegni – ho iniziato a interrogarmi sul modo in cui venivano definiti e trattati gli animali, sul perché e sul come diventassero nostro “cibo”, perché venissero privati della propria libertà, rinchiusi in gabbie, usati in spettacoli, perchè venissero “venduti” e così via, e trovavo strano il modo in cui venivano ritratti specialmente nei cartoni animati e fumetti accanto ala forma che invece gli stessi “umani” davano loro… sul piatto; ho iniziato anche a interrogare gli altri in merito. E collegavo questo, a grandi linee, al modo in cui mi sembrava venissero trattati gli “inferiori” in generale, anche tra gli “umani”… insomma, mi appariva come un’unica questione. Lo sfruttamento dei viventi, e la possibile liberazione di questi ultimi. La nostra liberazione. Scoprivo sempre più cose. Ma non capivo. Credo di non avere ancora capito.
dal ciclo Essere Umano, Tempo, Fobie: “Io, Persona (Autophobia)”
In che modo, oltre che ovviamente attraverso la denuncia dell’orrore compiuto a suoi danni, pensi che l’immagine possa parlarci dell’animale?
Come dicevo prima, per me l’animale-non-umano era parte di quel tutto che poi ho iniziato a destrutturare nel percorso “artistico”. L’immagine, nella sua sintesi, può portare l’occhio anestetizzato a scoprire certi collegamenti, al di là della mera denuncia, suggerire aspetti particolari che, decontestualizzati, destrutturati e decostriti, vengono illuminati da luci differenti. Aspetti dell’animale, di una data situazione che lo riguarda o che potrebbe riguardarlo, che di norma non vengono considerati, o che vengono piegati a seconda di ciò che fa più comodo in un dato momento e/o contesto, opportunisticamente. L’immagine può ambire a portare all’attenzione quella dignità e quella Bellezza che si tenta quotidianamente di sottrarre all’animale, che dal mio punto di vista non vengono affatto sottratte se non solo illusoriamente (è il “carnefice” a perdere dignità e a negarsi Bellezza) è solo un maldestro e brutto tentativo. O meglio: bisognerebbe fare in modo che l’immagine costituisca una sorta di “estensione” dello stesso animale, rivelata in quelle caratteristiche di dignità e Bellezza mai veramente sottratte, venendo fuori nel non-luogo dell’immagine. Di conseguenza, ad esempio, anche nel caso estremo di cadaveri o parti di cadaveri di animali, cerco di tenere più possibile conto della dignità dell’animale e di riportarla al proprio posto (e superarla, andare “oltre”), evitando di cascare nella banalità e nell’ulteriore offesa nei riguardi dell’animale stesso, tipiche dell’effetto “sbattuto in faccia”, l’effetto “shock” e/o “pietà” (o, d’altro canto, l’effetto “carino&tenero” quando si tratta di animali vivi e non sofferenti) a tutti costi, ridondanti.
dal ciclo Hostis, Hospes: “Opera al Nero – Nigredo”
Che rapporto c’è tra l’arte e l’animalità secondo te?
Questa domanda è ancora più difficile e insidiosa delle precedenti, se possibile. Ricordando la mia premessa, sulla mia difficoltà a definire “arte”, e “animali” (e “animalità”), accennerò ugualmente una risposta. Prima ho espresso qualche osservazione sull’immagine, in maniera analoga e più in generale l’arte porta con sé l’enorme potenziale e responsabilità, relativamente all’animalità, di rivelarla: all’artista stesso e agli osservatori. O forse è l’animalità (come “limite su cui sorgono e prendono forma tutte le altre grandi questioni”, per dirla à la Derrida) a “rivelare” l’arte…
dal ciclo Aleph Zero: “Bereshìt I”
Una tua immagine è una riproduzione di Carmelo Bene che parlava della “macchina attoriale”…quasi a volersi staccare dall’animalità: il paradigma del non-umano qui sembra essere più propriamente il trans-umano o il post-umano. Cosa ti interessa della figura di Bene?
Esatto. Sì, il trans-umano o il post-umano. E’ una delle chiavi, forse proprio quella fondamentale, dei miei cicli. Ciò che mi interessa di Carmelo Bene è appunto la “macchina attoriale”, l’”esser detto” e non il riferire la cosa; la “scrittura di scena senza spettacolo” (immaginare la fotografia come teatro senza spettacolo), l’ “osceno” quale “visibilmente invisibile di sè”, il “manque”, l’”assenza”, il “non-luogo”, la “sospensione del tragico”; la presenza che è al tempo stesso assenza; “paralizzare l’azione” per giungere all’ “atto”; articolare il linguaggio “come un inconscio, ma affidandolo ai significanti e non ai significati, in balia dei significanti”.
dal ciclo Wings and other utopias: “C.B.”
Quali fotografi e pittori ti hanno ispirato di più? E quali pensi siano più importanti per affrontare il tema del rapporto umano/non-umano?
Cito giusto alcuni tra coloro che mi hanno influenzato maggiormente, indistintamente tra fotografi, pittori, scultori, registi e altri artisti: Man Ray, Henri Cartier-Bresson, Robert Mapplethorpe, Diane Arbus, Alexander Rodchenko, Miroslav Tichý, Alfred Jarry, Tristan Tzara, Max Ernst, Giorgio de Chirico, Francisco Goya, Francis Bacon, Sandro Botticelli, Michelangelo Buonarroti, James Ensor, Carmelo Bene, Sergej Paradžanov, José Val del Omar, Alfred Hitchcock, Ingmar Bergman, David Lynch, Dario Argento, Stanley Kubrick, Werner Herzog. Tra questi, i più importanti in quanto a spunti sul tema del rapporto umano/non umano: Max Ernst, Alfred Jarry, Sergej Paradžanov, David Lynch, Dario Argento, Alfred Hitchcock. E Carmelo Bene, sopra tutti, oltre tutti, per le ragioni già indicate prima, con il quale concludo: “Fin da ragazzo un monaco gli aveva insegnato che non esiste l’ingiustizia e i nemici. Come tutto è una vasta pineta… Dormi, cambiamo i fiori. Se non fossi un palazzo, mi crederebbero…”.
dal ciclo Images from Edessa: Dittico di Edessa (parte I)
Trovate un difetto a questa donna meravigliosa.